Gli interessi economici che governano il Centro Carter

misionverdad.com

Il Centro Carter ha svolto un ruolo di rilievo nell’intreccio narrativo dispiegato contro il Venezuela per adulterare la trasparenza del sistema e dei risultati elettorali. L’organizzazione ha presentato un rapporto distorto il 30 luglio, allineandosi con l’agenda golpista guidata da Edmundo González e María Corina Machado.

La partecipazione di questa ONG, fondata nel 1982 dall’ex presidente democratico Jimmy Carter, alle elezioni del 28 luglio si basava sulla prospettiva che avrebbe rispettato la Costituzione e le leggi venezuelane, come negli eventi elettorali precedenti.

La prova che si è unita a uno scenario di cambio di regime post 28 luglio è emersa quando, due giorni dopo le elezioni e prima che fossero rispettati i tempi previsti dal calendario elettorale, i suoi rappresentanti hanno lasciato il paese dichiarando che le elezioni presidenziali “non si sono adeguate ai parametri e agli standard internazionali di integrità elettorale e non possono essere considerate democratiche”, senza presentare prove a sostegno di questa accusa.

Inoltre, nel breve rapporto pubblicato, che non ha raggiunto nemmeno due pagine, il Centro ha espresso opinioni politiche contro il governo venezuelano, utilizzando persino codici discorsivi propri della PUD. “Negli ultimi anni, i partiti di opposizione hanno subito interventi giudiziari a danno dei loro dirigenti socialmente e politicamente più riconosciuti, a beneficio di persone affini al governo, influenzando la composizione delle loro candidature”, si legge.

Pur non rispettando il calendario e con l’assenza di dettagli tecnici, il Centro Carter si è affrettato a presentare una dichiarazione parziale. A tal proposito, il presidente Nicolás Maduro ha affermato che essa era scritta da mesi e che costituiva un elemento che ha contribuito al clima di instabilità che si stava configurando.

Il presidente ha inoltre sostenuto che il Centro non ha più il rigore né l’etica del passato e che i suoi nuovi dirigenti sono stipendiati dal Dipartimento di Stato e da altre organizzazioni che hanno promosso cambi di regime.

In seguito, si osserverà la precisione di questa affermazione basandosi su dati comprovati.

Chi paga impone la sua logica

Basta esaminare l’elenco dei patrocinatori del Centro Carter per capire che la sua dichiarazione parziale e priva di fondamenti tecnici non è un fatto isolato, bensì un elemento di disturbo e di disconoscimento che si è inserito nell’agenda di destabilizzazione post 28J.

Il media Naked Capitalism, dopo aver sistematizzato informazioni di dominio pubblico, ha riferito che il gruppo più alto di donatori del Centro Carter include il Dipartimento di Stato, la USAID, il Belgio, l’Ufficio per lo Sviluppo del Regno Unito, Pfizer, Open Society, Coca Cola, la Fondazione Bill e Melinda Gates, la Fondazione Turner, la Fondazione Rockefeller e la Fondazione Walton, tra altri noti.

Organizzazioni come Open Society Foundations, la USAID e la Fondazione Rockefeller, ampiamente conosciute per finanziare e promuovere rivoluzioni colorate contro governi non allineati con Washington in diverse parti del mondo, si nascondono dietro la facciata della “promozione della democrazia” come un espediente demagogico per mascherare la loro partecipazione in operazioni di colpo di stato.

In molti casi, queste entità che fanno parte del complesso industriale del cambio di regime, si mimetizzano nella popolazione attraverso la diffusione di reti di ONG che sfruttano, in modo interessato, la tematica dei diritti umani.

In Venezuela, ONG come Provea, Control Ciudadano, Observatorio Venezolano de Conflictividad Social sono affiliate a queste strategie, condividendo donatori e vie di finanziamento con il Centro Carter.

Oltre ai patrocinatori, la svolta del Centro Carter rispetto al Venezuela si spiega anche con il fatto che, dal 2020, l’ONG è guidata da Paige Alexander, con 20 anni di formazione in uffici statunitensi e organizzazioni di natura interventista alle spalle.

Un percorso nella formazione dell’attuale direttrice esecutiva potrebbe darci un’idea del perché il rapporto del Centro si inserisca nell’agenda di cambio di regime promossa da Washington in Venezuela.

Breve storia dell’attuale CEO del Centro Carter

1-Prima di assumere il ruolo di CEO del Centro Carter nel 2020, Alexander ha lavorato per diverse agenzie e ONG internazionali che “promuovono” la democrazia e l’educazione con un approccio che privilegia gli interessi politici USA.

2-Tra il 1993 e il 2001, Alexander è stata assistente dell’Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale (USAID) per la regione Europa, concentrandosi sulla ricostruzione immediatamente successiva al conflitto nei Balcani. Ricordiamo che questa agenzia ha avuto una partecipazione attiva nell’agenda di cambio di regime in Venezuela durante la fase dell’interim di Guaidó, per citare solo un esempio.

3-Nel 2015, è stata nuovamente confermata dal Senato per dirigere l’Ufficio del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA), arrivando a dirigere mille dipendenti, programmi in 12 paesi e oltre 1,4 miliardi di dollari di finanziamento annuale.

4-Dal 2017 fino alla sua nomina al Centro Carter, ha lavorato come direttrice esecutiva della Cooperativa Europea per lo Sviluppo Rurale (EUCORD) a Bruxelles e Amsterdam.

5-In precedenza, Alexander è stata direttrice associata del Progetto Libertà presso la Scuola di Governo John F. Kennedy dell’Università di Harvard e consulente per istituzioni come la Fondazione CS Mott, il Rockefeller Brothers Fund e l’Open Society Institute a Praga.

6-Attualmente è membro dei consigli di amministrazione della Fondazione Rumano-Americana, del Consiglio degli Affari Mondiali di Atlanta e della Fondazione Russia Libera, tutte istituzioni focalizzate sulla promozione degli interessi geopolitici USA.

Sulla base di questi elementi, non sorprende che il Centro Carter sia stato spinto dagli interessi economici che lo sostengono in una direzione contraria al suo ruolo di osservatore elettorale in Venezuela.


Los intereses económicos que gobiernan el Centro Carter

 

El Centro Carter cumplió un rol destacado en el entramado narrativo desplegado contra Venezuela para adulterar la transparencia del sistema y los resultados electorales. La organización presentó un informe sesgado el 30 de julio que se alineó con la agenda golpista encabezada por Edmundo González y María Corina Machado.

El acompañamiento de esta ONG fundada en 1982 por el expresidente demócrata, Jimmy Carter, en las elecciones del 28 de julio se sustentó en la perspectiva de que cumplirían con el compromiso de respetar la Constitución y las leyes venezolanas, como en eventos electorales anteriores.

La evidencia de que se sumó a un escenario de cambio de régimen post 28J quedó al descubierto cuando, dos días después de los comicios y antes de que se cumplieran los lapsos estipulados en el cronograma electoral, sus representantes salieron del país y declararon que la elección presidencial “no se adecuó a parámetros y estándares internacionales de integridad electoral y no puede ser considerado como democrático”, sin presentar pruebas que soportaran esta acusación.

Asimismo, en el escueto informe publicado, que no llegó ni a dos páginas, el Centro emitió opiniones políticas contra el Gobierno venezolano, incluso empleando códigos discursivos propios de la PUD. “En los años recientes, partidos de la oposición han sufrido intervenciones judiciales en desmedro de sus liderazgos social y políticamente más reconocidos para beneficiar a personas afines al gobierno, influyendo sobre la conformación de sus candidaturas”, refiere.

Aun sin cumplir con el cronograma y con ausencia de detalles técnicos, el Centro Carter se apresuró a presentar una declaración parcializada. Sobre esto en particular, el presidente Nicolás Maduro señaló que estaba escrito desde hace meses y que constituyó un elemento que se agregó al clima de inestabilidad que se estaba configurando.

El mandatario también sostuvo que el Centro no tiene la rigurosidad ni la ética del pasado y sus nuevos dirigentes son asalariados del Departamento de Estado y otras organizaciones que han impulsado cambios de régimen.

En adelante, se observará la precisión de esta afirmación con base a datos comprobados.

El que paga impone su lógica

Basta revisar la lista de patrocinadores del Centro Carter para entender que su declaración parcializada y carente de fundamentos técnicos no es un hecho aislado sino un elemento de ruido y desconocimiento que se engranó en la agenda de desestabilización post 28J.

El medio Naked Capitalism, tras sistematizar información de dominio público, ha informado que el grupo más alto de donantes del Centro Carter incluye al Departamento de Estado, la USAID, Bélgica, la Oficina de Desarrollo del Reino Unido, Pfizer, Open Society, Coca Cola, la Fundación Bill y Melinda Gates, la Fundación Turner, la Fundación Rockefeller y la Fundación Walton, entre otros conocidos.

Organizaciones como Open Society Foundations, la USAID y la Fundación Rockefeller, ampliamente conocidas por financiar e impulsar revoluciones de colores contra gobiernos no alienados con Washington en distintas partes del mundo, se ocultan bajo la fachada de la “promoción de la democracia” como en recurso demagógico para difuminar sus participaciones en operaciones de golpe de Estado.

En muchos casos, estas entidades que forman parte del complejo industria del cambio de régimen, se mimetizan en la población a través del despliegue de redes de ONG que explotan, de forma interesada, la temática de los derechos humanos.

En Venezuela, ONG como Provea, Control Ciudadano, Observatorio Venezolano de Conflictividad Social se encuentran afiliadas a estas estrategias, compartiendo donantes y vías de financiamiento con el Centro Carter.

Además de los patrocinadores, el giro del Centro Carter respecto a Venezuela se explica, también, por el hecho de que, desde 2020, la ONG está dirigida por Paige Alexander, con 20 años de formación en oficinas estadounidenses y organizaciones de naturaleza intervencionista a cuestas.

Un recorrido por la formación de la actual directora ejecutiva nos podría dar una idea de por qué el informe del Centro se enmarca en la agenda de cambio de régimen promovida por Washington en Venezuela. 

Breve historial de la actual ceo del Centro carter

Antes de asumir el cargo como CEO del Centro Carter en 2020, Alexander pasó por varias agencias y ONG internacionales que “promueven” la democracia y la educación bajo un enfoque  que privilegia los intereses políticos estadounidenses.

Entre 1993 y 2001, Alexander fue adjunta de la Agencia de los Estados Unidos para el Desarrollo Internacional (USAID) para la región de Europa, centrándose en la reconstrucción inmediata posterior al conflicto en los Balcanes. Recordemos que esta agencia tuvo una participación activa en la agenda de cambio de régimen en Venezuela durante la etapa del interinato de Guaidó, por poner un solo ejemplo.

En 2015, fue nuevamente confirmada por el Senado para dirigir la Oficina de Medio Oriente y África del Norte (MENA), llegando a tener bajo su mando mil empleados, programas en 12 países y más de 1.4 mil millones de dólares en financiación anual.

Desde 2017 hasta su nombramiento en el Centro Carter, se desempeñó como directora ejecutiva de la Cooperativa Europea para el Desarrollo Rural (EUCORD) en Bruselas y Ámsterdam.

Anteriormente, Alexander fue directora asociada del Proyecto Libertad en la Escuela de Gobierno John F. Kennedy de la Universidad de Harvard y consultora de instituciones como la Fundación CS Mott, el Rockefeller Brothers Fund y el Open Society Institute en Praga.

Actualmente es miembro de las juntas directivas de la Fundación Rumano-Americana, el Consejo de Asuntos Mundiales de Atlanta y la Fundación Rusia Libre, todas instituciones enfocadas en promover los intereses geopolíticos estadounidenses.

Sobre la base de estos elementos, no es de extrañar que Centro Carter haya sido empujado por los intereses económicos que lo sustentan en una dirección contraria a su rol de veedora electoral en Venezuela.

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