Dell’occupazione digitale, alla cybervessazione e altri demoni dell’algoritmo

Tania Díaz ha affermato che ciò che si sta vivendo in Venezuela è un tentativo di occupazione non militare ma digitale, cognitiva, culturale e informativa.

Laura Mercedes Giráldez

Caracas, Venezuela – Sebbene le motivazioni delle azioni del settore più estremista dell’opposizione venezuelana abbiano radici espansionistiche, non si può negare la loro persistenza. Il controllo di questa nazione è così cruciale per il loro potere che, ogni volta che falliscono nel tentativo di dominarla, cercano nuove strategie.

La guerra convenzionale non gli ha dato risultato. La battaglia nelle strade è stata persa dal momento in cui il popolo stesso è sceso in controffensiva. Quindi, hanno trasferito il loro attacco al campo digitale.

«Quello che stiamo vivendo in Venezuela è un tentativo di occupazione, non militare, ma digitale, cognitiva, culturale e informativa», afferma Tania Díaz, rettrice dell’Università Internazionale delle Comunicazioni, a Caracas.

«Nel 2022, la NATO ha parlato di applicare sull’umanità una nuova forma di dominazione culturale chiamata guerra cognitiva. Dicevano che non si accontentavano di modificare l’opinione delle persone su determinati temi, ma che la loro intenzione era di riconfigurare il modo di pensare e di vedere il mondo, alterare la percezione fino a renderli schiavi a basso costo del loro modello politico-economico».

Secondo la deputata all’Assemblea Nazionale, dopo uno studio multidisciplinare con psicologi e altri specialisti, la conclusione è che «quello che è accaduto in Venezuela è la prima operazione di cyberterrorismo psicologico. Alcuni la chiamano fascismo cibernetico», sottolinea. È, in definitiva, la materializzazione di quella «dominazione culturale» di cui parlava la NATO.

Dal suo punto di vista, «si tratta di un’operazione di propaganda di guerra dispiegata attraverso il potente strumento di comunicazione che sono le rei sociali». Riguardo alla sua connotazione e al modo in cui è stata eseguita, sottolinea che è stata orchestrata attraverso attacchi selettivi tramite l’algoritmo, diretti ai seguenti settori: la gioventù più giovane, le signore del CLAP (Comités Locales de Abastecimiento y Producción) e le donne del partito.

«È una strategia del terrore. Il registro elettorale contiene nomi, numeri di documento d’identità, indirizzi degli elettori e dove votano. Partendo da questi dati, crediamo che abbiano programmato messaggi personalizzati che arrivavano tramite WhatsApp ai dirigenti della gioventù.

«Lo hanno fatto dal 28 luglio. È un’operazione di guerra molto ben pianificata, poiché il popolo tra i 14 e i 24 anni è quello che muove le reti sociali in Venezuela. Nel registro elettorale questo segmento non raggiunge il 6%, quindi ci si è chiesti perché l’estrema destra si sia concentrata su questo settore».

La risposta è stata trovata quando, tra i detenuti dei piccoli gruppi terroristi, una buona parte era costituita da giovani, che si sono lasciati trascinare da questa ondata di odio senza nemmeno aver partecipato al voto. «Le loro azioni sono legate a una serie di fattori psicologici. Alcuni di questi motivi emotivi hanno origine in frustrazioni di tipo familiare ed economico». Qui entra in gioco l’aspetto cognitivo.

Anche il segmento delle donne, fondamentale per il sostegno della Rivoluzione, è stato attaccato. «Seguendo un’agenda di cybervessazione, i messaggi avevano l’obiettivo di demoralizzare». Ci sono state anche aggressioni fisiche contro le dirigenti e le donne che distribuiscono il CLAP.

«Queste risposte psicologiche sono legate non solo all’accesso sociale, ma anche al consumo quasi compulsivo delle reti sociali, dove i riferenti sono irraggiungibili per la maggior parte, in una società circondata dal capitalismo, che sta inoculando modelli e obiettivi volti a esacerbare l’insoddisfazione per non poterli raggiungere. La comunicazione digitale ha guadagnato terreno rispetto alla scuola e alla famiglia. Quindi, hanno un terreno fertile per canalizzare frustrazioni».

«Questa operazione di propaganda mira a separare la società, a staccarti dalla famiglia, dalla tua identità, perché dietro ci sono le corporazioni che hanno bisogno di vedere il Venezuela – il paese con la più grande riserva petrolifera del mondo – come una terra di nessuno. Senza coscienza, senza istituzioni e senza nessuno che la difenda».

Pertanto, «crediamo che il valore della collettività sia fondamentale, così come quello dell’identità nazionale e della famiglia. Il presidente Maduro ripete una frase a cui non abbiamo dato il significato che ha: Strade, reti, media e muri perché se restiamo soli, siamo facile preda di tutto questo dispiegamento propagandistico».

Di fronte a questo scenario, ribadisce che si tratta di «un’operazione di dominazione neocoloniale, neoliberale e neofascista, progettata per sottomettere i popoli del sud globale, mediante risorse strategiche volte a riportarci alla schiavitù, attraverso l’incomunicazione, che si maschera da comunicazione di massa».

La controffensiva contro questo nuovo tipo di guerra è, per la rettrice, «trovare ciò che siamo come paese, nell’identità, in ciò che abbiamo imparato dalle nonne, nella nostra eroica storia».

Si tratta di «non lasciare che le giovani generazioni si perdano in quel mondo digitale di antivalori». Secondo lei, sia le reti sociali che l’intelligenza artificiale sono strumenti potenti che dobbiamo imparare a usare e, soprattutto, a comprendere, per creare una comunicazione popolare propria a partire da quella conoscenza.


De la ocupación digital, el ciberacoso y otros demonios del algoritmo

Tania Díaz aseguró que lo que se está viviendo en Venezuela es un intento de ocupación, no militar, sino digital, cognitiva, cultural e informativa

Autor: Laura Mercedes Giráldez

Caracas, Venezuela.– Si bien los motivos de la actuación del sector más extremista de la oposición venezolana tienen raíces expansionistas, lo que no se puede negar es su persistencia. Tanto representa el control de esta nación para su poderío que, cada vez que fracasan en el intento de dominarla, buscan nuevas formas.

La guerra convencional no les ha dado resultado. La batalla en las calles la perdieron desde que el mismo pueblo salió a la contraofensiva. Entonces, mudaron su embestida al campo digital.

«Lo que estamos viviendo en Venezuela es un intento de ocupación, no militar, sino digital, cognitiva, cultural e informativa», asegura Tania Díaz, rectora de la Universidad Internacional de las Comunicaciones, en Caracas.    

«En 2022, la OTAN habló de aplicar sobre la humanidad una nueva forma de dominación cultural llamada guerra cognitiva. Decían que no se conformaban con modificar la apreciación de las personas sobre determinados temas, sino que su pretensión era reconfigurar la manera de pensar y de ver el mundo, alterar la percepción hasta convertirlos en esclavos baratos de su modelo político-económico».

De acuerdo con la también diputada a la Asamblea Nacional, tras un estudio multidisciplinario con sicólogos y otros especialistas, la conclusión es que «lo que ha ocurrido sobre Venezuela es la primera operación de ciberterrorismo sicológico. Algunos lo llaman fascismo cibernético», apunta. Es, en definitiva, la materialización de aquella «dominación cultural» de la que hablaba la OTAN.

Desde su punto de vista, «es una operación de propaganda de guerra desplegada a través de la poderosa herramienta comunicacional que son las redes sociales». Sobre su connotación y la forma en que la han ejecutado, remarca que se orquestó mediante ataques selectivos a través del algoritmo, dirigidos a los sectores: juventud más temprana, señoras del clap y mujeres partidistas.

«Es una estrategia de terror. El registro electoral tiene nombre, número de cédula, dirección de los electores y dónde votan. A partir de ello, creemos que programaron mensajes personalizados que llegaban a través de WhatsApp al liderazgo de la juventud.

«Lo hicieron desde el 28 de julio. Es una operación de guerra muy bien pensada, pues el pueblo entre los 14 y los 24 años es el que mueve las redes sociales en Venezuela. En el registro electoral ese segmento no alcanza el 6 %, entonces uno se preguntó por qué la extrema derecha se dedicó a ese sector».

La respuesta la obtuvieron cuando, entre los detenidos de los comanditos terroristas, buena parte eran jóvenes, que se montaron en esa ola del odio sin siquiera haber ido al sufragio. «Su actuación tiene que ver con una serie de factores sicológicos. Algunas de esas claves emocionales tienen su origen en frustraciones con las dificultades de tipo familiar y económico». Ahí está el toque cognitivo.

El segmento mujer, fundamental para el sostenimiento de la Revolución, también fue atacado. «Montados en una agenda de ciberacoso, los mensajes tenían el objetivo de desmoralizar». También hubo agresiones físicas a las líderes y a las señoras que distribuyen el clap.

«Esas respuestas sicológicas tienen que ver no solo con el acceso social, sino con el consumo casi adictivo de las redes sociales, donde los referentes son inalcanzables para la mayoría, en una sociedad cercada por el capitalismo, que está inoculando modelos y metas orientadas a exacerbar la insatisfacción al no poder alcanzarlas. La comunicación digital le ha ganado terreno a la escuela y a la familia. Entonces, tienen un caldo de cultivo para canalizar frustraciones».

«Esa operación de propaganda busca separar a la sociedad, despegarte de la familia, de tu identidad, porque detrás de ello están las corporaciones que necesitan ver a Venezuela –el país con la reserva petrolera más grande del mundo– como tierra de nadie. Sin conciencia, sin instituciones y sin nadie que lo defienda».

Entonces, «creemos que el valor de la colectividad es fundamental, así como de la identidad nacional, la familia. El presidente Maduro repite una frase a la que no le hemos dado la connotación que tiene: Calles, redes, medios y paredes, porque si nos quedamos solos, somos presa fácil de todo este despliegue propagandístico».

Ante este escenario, reitera que es «una operación de dominación neocolonial, neoliberal y neofascista, diseñada para someter a los pueblos del sur global, mediante recursos estratégicos encaminados a volvernos a la esclavitud, a través de la incomunicación, que se disfraza de comunicación masiva».

La contraofensiva ante este nuevo tipo de guerra es, para la rectora, «encontrarnos en lo que somos como país, en la identidad, en lo que aprendimos de las abuelas, en la heroica historia».

Se trata de «no dejar que las generaciones jóvenes se pierdan en ese mundo digital de antivalores». Según explica, tanto las redes sociales como la inteligencia artificial son herramientas poderosas que debemos aprender a usar y, sobre todo, a entender, para a partir de ese conocimiento, crear una comunicación popular propia.

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