Quello che Birán ha dato a Fidel

Un 13 agosto, ma del 1926, nacque alla famiglia Castro Ruz un figlio, che chiamarono Fidel Alejandro, e che cambiò il destino di Cuba.

La dolcezza delle canne e il bramito dei bovini che accompagnarono l’infanzia e in parte l’adolescenza e la gioventù, furono un ricordo ricorrente di  Fidel Castro Ruz. Quel mondo rurale lo aveva vissuto a Birán, dove nacque.

Non c’è dubbio, come accadde in tutto il processo simbiotico che contribuì a scolpire l’audacia di chi fu poi il leader massimo della Rivoluzione che riconfigurò  definitivamente la tavola geopolitica nell’ambiente  americano.

L’influenza del luogo sull’uomo la ricorda María Julia Guerra, giornalista e storiografa.

L’età avanzata e alcuni «acciacchi» le limitano i lavori nel campo che ha sempre realizzato piena di emozioni e aspettative. Ma l’archivio mentale delle sue investigazioni e la documentazione che l’appoggia, le permettono d’illustrare le dichiarazioni che fa.

Nella sua sala da pranzo nella città di Holguín, dove riceve i colleghi e le altre persone che l’avvicinano per puntualizzare fatti storici, commenta al reporter l’impossibilità della gente di Birán d’ignorare la discussione sul fatto che questo luogo fu un territorio sul quale esistono storie trasformate in leggende, come quella che narra  che il cacicco di lì era nemico del cacicco di Bitirí, che combattevano perennemente, sino a quando quest’ultimo fu sconfitto .

«Questo già era un precedente di bravura, motivo d’orgoglio per gli abitanti, per coloro per i quali è chiaro che Birán era una Prefettura Mambisa, ossia, una struttura basicamente di sicurezza logistica per le forze dell’Esercito Liberatore che operavano nella zona, contro i soldati del potere coloniale spagnolo. Si guidava con le leggi della Repubblica in Armi e aveva tra le varie dipendenze una Casa della Posta e una carrozzeria. Nel 1897, il Prefetto era Ramón Meléndez, che aveva sostituito Federico Justiz».

Passati gli anni, nel 1914, in questi luoghi, dopo l’acquisto della fattoria di Manaca, Ángel Castro, padre di Fidel, creò il batey Birán.

«Paradossalmente quest’uomo retto che non dimenticò mai la sua origine umile, fu uno dei soldati spagnoli portati a Cuba per affrontare le truppe liberatrici che lottavano contro il giogo coloniale.

María Julia ricorda che conversò sull’apertura del batey con il famoso archeologo  José Manuel Guarch del Monte. Per essere più precisa, ricorre al materiale che scrisse allora per il giornale  Ahora, che è parte di quanto riassunto anni dopo nel libro  “Fidel Castro, come una spada rilucente”.

Con gli occhi posati nello scritto stampato, segnala che l’investigatore definisce il batey come autosufficiente, cosa rara da incontrare in altri bateyes. Tutto si produceva lì in una forma piccola ma sufficiente per distribuire gli elementi basici alla comunità.

Contava con un telegrafo dal quale si potevano passare telegrammi, su una staffetta postale, fatto  davvero poco comune in un batey, anche in uno più grande, ma non sviluppato in quell’epoca, le aveva detto.

Non dimentica che l’archeologo aveva un accento d’ammirazione confermandole che: «C’era una scuola che non era pubblica, creata dal padre di Fidel perché potessero ricevere gli insegnamenti non solo i suoi figli,  ma che chiunque, di qualsiasi luogo, potesse andare a studiare come la gente che viveva nel batey».

Forse perché è stanca o perché riordina i pensieri, realizza un breve pausa. Riprendendo la conversazione chiarisce che sull’altruismo di Ángel Castro ci sono molte evidenze e gira diverse pagine del libro che sostiene e suggerisce di leggere il paragrafo che segnala.

Le faccio caso e mi sorprende citando Fidel: «Mio padre era un proprietario terriero isolato, in realtà; a volte un amico andava là e rare volte noi facevamo una visita. I miei genitori non uscivano come norma, non andavano a visitare le altre famiglie in altre parti. Stavano lì tutto il tempo lavorando e noi stavamo lì tutto il tempo, in relazione unica ed esclusiva con chi viveva lì.

Noi andavamo nei baracconi degli haitiani, nelle loro capanne … nella casa non ci fecero mai segnalazioni di non frequentare questo o l’altro…mai.   Ossia non c’era una cultura di famiglia di classe, ricca o proprietaria di terre. Avverte che quello che abbiamo letto è un frammento del libro  Fidel e la Religione, scritto da Frei Betto.

E con la stessa passione, propone di ripassare punti delle conversazioni del gigante barbuto con Gianni Miná, Ignacio Ramonet e Katiuska Blanco.

«Preferisco che esponga quello che lei stessa ha percepito. Non sono poche le persone vincolate e Fidel con le quali ha conversato», rispondo senza smettere d’essere cortese.

«D’ accordo. Un giorno andai a Birán, a conversare con Dalia e Caridad López Tomás, Juan Socarrás Pérez, Martín Castro Batista, Pedro Pascual Rodríguez, Santa Martínez e Benito Rizo Hernández, che avevano conosciuto Fidel in questo luogo.

Le testimonianze le ho pubblicate nel giornale Ahora e sono anche raccolte. Devi leggerle come hai fatto con Fidel e Frei Betto.

Un’altra volta non posso rifiutare di rispondere a una sua richiesta  una sua richiesta e prendo il grosso volume di Fidel  Castro, come una spada rilucente. Leggo alcuni paragrafi. María Julia ascolta con attenzione e sono sicuro che rivive ogni secondo di quella lontana città.

Dalia: «Lui veniva qui e se ne andava con gli altri ragazzini alla pozza El Jobo, facevano il bagno, tornavano qui e cucinavano vicino alla casa».

Juan: «Quando veniva in vacanza cacciavamo molto. Andava sempre con un fucile a volte giocava a baseball, gli piaceva anche la boxe. Gli piacquero sempre le cose con misura. Aveva molto fondamento».

Martín: «Era amico degli haitiani. Qui  ce n’erano 60 o 70. Quasi tutti gli operai qui erano haitiani.

«Arrivava in vacanza e subito prendeva il fucile del custode e andava a caccia Era un buon tiratore».

Benito: «La nostra vita era qui. Facevamo il bagno nella pozza El Jobo tutti i giorni.  Fidel nuotava molto bene nel fiume e anche nel baseball era bravo perché gli piaceva. Era il nostro pitcher.

«Nel fiume giocavamo a chi tocca si ferma, e chi nuotava poco restava, ma quello che andava forte… Fidel non fu mai facile da fermare».

Pedro: «Era una persona splendida, non aveva nessun orgoglio per essere ricco…».

Santa: «Il vecchio Ángel dava a tutto il mondo ma sembra che un giorno c’erano poche cose nel negozio del batey e disse che non l’avrebbe aperta e lì c’era tanta gente.  Allora scese Fidel e disse al padre : «Perchè lei non apre il negozio e vende solo ad alcuni? Deve vendere a tutti, perché lei ha fatto il capitale con tutti gli operai che ci sono qui. Così o si vende a tutti o non si vende a nessuno. Si deve aprire il negozio!» e il vecchio gli fece caso.

María Julia approfitta della pausa  che faccio per schiarire la voce e propone che mi prenda il libro per leggerlo con calma.

«È ovvio che Birán fu una fucina per Fidel», sottolinea nel commiato, proponendo un altro incontro con il fine di condividere dettagli delle investigazioni storiche recenti.

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