Gli occhi del mondo puntati sul Venezuela

Gli occhi del mondo puntati sul Venezuela. L’estrema destra cerca il colpo di stato

Geraldina Colotti

CARACAS

Nicolas Maduro è stato rieletto presidente del Venezuela con 5.150.902 (51,9%) sul candidato della Plataforma Unitaria Democrática (Pud), Edmundo González, che ha totalizzato 4.445.978 (44,2%). Un risultato irreversibile con l’80% di schede scrutinate. Per il resto dei conteggi bisognerà aspettare che venga totalmente ripristinato il sistema di trasmissione elettronico, attaccato con vari atti di hackeraggio durante lo spoglio di domenica scorsa.

Lo hanno denunciato in diretta le autorità del Consiglio nazionale elettorale (Cne) verso mezzanotte. E lo ha spiegato in dettaglio il presidente Maduro durante l’atto di giuramentazione che si è svolto nella sede del Cne e alla presenza di quasi 900 accompagnanti internazionali, provenienti dai cinque continenti.

Un nutrito gruppo di persone, che ha potuto seguire da vicino tutte le fasi di questa elezione e che ha redatto informative dettagliate per i partiti o le organizzazioni di appartenenza, ma che sono stati “totalmente invisibilizzati” perché la verità dei fatti deve far spazio alle interpretazioni che servono all’imperialismo per i propri piani.

Il piano dell’estrema destra -ha denunciato il presidente – era quello di impedire con ogni mezzo il conteggio del voto, per mettere in atto il copione già pronto, preparato in dettaglio già durante la giornata del voto, quando l’estrema destra aveva diffuso falsi dati che attribuivano la vittoria al suo candidato.

Principale protagonista di questo show, che ripete uno schema già visto in precedenza, Maria Corina Machado, ex deputata filoatlantica, inabilitata per golpismo, ansiosa di imporre in Venezuela l’ultra-liberismo di Milei in politica interna, e il sionismo modello Netanyahu in politica estera.

Su questa base, il sistema internazionale che la sostiene ha dato avvio a un poderoso attacco a colpi di comunicati e pronunciamenti nei quali uno “esige” e l’altro “ordina”, l’altro ancora “non riconosce”.

La compagnia è nota: si va da ex padrini del paramilitarismo come il colombiano Alvaro Uribe, ai componenti dell’ex Gruppo di Lima, che si intende riesumare per l’occasione. Per questo, nove paesi latinoamericani – Uruguay, Argentina, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, Panamá, Paraguay, Perú y Repubblica Dominicana – hanno manifestato la loro “profonda preoccupazione” per il risultato del voto, e, in una dichiarazione congiunta, hanno preteso “la revisione completa” del voto e chiesto all’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) una riunione urgente dell’organismo.

Per tutta risposta, il governo bolivariano ha ordinato a sette paesi – Argentina, Costa Rica, Panamá, Perú, Repubblica Dominicana, Uruguay e Cile – di ritirare il loro personale diplomatico dal Venezuela e ha fatto lo stesso con i propri ambasciatori. Tutti avevano rifiutato di riconoscere i risultati.

“La República Bolivariana del Venezuela – dice il comunicato – esprime il suo più fermo rigetto delle azioni interventiste e alle dichiarazioni di un gruppo di governi di destra, subordinati a Washington e apertamente impegnati con i più sordidi postulati ideologici del fascismo internazionale, per cercare di rieditare lo sconfitto Gruppo di Lima, e che pretendono disconoscere i risultati elettorali del 28 luglio 2024”.

Vi sono stati, però, anche alcuni pronunciamenti inopinati, provenienti dal Brasile o (parzialmente) dalla Colombia, che hanno prestato il fianco alla versione dominante diffusa dall’opposizione, che sostiene di avere in mano una quantità di schede non corrispondenti. Una cosa impossibile, perché ogni votante e ogni partito, di qualunque colore, ha in mano la copia automatizzata del voto emesso, e tutti i partiti hanno quello che viene chiamato “il salame”, ossia la stampa automatica di tutti i voti emessi in quel seggio (che chiunque può richiedere).

Il numero dei voti deve corrispondere al numero di biglietti inseriti manualmente in una scatola di cartone da ogni votante, la cui identità è stata verificata in base all’impronta corrispondente alla carta d’identità, e che vengono controllati immediatamente dopo la chiusura del seggio per i riscontri. Prima, durante e dopo il voto, vengono effettuale 16 verifiche, a cui hanno assistito gli accompagnanti internazionali.

Una fondamentale garanzia è determinata dal fatto che ogni forza politica possiede solo una parte della password d’entrata alla verifica del sistema, che per essere azionato necessita dell’apporto di tutti. Per questa ragione, quando l’opposizione (per guadagnare tempo, e diffondere l’idea di brogli di cui sarebbe stata vittima), richiese il ri-conteggio manuale dei voti dopo la prima elezione di Maduro, nel 2013, ci vollero mesi, però il riscontro risultò corrispondente a quello emesso dal Cne: al 98,8%. Ma, intanto, il danno era già stato fatto, e questo importava alla destra.

In base ai risultati offerti dalle schede scrutinate, le proiezioni consentono anche di prevedere che il risultato conclusivo, al 100% delle schede, farebbe arrivare Maduro a 6.462.733 preferenze, Edmundo González a 5.556.676. Per fare un confronto, nel 2018 il chavismo ha ottenuto 6.190.612 voti, il risultato più basso degli ultimi anni. Ora, potrebbe aumentare almeno di altri 250.000 voti.

Cosa spiega, dunque, le dichiarazioni di alcuni presidenti progressisti latinoamericani, come Lula, o ex presidenti, come Cristina Kirchner, che sono passati per lo stesso tipo di aggressioni dell’imperialismo? Lula da Silva ha proposto “una commissione di controllo internazionale, con l’appoggio delle Nazioni unite per risolvere il rebus delle schede”.

Un intervento assai fuori luogo: considerata la quantità di movimenti e politici brasiliani presenti in Venezuela (c’è anche il suo consigliere politico, Celso Amorin); considerata la consonanza tra le posizioni dell’estrema destra venezuelana e quella che sostiene Bolsonaro; e considerate le dichiarazioni di tono ben diverso fornite in altre occasioni da Lula per lodare la democrazia “partecipata e protagonista bolivariana, che passa da un’elezione all’altra”. E Maduro ha indetto un’altra consultazione popolare sui progetti da finanziare alle comunità per il 25 di agosto.

Al contempo, con un comunicato del ministero degli Esteri, il governo brasiliano ha espresso la sua soddisfazione per il carattere “pacifico” della giornata elettorale in Venezuela, e ha detto che continuerà a “monitorare” da vicino il seguito del processo elettorale per capire come si è arrivati al risultato.

Per non parlare di Gabriel Boric, in Cile, il cui sguardo è totalmente rivolto al nord, e assolutamente dimentico delle analogie fra quanto accade al Venezuela bolivariano e quel che accadde ad Allende in Cile.

Inutile fare gli struzzi, in ballo c’è il feticismo della democrazia borghese, che spiega sostanzialmente perché i loro governi si siano consegnati mani e piedi ai meccanismi che li hanno stritolati, senza far leva sulla forza della lotta di classe. Di conseguenza, oggi i loro paesi o sono stati devastati dal ritorno in forza dell’estrema destra, come in Argentina, o essi guidano governi che si reggono su precari equilibri di cui devono tener conto per non scontentarne i vari settori, oppure hanno disatteso platealmente le speranze di chi li aveva eletti.

E per questo devono fornire all’imperialismo costanti attestati di “democrazia”, che passano per la dissociazione dai processi reali di cambiamento nel loro continente. Non avviene così, e da tempo, anche nei paesi europei, ove per essere accolti nei salotti buoni della politica-spettacolo ci si deve ormai dissociare dai moti di Spartaco in poi?

Intanto, il Procuratore Generale, Tareck William Saab, che sta gestendo la denuncia penale in merito al sabotaggio del voto, ha assicurato che si sta lavorando al ripristino della pagina del Cne, sulla quale, come sempre, comparirà il dettaglio dei voto nei singoli collegi. Il ritardo è, d’altronde, irrisorio rispetto ai tempi d’attesa in altre “democrazie”. “L’attacco – ha detto Saab – è stato organizzato dalla Macedonia del Nord, con l’intenzione di manipolare i dati che si stavano ricevendo nel Cne”.

Fra coloro che contestano i risultati, prendendo per buone le denunce dell’estrema destra, oltre agli Stati uniti e all’Unione europea, si è fatto sentire Elon Musk, magnate delle reti sociali, fondatore di Tesla, che è intervenuto sul tema con arroganza ed epiteti offensivi nei confronti del presidente Maduro: il quale ha reagito con orgoglio, senza sottrarsi allo scontro, e denunciando i veri interessi del magnate, da sempre apertamente schierato con i progetti ultra-liberisti di Machado.

Oltre ai paesi dell’Alba, hanno difeso la sovranità del Venezuela anche Cina, Russia, Iran, Siria e Messico, e gli accompagnanti internazionali hanno diffuso vari comunicati di sostegno, a testimonianza della trasparenza dell’elezione.

E mentre la destra moderata ha ripetuto gli inviti alla pace e alla convivenza, e così ha fatto addirittura Fedecamara, la Confindustria venezuelana, l’estrema destra ha già messo in atto il copione stabilito, organizzando focolai di violenza in varie parti del paese. Machado ha chiesto l’intervento del Comando Sur e degli Stati uniti, e nuove sanzioni per il paese.

Vi sono stati incendi e aggressioni. Il presidente ha mostrato in diretta i video di alcuni attacchi e commentato però anche il tentativo di creare panico e caos mediante la diffusione di video degli anni passati, che mostrano solo un particolare, ma non il contesto generale che indica bambini intenti a giocare e cittadini che vanno a spegnere l’incendio appiccato usando acqua piovana.

Si tratta di un’estrema destra aggressiva e ben finanziata, che (come chi scrive ha potuto osservare anche in questa occasione), da anni ha cominciato a usare la grande criminalità, dopo che il socialismo le aveva tolto il terreno sotto i piedi, dando lavoro e coscienza ai marginali. Gli aggressori, filmati o arrestati per le violenze scattate già nella notte di domenica sono giovani con gli occhi spiritati e l’eloquio sconnesso per l’abuso di droghe.

Come nelle precedenti “guarimbas” affermano di aver ricevuto un compenso di 150 dollari giornalieri da parte di un incaricato che regge i cordoni della borsa, e che fa parte dei cosiddetti “comanditos” elettorali di Machado e compari.

Aggrediscono e linciano militanti isolati. Bruciano le sedi socialiste con i militanti dentro. E piagnucolano presso i loro padrini per presentarsi come “combattenti per la libertà”. Provano a innescare in Venezuela la riedizione della “rivoluzione di colore” di Maidan. Sanno che se cade il Venezuela bolivariano riusciranno a portare la guerra imperialista anche nel continente latinoamericano, fino ad ora rimasto immune.

È il voto torvo del fascismo, lo stesso che vediamo in Europa. Ma qui non l’avranno facile, anche perché la stessa militanza della destra è stufa, vuole solo vivere in pace e aumentare i propri affari. Infatti, già al secondo giorno, le violenze sono diminuite. E non è vero, come vogliono far credere, che qui si stia rompendo l’unione civico-militare.

E il popolo è già sceso in piazza per moltiplicare le mobilitazioni. E per difendere il palazzo di Miraflores. Da una parte all’altra del paese, lo stesso grido: “No volverán”. Non torneranno

Elezioni in Venezuela. La previsione di Vielma Mora (dirigente del PSUV)

Geraldina Colotti

29 luglio – “Il nostro è un partito meraviglioso, che ha costruito ogni giorno dal basso questa gran vittoria, questo gran regalo di compleanno per Chávez”. Non ha sbagliato previsione, José Vielma Mora, dirigente storico del processo bolivariano, che avevamo incontrato alla vigilia del voto, a Caracas. Vielma mora, deputato eletto per lo Stato di Carabobo, membro della direzione politica del Psuv, del Consiglio politico nazionale e coordinatore politico per lo Stato Guarico, in forza della sua lunga esperienza, ci aveva detto: “Nicolas Maduro vincerà con uno scarto importante sul secondo candidato”. E così è stato. Il candidato del popolo – il candidato della pace e del dialogo, che già prima del voto aveva annunciato un decreto per rilanciare il dialogo nazionale e un nuovo consenso, fin dal lunedì 29 – ha vinto con il 51,9% contro il 44,2% del candidato della Plataforma Unitaria Democrática (Pud).

A Vielma Mora avevamo chiesto quale fosse la situazione nello Stato di Carabobo, teatro di ripetuti cicli di violenza da parte dell’estrema destra.

“Abbiamo fatto un gran lavoro sul piano economico, politico e della formazione – ci aveva risposto Vielma – e ora la coscienza dei cittadini è cresciuta, c’è una grande intesa sulla situazione del paese, il riconoscimento della coerenza politica del governo nella difesa e lo sviluppo del benessere del popolo, del progresso, dell’integrazione e della sovranità del paese, per questo ora c’è pace e tranquillità”.

L’azione destabilizzante dell’estrema destra si è concentrata sulle zone di frontiera e più ricche del paese, appartenenti alla cosiddezza Mezzaluna fertile del Venezuela. E già a suo tempo Chavez aveva denunciato tentativi separatisti, secondo il modello che si prova ad applicare, per esempio, in Bolivia. Qual è la situazione attuale?

Io sono stato governatore dello Stato Tachira nei momenti più duri di questi tentativi destabilizzanti. Da allora, abbiamo compiuto un monitoraggio permanente a tutto il settore economico-produttivo degli Stati che, come Tachira, Zulia, Falcon, Merida, Anzoategui, Carabobo, custodiscono il tessuto industriale che serve allo sviluppo del paese, ai porti o agli aeroporti strategici per questo sviluppo. Abbiamo rafforzato politiche pubbliche capaci di vibrare con il popolo sovrano, che comanda e deve assumere ogni giorno di più la gestione della cosa pubblica. Oggi la coscienza del nostro popolo è solida, invidiabile e ha un forte profilo patriottico, e svetta come un esempio, di cui c’è molto bisogno, oltre i confini del paese.

Durante i comizi del presidente Maduro vi è stata una grande risposta di piazza anche negli Stati dove attualmente governa l’opposizione, come Nueva Esparta, e dove la destra da per certa la vittoria. Qual è la situazione?

L’opposizione, che è al servizio dell’estrema destra internazionale, si muove come un suddito dell’impero egemonico o un impiegato delle grandi corporazioni, che le offrono poderosi strumenti di manipolazione per produrre falsa informazione. Il loro obiettivo è appropriarsi delle ricchezza degli Stati che hanno un potenziale economico molto importante, ma si scontrano con la volontà e il coordinamento tra il popolo organizzato e il governo bolivariano, come si è visto dal gran fervore che si è manifestato, anche sulle reti sociali, a favore di Nicolas Maduro, l’unico che ha un vero progetto di paese, basato sulla pace con giustizia sociale. E questo lo sa bene anche quella parte dell’opposizione che non vede garanzie di futuro nella violenza dell’estrema destra, nei suoi programmi di privatizzazione selvaggia, di piani di aggiustamento strutturali decisi da Washington, a cui consegnerebbe il paese. Io sono stato capo politico per il partito in Nueva Esparta. Giovedì, il governatore di quello Stato, Morel Rodriguez, che ha una lunga esperienza politica nei governi della IV Repubblica, giacché proviene dalle fila di Accion Democratica, ha dichiarato di sostenere la candidatura di Maduro, insieme al altri sindaci della sua compagine: e non come indipendente, ma direttamente. Egli sa che Maduro è l’unica persona in grado di mettere in atto un piano economico e di governo, che ha già prodotti ottimi risultati, che ha a cuore la pace, la tranquillità e l’armonia di tutta la società venezuelana. Infatti, ha annunciato che, già dal 29 di luglio, emanerà un primo decreto per un gran dialogo nazionale. La destra sa che Maduro vincerà e anche con uno scarto importante sul secondo classificato.

Si è speculato molto anche su Manuel Rosales, governatore del Zulia, di opposizione, che non è stato molto visibile in questa campagna elettorale. A chi è andato il suo voto?

Rosales è scomparso dalla scena politica perché sa che appoggiare all’estrema destra significa dare l’avallo a un’invasione del paese, alla consegna del paese all’imperialismo, a una politica di privatizzazioni selvagge, all’eliminazione di ministeri: come sta facendo Milei in Argentina, ma con più forza perché il Venezuela è un boccone molto appetibile per l’imperialismo: perché possiede oltre 2.100 km di costa, ha una gigantesca infrastruttura petrolifera, una formidabile rete di gasdotti in tutto il paese – negli Stati Apure, Barinas, Anzoategui, Monagas, Sucre, Carabobo… -; è un paese con un gran potenziale tecnologico, purtroppo bloccato dall’imposizione di misure coercitive unilaterali imposte dagli Stati uniti e dai loro alleati, che ci impediscono di comprare quel che serve per mantenerla; abbiamo un paese non contaminato e un clima che consente ogni genere di produzione, acque dolci, una gran varietà di piante, flora e fauna. Inoltre, siamo il fulcro di un progetto di emancipazione politica per tutto il continente. Un progetto libertario, di uguaglianza, cooperazione e solidarietà. Da vecchia volpe della politica – è stato senatore, sindaco di Maracaibo, e candidato presidenziale -, Rosales sa che l’unica opzione di tranquillità e di garanzia del bene comune per tutti si chiama Maduro. Per questo, si è mantenuto ai margini di questa campagna, lasciando però intendere una qualche sorta di vicinanza con il progetto di unità nazionale che ci accomuna tutti.

Un altro oggetto di grande appetito per l’imperialismo è il territorio in disputa dell’Essequibo, dove le multinazionali nordamericane stanno già trivellando, in spregio alla legalità internazionale. Come la vede Vielma Mora?

Quando parliamo dell’Essequibo, parliamo di un territorio di 159.500 km quadrati, che ci è stato sottratto con l’inganno. Per chi, come me, è avvocato, si è trattato dell’atto giuridico più violento del mondo, compiuto ai danni di uno stato che non era nemmeno presente quando altre potenze imperiali decidevano di sottrargli il territorio. Un atto giuridicamente indifendibile, irrito, nulla, considerando che di 5 arbitri presenti, nessuno era venezuelano, c’erano due statunitensi, due inglesi e un russo. Si tratta di un nostro territorio ancestrale, esistente prima della famosa “scoperta” dell’America. Il 2 agosto del 1498, Colombo battezzò il fiume Essequibo con il nome del suo secondo, lo spagnolo Juan de Esquivel. Un nome che i popoli nativi non sapevano pronunciare, e per questo diventò Essequibo. Che l’Essequibo sia nostra lo hanno attestato nel corso dei secoli oltre 130 cartine, 150 mappe, ratificate anche dalle potenze coloniali come la Gran Bretagna. E, tuttavia, continuano a negarci i nostri diritti, usando i grandi media internazionali e le reti sociali, che appartengono alle grandi corporazioni, interessate a mettere le mani sulle nostre ricchezze. Bisognerebbe istituire una commissione internazionale di giuristi e giornalisti capace di ergersi contro l’arbitrio delle grandi potenze che usano la legalità a proprio piacimento contro il diritto dei popoli. Un’azione nell’ambito dell’Onu, della Corte Penale internazionale e della Corte Internazionale di giustizia, per risollevare il prestigio di queste istituzioni, incapaci di fermare gli abusi, come vediamo con il genocidio in Palestina.

Le elezioni venezuelane hanno catalizzato l’attenzione del mondo, anche per i possibili scenari che si verrebbero a creare se l’estrema destra decidesse di ripetere gli schemi passati, con un occhio alle elezioni statunitensi di novembre e l’altro al periodo che rimane, prima dell’assunzione d’incarico del nuovo presidente, il 10 di gennaio. Cosa ci si può aspettare?

Non si può dimenticare che sono stati capaci di tirar fuori un deputato supplente e portarlo a giurare in una piazza simbolica per l’oligarchia di essere il “presidente a interim” del Venezuela, giacché quello eletto dal popolo, per loro non contava. Si deve anche ricordare che, giorni prima di quella “autoproclamazione”, il vicepresidente nordamericano annunciava quel che sarebbe accaduto. E che, mesi dopo, fece lo stesso il senatore Marco Rubio, anticipando il sabotaggio elettrico che lasciò il paese al buio per alcuni giorni. È tanta l’ansia che hanno di mettere le mani sulla torta, che si tradiscono. Però si sono trovati di fronte un presidente che non ha perso la calma, e che ha preservato il paese dal caos che essi vogliono per poterne approfittare. Oggi, però, sanno che, nel contesto internazionale, chiunque vinca negli Stati uniti deve lavorare con il Venezuela. La destra è furiosa perché, persino l’entourage di Trump ha dichiarato che il Venezuela è più sicuro degli Usa. Non sopporta che, a seguito degli accordi delle Barbados, vi siano stati diversi incontri del tavolo di dialogo del governo Maduro con un gruppo di rappresentanti di quello nordamericano. Masticano amaro perché, sia negli Usa che in Europa, abbiano parzialmente abbassato i toni contro di noi. A loro la pace non interessa, vogliono il caos a tutti i costi. Quando ero governatore del Tachira, hanno agito immediatamente dopo la prima elezione presidenziale di Maduro, il 14 aprile del 2013. Quello stesso giorno hanno scatenato le “guarimbas”. Hanno cominciato a incendiare autobus e istituzioni pubbliche, a fare vittime. Era tutto già programmato. Tutto già deciso nei laboratori di Washington che costruiscono scenari a tavolino usando l’intelligenza artificiale e cercano di interferire con la propaganda per distorcere la realtà dei fatti. Lo stanno facendo anche ora, dicendo che stanno vincendo, per preparare un nuovo caos. Maduro ha organizzato due comizi di chiusura di campagna, uno nello Stato Zulia, e l’altro a Caracas. In entrambi i casi c’era una folla gigantesca. Le nostre mobilitazioni iniziano alle 10 del mattino e per 14 ore il nostro popolo può mantenersi in mobilitazione, restando fuori casa per 24 ore. A Caracas ha riempito 7 strade distinte, come tutti hanno potuto vedere. La destra, al massimo, riesce a organizzare una carovana di macchine. E sempre chiede quanto vengono “pagati” i militanti chavisti. Dice così perché questa è la loro pratica, fanno tutto per denaro. Io ho fatto campagna e comizi in 15 municipi dello Stato Guarico. Mercoledì, alle 10 di sera, stavamo facendo un incontro in una sala del municipio San José de Guaribe, nella parte orientale di Guarico. A un certo punto è mancata la luce, ma nessuno si è mosso dall’auditorio, abbiamo continuato a discutere come se niente fosse acccaduto. Il popolo ha rispettato che un dirigente del partito fosse andato a discutere con loro, e che non si fosse mosso, dando un esempio di disciplina. Nessuno ci paga, nessuno ci obbliga, per questo, siamo un esempio per il mondo: perché la nostra rivoluzione non è di un partito, ma dell’intera comunità, perché cresciamo dal basso verso l’alto e non per imposizione burocratica dei vertici, e in questo il nostro Psuv è un partito straordinario, capace di rendere in questo modo robusta la base, l’organizzazione territoriale. Ti faccio un esempio. Il 24 luglio abbiamo festeggiato la nascita di Simon Bolivar e del suo progetto di liberazione nazionale e del continente. Era un giorno festivo, in cui il popolo avrebbe potuto andare in spiaggia o in gita, o riposarsi, invece ha riempito le piazze per preparare questa nuova vittoria nel compleanno n. 70 del nostro comandante, che ci ha restituito Bolivar.

E come è stata recepita la consultazione nazionale per il finanziamento dei progetti comunitari?

Come un ulteriore strumento di esercizio di sovranità, indipendenza, uguaglianza e libertà. Solo chi vive nei territori può sapere cosa serve alla comunità, non certo un burocrate di partito. Il presidente ha detto che per le comunità che hanno già realizzato il progetto più votato, procederà a finanziare il secondo in lista. Quando il popolo è padrone del suo territorio, questo diventa la sua trincea, e la difende da tutti gli attacchi: difende la sua allegria, come chiunque può vedere in Venezuela.

In questi giorni si teme che venga messa in vendita la raffineria Citgo. Non si è potuto far niente negli incontri con le delegazioni statunitensi?

So che si sta lavorando molto bene all’interno dei tavoli di dialogo. Si tratta di un tema complesso e di vasta portata, che riguarda un grande complesso petrolifero, con varie piattaforme per trasformare il petrolio in carosene, in gas, che rifornisce porti, aerei. Il fatto che i giudici abbiano bloccato la messa all’asta è perché sanno che si tratta di una violazione alla sovranità del paese, si tratta del patrimonio di tutti i venezuelani, di una vendita illegale che va contro tutte le convenzioni internazionali. E sanno anche che, in Venezuela, a difendere la nostra indipendenza e la sovranità, non ci sono bot e trolls come per l’opposizione, ma voti espressi da persone in carne e ossa, e che una volta ancora lo dimostreremo.

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