Specialisti sul tema analizzano i loro discorsi e dimensioni
Il discorso di odio politico ha accompagnato costantemente le strategie di cambio di regime applicate contro i governi di Hugo Chávez e Nicolás Maduro. Fa parte delle operazioni psicologiche che mirano a generare cambi di atteggiamenti nella popolazione in vista di eventi politici di importanza come le elezioni.
Nel caso recente delle elezioni presidenziali del 28 luglio, la campagna di odio attivata nel paese ha avuto come conseguenza denunce e persecuzioni che hanno portato a aggressioni fisiche, un clima di intimidazione e meccanismi di pressione psicologica su vari strati e settori del chavismo.
Tra gli attacchi più rilevanti registrati c’è quello alla stazione radio comunitaria “Radio Venceremos”, avvenuto il 30 luglio scorso nella sede del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV) di Carora, municipio Torres dello stato Lara. Un gruppo di oppositori incappucciati ha distrutto le attrezzature del mezzo di comunicazione e ha colpito con violenza circa 20 persone, di cui almeno due sono rimaste gravemente ferite.
Altri casi di violenza post-elettorale si sono caratterizzati per l’uso delle reti sociali come veicolo per l’istigazione e la segnalazione di attori politici che vanno dal livello locale, con l’aggressione a vicini e dirigenti comunitari, fino a quello internazionale con appelli all’ invasione militare o all’assassinio di soggetti politici venezuelani.
La paura e la rabbia nella spirale dell’odio
Riguardo alla psicologia dell’odio, Misión Verdad ha intervistato José Garcés, M.Sc. in Psicologia e professore ricercatore dell’Universidad Internacional de las Comunicaciones (Lauicom), che ha commentato che “l’odio è come lanciare carboni ardenti con la mano nuda. Se prendi un carbone ardente dalla griglia e lo lanci all’altro, ovviamente gli fai male, ma anche tu ti fai male”.
Lo specialista evidenzia le conseguenze dell’odio in dimensioni come quella fisiologica, psicologica e familiare dei cittadini, ma si orienta verso una lettura sociale. In questo campo, ha affermato che “a livello sociale genera una terribile commozione, una disgregazione e un’anomia all’interno di quell’ordine”. Inoltre, ha fatto riferimento al paradigma paura-rabbia, che consiste nell’infondere paura verso la persona sulla quale si vuole generare avversione, il cui veicolo sono le reti sociali, ha sottolineato.
Il professore ha affermato che le campagne di odio si inseriscono nelle operazioni psicologiche, una metodologia di guerra, in particolare della guerra cognitiva. Ha fatto allusione a situazioni come il genocidio in Ruanda, dove è stato alimentato l’odio nella popolazione e si è generata una guerra che ha lasciato un milione di morti. Ha insistito sul fatto che “non è una cosa da poco quello che fanno le reti sociali quando alimentano l’odio”.
Un esempio recente è in corso nel Regno Unito, dove si sono scatenati disordini e una caccia agli immigrati a partire da una notizia falsa che accusava un immigrato musulmano di un omicidio multiplo.
La guerra psicologica: Disumanizzazione e prolungamento del conflitto
Nerliny Carucí, giornalista scientifica e psicologa sociale venezuelana, è stata anche consultata riguardo alla campagna di odio post-elettorale. Ha contestualizzato che la guerra imperiale si impone attraverso un’intensa e molto aggressiva propaganda, attraverso il capitalismo della sorveglianza o il capitalismo digitale.
La specialista afferma che “le forme, i metodi e gli effetti durano da più di due decenni, questo logora la vita del popolo venezuelano, fa sì che molti vedano il loro paese come una terra desolata, priva di successi, un’immagine che li ha fatti allontanare da questa patria”.
Ha aggiunto che la dimensione psicologica di questo tipo di guerra si incuba oltre la polarizzazione politica e che “sta portando il paese a un punto critico di irritabilità in cui tutti i settori, sia chavisti che oppositori, hanno un deficit di convivenza reale”. Si riferisce alla disperazione nel settore dell’opposizione e colloca il punto focale del conflitto nella “promozione di condizioni per una società mentalmente colpita che non consenta di ragionare bensì rispondere dagli istinti più primordiali”.
Specifica che la guerra psicologica produce:
-Irritabilità e rigidità psicologica. C’è un’assoluta convinzione di avere il monopolio della verità. Le persone colpite da questa rigidità non sono in grado di riflettere né di dialogare con chi pensa diversamente.
-Questa rigidità funziona di pari passo con le voci e le accuse contro alcune persone considerate nemici, che devono essere eliminate. Si usano espressioni che fomentano l’odio e il risentimento.
-Un altro elemento è il comportamento intollerante. La convivenza cerca di essere fratturata a tal punto che amici e familiari si scontrano. In questa occasione, la campagna info-frenetica attorno a Edmundo González e María Corina Machado ha generato aspettative politiche che hanno scatenato livelli maggiori di frustrazione e rabbia nei gruppi di opposizione, espressi in minacce di morte, azioni violente e crimini di odio.
Riguardo alla dimensione comunicativa di questa guerra, descrive che “non è una questione tecnologica: è una questione politica e psico-comunitaria; oltre: etica. Oggi non abbiamo più tempo per continuare a vedere i sintomi: abbiamo la responsabilità di identificare le cause e lavorare per cambiare lo stato di paura, angoscia, ansia e solitudine esistenziale che genera il modello moderno/capitalista ed il suo schema imperiale”.
Secondo l’esperta, l’operazione psicologica attivata contro il Venezuela “rafforza predisposizioni per la disumanizzazione delle persone vittime, passo preliminare ai crimini di odio”. A questo proposito analizza come le azioni disumanizzanti, in questa occasione come in altre, siano state precedute da una campagna che accusa le persone chaviste di “assassini”, “crudeli”, “narcotrafficanti”, “paramilitari”, “delinquenti”, “comunisti”, “repressori”, “spie”, “complici della dittatura”, “mostri”, “maiali”, eccetera.
Questa “assenza di umanità”, riflette, legittimerebbe le aggressioni contro le persone chaviste, dentro e fuori il Venezuela. “È il fondo delle narrazioni violente diffuse dalle reti sociali per posizionare come ‘accettabili’ e ‘necessari’ crimini di odio – applicazione di sofferenze estreme, attacchi, assedi, omicidi fisici o simbolici – contro persone e gruppi specifici del chavismo, ai quali si nega la loro condizione storica di soggetti di diritti”, afferma Carucí.
Conclude citando Ignacio Martínez-Baró, gesuita assassinato in El Salvador (1989), che “l’etichettamento marcato dall’odio sembra alleviare i sentimenti di colpa, avallare la violenza e – ciò che è più deplorevole – promuovere disposizioni affinché il prolungamento del conflitto sia desiderabile”.
Attacco al simbolico per unire alcuni e spiazzare altri
Altri specialisti, come Iginio Gagliardone e collaboratori, affermano che il discorso di odio invia un messaggio che divide e segrega la società. Ma allo stesso tempo, gioca anche un ruolo coesivo per i suoi emittenti, rafforzando il loro senso di appartenenza a un gruppo. In questo senso, il simbolico ha giocato un ruolo preponderante negli eventi recentemente accaduti in Venezuela.
Gli attacchi a spazi e simboli legati al chavismo, tra cui le statue, farmacie popolari, municipi, sedi del Potere Elettorale, moduli di polizia, centri assistenziali, case del PSUV, tra altri, sono l’espressione di una ricerca per generare la sensazione che l’opposizione sia una maggioranza schiacciante. A questo si aggiunge una componente “popolare” che stigmatizza i dirigenti naturali nelle comunità “per essere complici di una frode”, il che pretende generare l’immagine di spiazzaamento di questo settore politico attraverso la criminalizzazione.
Nel novembre 2017 l’Assemblea Nazionale Costituente ha approvato la Legge Costituzionale contro l’Odio, per la Convivenza Pacifica e la Tolleranza per evitare l’ostilità generata dalle espressioni che fomentani i pregiudizi o l’intolleranza. Attraverso questo strumento legale si cerca di eradicare atti discriminatori o attacchi violenti come quelli descritti.
Il cammino verso l’odio è difficile da percorrere, il Venezuela lo ha affrontato in molteplici occasioni attraverso l’esercizio della politica, il rispetto delle istituzioni e il dialogo tra attori pubblici.
Especialistas en el tema analizan sus discursos y dimensiones
Una lectura profunda sobre el odio en Venezuela
El discurso de odio político ha acompañado consistentemente las estrategias de cambio de régimen aplicadas contra los gobiernos de Hugo Chávez y Nicolás Maduro. Forma parte de las operaciones psicológicas que buscan generar cambios de actitudes en la población de cara a eventos políticos de importancia como las elecciones.
En el caso reciente de los comicios presidenciales del 28J, la campaña de odio activada en el país tuvo como consecuencia señalamientos y persecuciones que derivaron en agresiones físicas, un clima de hostigamiento y mecanismos de presión psicológica sobre distintas capas y sectores del chavismo.
Entre las arremetidas más relevantes registradas está la de la emisora comunitaria “Radio Venceremos”, ejecutada el pasado 30 de julio en la sede del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV) de Carora, municipio Torres del estado Lara. Un grupo de opositores encapuchados destruyó los equipos del medio de comunicación y golpeó con saña a unas 20 personas de las cuales quedaron, al menos, dos heridos de gravedad.
Otros casos de violencia postelectoral se han caracterizado por el uso de las redes sociales como vehículo para la instigación y señalamiento de actores políticos que van desde lo local, con la agresión a vecinos y líderes comunitarios, hasta lo internacional con llamados a la invasión militar o al asesinato de sujetos políticos venezolanos.
El miedo y la rabia en la espiral del odio
Respecto a la psicología del odio, Misión Verdad entrevistó a José Garcés, M.Sc. en Psicología y profesor investigador de la Universidad Internacional de las Comunicaciones (Lauicom), quien comentó que “el odio es como lanzar carbones encendidos con la mano desnuda. Si tú agarras un carbón encendido de una parrilla y se lo lanzas al otro, obviamente le haces daño, pero tú también te haces daño”.
El especialista señala las consecuencias del odio en dimensiones como la fisiológica, psicológica y familiar de la ciudadanía, pero se inclina hacia una lectura social. En este campo, afirmó que “a escala social genera una terrible conmoción, una disrupción y una anomia dentro de ese orden”. Además, hizo alusión al paradigma miedo-rabia, que consiste en imprimir miedo hacia la persona sobre la que se desea generar aversión, cuyo vehículo son las redes sociales, apuntó.
El profesor afirmó que las campañas de odio se inscriben dentro de las operaciones psicológicas, una metodología de guerra, en particular de la guerra cognitiva. Hizo alusión a situaciones como las del genocidio de Ruanda, donde se azuzó el odio en la población y se generó una guerra que dejó un millón de muertos. Insistió en que “no es tontería lo que hacen las redes sociales cuando se azuza el odio”.
Un ejemplo reciente está en marcha en Reino Unido, donde se desataron disturbios y cacería de inmigrantes a partir de una noticia falsa que responsabilizó a un inmigrante musulmán de un asesinato múltiple.
La guerra psicológica: Deshumanización y prolongación del conflicto
Nerliny Carucí, periodista científica y psicóloga social venezolana, también fue consultada respecto a la campaña de odio postelectoral. Contextualizó que la guerra imperial se impone a través de un despliegue propagandístico intenso y muy agresivo, a través del capitalismo de la vigilancia o el capitalismo digital.
La especialista afirma que “las formas, métodos y efectos llevan más de dos décadas, esto mella la vida del pueblo venezolano, hace que muchos vean su país como una tierra baldía, carente de logros, una imagen que les ha hecho querer distanciarse de esta patria”.
Agregó que la dimensión psicológica de este tipo de guerra se incuba más allá de la polarización política y que “está llevando al país a un punto crítico de irritabilidad en el que todos los sectores, tanto chavismo y oposición, tienen un déficit de convivencia real”. Se refiere a la desesperanza en el sector opositor, y ubica el punto focal del conflicto en “la promoción de condiciones para una sociedad afectada mentalmente a la que no le permitan razonar sino responder desde los instintos más básicos”.
Especifica que la guerra psicológica produce:
Irritabilidad y rigidez psicológica. Hay un absoluto convencimiento de que se tiene el monopolio de la verdad. Las personas afectadas por esta rigidez no son capaces de reflexionar ni dialogar con el otro que piensa diferente.
Esta rigidez funciona de la mano con los rumores y los señalamientos sobre algunas personas a quienes consideran enemigos, a los cuales hay que eliminar. Esto es, se usan expresiones que fomentan el odio y el resentimiento.
Otro elemento es el comportamiento intolerante. La convivencia busca ser fracturada a tal nivel que amigos y familiares se pelean. En esta ocasión, la campaña infofrénica en torno a Edmundo González y María Corina Machado generó unas expectativas políticas que desencadenaron mayores niveles de frustración y rabia en grupos de oposición, expresados en amenazas de muerte, acciones violentas y delitos de odio.
Respecto a la dimensión comunicacional de esta guerra, describe que “no es un asunto tecnológico: es un tema político y psicocomunitario; más allá: ético. Hoy ya no tenemos tiempo de seguir viendo los síntomas: tenemos la responsabilidad de identificar las causas y trabajar para cambiar el estado de miedo, angustia, ansiedad y soledad existencial que genera el modelo moderno/capitalista y su esquema imperial”.
Según la experta, la operación psicológica activada contra Venezuela “fortalece predisposiciones para la deshumanización de las personas víctimas, paso previo a los crímenes de odio”. A este respecto analiza cómo las acciones deshumanizadoras, en esta oportunidad como en otras, han estado precedidas por una campaña con la que se acusa a las personas chavistas de “asesinas”, “crueles”, “narcos”, “paramilitares”, “delincuentes”, “comunistas”, “represoras”, “sapos”, “cómplices de la dictadura”, “esperpentos”, “cerdos”, etecétera.
Esta “ausencia de humanidad”, reflexiona, legitimaría las agresiones contra las personas chavistas, dentro y fuera de Venezuela. “Es el fondo de narrativas violentas difundidas por las redes para posicionar como ‘aceptables’ y ‘necesarios’ crímenes de odio —aplicación de sufrimiento extremo, ataques, asedios, asesinatos físicos o simbólicos— contra personas y grupos específicos del chavismo, a los cuales se les niega su condición histórica de sujetos de derechos”, plantea Carucí.
Concluye citando a Ignacio Martínez-Baró, jesuita asesinado en El Salvador (1989), que “el etiquetamiento marcado por el odio pareciera aliviar los sentimientos de culpa, avalar la violencia y —lo que es más deplorable— promover disposiciones para que la prolongación del conflicto sea deseable”.
Ataque a lo simbólico para cohesionar a unos y desplazar a otros
Otros especialistas, como Iginio Gagliardone y colaboradores, afirman que el discurso de odio envía un mensaje que divide y segrega la sociedad. Pero al mismo tiempo, también juega un papel cohesionador para sus emisores, refuerza su sentimiento de pertenencia a un grupo. En este sentido, lo simbólico ha jugado un papel preponderante en los eventos recientemente ocurridos en Venezuela.
Los ataques a espacios y símbolos vinculados al chavismo, entre los que se cuentan estatuas, farmacias populares, alcaldías, sedes del Poder Electoral, módulos policiales, centros asistenciales, casas del PSUV, entre otros, son expresión de una búsqueda por generar la sensación de que la oposición es una mayoría avasallante. A esto se suma un componente “popular” que estigmatiza liderazgos naturales en las comunidades “por ser cómplices de un fraude”, lo que pretende generar la imagen de desplazamiento de este sector político por vía de la criminalización.
En noviembre de 2017 la Asamblea Nacional Constituyente aprobó la Ley Constitucional contra el Odio, por la Convivencia Pacífica y la Tolerancia para evitar la hostilidad que generan las expresiones que fomentan los prejuicios o la intolerancia. Mediante este instrumento legal se pretende erradicar actos discriminatorios o ataques violentos como los descritos.
El camino al odio es difícil de desandar, Venezuela lo ha sorteado en múltiples oportunidades mediante el ejercicio de la política, el respeto a las instituciones y el diálogo entre actores públicos.