Geraldina Colotti
A proposito delle elezioni presidenziali in Venezuela e delle contestazioni che ne sono seguite a livello nazionale e internazionale, provocate dall’estrema destra, abbiamo intervistato il costituzionalista Hermann Escarra, un’autorità in materia.
Si è molto speculato a proposito dei risultati delle presidenziali in Venezuela. Considerando la profonda conoscenza che lei ha dell’Europa, può spiegare a un non-venezuelano qual è il quadro giuridico, politico e costituzionale in cui hanno preso piede queste speculazioni?
Il sistema elettorale venezuelano è considerato fra i più avanzati al mondo, sia nel senso tecnologico che per il sistema di garanzie previste: dalla costituzione, dalla legge organica del potere elettorale e dalla legge organica che regola i processi elettorali. Occorre ricordare che in Venezuela esistono 5 poteri. La nozione classica che deriva dal pensiero di Montesquieu e dalla rivoluzione francese, in particolare dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, contempla il Potere Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. La nostra Costituzione aggiunge il Potere Morale, riprendendo la decisione di Simon Bolivar di includerlo nel progetto di costituzione di Bolivia, dopo averlo previsto nel Discorso di Angostura, relativo al Potere Elettorale. Nel 1999, quando l’Assemblea Nazionale Costituente ha redatto il testo della Carta Magna, si è deciso di contemplare l’idea dei 5 poteri: aggiungendo ai tre poteri “classici” (Legislativo, Esecutivo e Giudiziario), il Potere Morale, o Cittadino, e il Potere Elettorale; attualizzando così in tutti gli aspetti i sistemi di garanzia della democrazia e dei diritti fondamentali. L’altro aspetto che bisogna mettere in rilievo per chi si rifà al pensiero europeo è che oltre all’esistenza di un Potere Elettorale, abbiamo una giurisdizione elettorale contemplata dalla stessa costituzione: al punto che, per dirimere un contenzioso di natura elettorale, si prevede la possibilità di ricorrere alla più alta istanza istituzionale, il Tribunal Supremo de Justicia (TSJ). Il ricorso dev’essere presentato presso la Sala Elettorale nelle modalità previste dall’articolo 297 della costituzione. Il Potere Elettorale, e nello specifico la Sala Elettorale, è dunque normato sia nell’ambito del TSJ che in quello costituzionale. Questo fa capire che il Potere Elettorale non è un ministero, non è una struttura di governo o un ufficio. Non si tratta di un servizio pubblico regolato dall’esecutivo, si tratta di un potere autonomo, indipendente, così come sono indipendenti gli altri poteri, il Legislativo, il Giudiziario, l’Esecutivo e il Potere Cittadino.
E quali sono le sue prerogative?
La funzione del Potere Elettorale, oltre a quella di organizzare le votazioni, è quella di garantire la stabilità democratica delle istituzioni. È un sistema di garanzie pieno, ampio, che serve a proteggere, mediante distinte forme giuridiche, i diritti politici, in particolare il diritto al suffragio e alla partecipazione. E qui occorre evidenziare un altro aspetto fondamentale: la democrazia venezuelana, nata dalla Costituzione del 1999, transita dal concetto di democrazia rappresentativa a quello di democrazia partecipativa e “protagonista”, come recita il testo costituzionale. Si dice anche che la sovranità risiede irrevocabilmente nel popolo, che la esercita direttamente nella forma prevista dalla Costituzione e nella legge, e indirettamente mediante il suffragio, attraverso gli organismi del Potere pubblico. Gli organi dello Stato sono un’emanazione della sovranità popolare a cui sono subordinati. A questo si deve aggiungere che nel nostro sistema di garanzie hanno speciale rilievo le norme stabilite a livello internazionale. Così, per esempio, se si devono valutare le garanzie giuridiche, lo si fa in base ai parametri stabiliti dalle norme internazionali sui diritti civili e politici; se si deve valutare la governabilità e la democrazia, lo si fa sulla base degli standard stabiliti in diversi documenti approvati, per esempio, dalle Nazioni unite o da altre istituzioni deputate. E così avviene per la garanzia dei cittadini e delle cittadine a esercitare il voto in modo segreto, universale e diretto, come facciamo in Venezuela dal 1947. Quello venezuelano è uno stato di diritto pieno, ispirato dalla prima carta costituzionale approvata dal popolo, nel 1811, e che contempla molti meccanismi di partecipazione popolare. Per questo, il nostro presidente Nicolas Maduro, rieletto il 28 luglio, prima delle presidenziali, ha percorso tutto il paese per ottemperare a un altro dei suoi incarichi costituzionali, quello di Presidente della Commissione di partecipazione. In questo ambito ha raccolto le proposte di tutti i cittadini e cittadine, intesi non solo nel senso giuridico ma in quello di tutte le abitanti e gli abitanti, di ogni età e estrazione, anche bambini e minori, e le ha trasmesse all’Assemblea Nazionale Costituente, in cui si esercita il Potere Originario, quello popolare. Si deve, insomma, conoscere la nostra Costituzione – la Ley Organica del TSJ, la Ley Organica del Potere Elettorale e dei processi elettorali – per avere una visione esatta di quel che è successo.
Cosa è accaduto, allora?
La verità è che un settore violento dell’estrema destra ha denunciato presunti brogli, ma senza presentare prove. Quando si solleva un polverone di questa portata sui verbali elettorali, chi fa un’accusa simile deve presentare le prove: prove certe, non manipolate, e deve presentarle nelle sedi deputate. Non solo questo non è avvenuto, ma si sono verificati atti di violenza gravissimi, alle persone e alle istituzioni pubbliche come ospedali e scuole, scoppiati nella notte del 28 e nei giorni successivi. Ma, intanto, c’è da dire che, in Venezuela, quando il CNE, com’è avvenuto il 28 luglio e tutte le altre volte in precedenza, certifica l’irreversibilità del risultato con l’80% delle schede scrutinate, viene dichiarato il vincitore. Qualunque percentuale si registri per il conteggio finale, non cambia il risultato, che ha dato la vittoria a Nicolas Maduro.
Perché sembra diventato fondamentale chiedere al CNE di presentare i verbali e perché questo non è finora avvenuto?
Come dicevamo, compete a chi denuncia brogli presentare le prove delle sue accuse. A questo si deve aggiungere che il responso della Sala Elettorale, emesso dopo aver sentito i 9 candidati presenti (perché il secondo classificato, Edmundo Gonzalez, della Piattaforma Unitaria Democratica – Pud -, non si è presentato) ha evidenziato gravi irregolarità, in questo modo: “Tutti i membri dell’alleanza Pud, che hanno sostenuto Edmundo Gonzalez Urrutia non hanno consegnato alcun materiale, sostenendo di non possedere alcun tipo di documentazione riferita a questo processo elettorale. Non hanno, quindi, nessun verbale di scrutinio, né testimoni di seggio. Hanno anche sostenuto di non aver partecipato al trasferimento di materiale elettorale, segnalando anzi che l’organizzazione Sumate ha fatto parte della squadra di consulenti tecnici della Pud”. Questi partiti che hanno appoggiato Edmundo Gonzalez hanno anche detto di non sapere chi abbia inserito nella pagina web, segnalata per gravi irregolarità, presunti verbali e schede elettorali. Va inoltre segnalato quanto prescrive la Legge organica del potere elettorale: “Il Cne ordinerà la pubblicazione dei risultati dei processi elettorali nella Gazzetta elettorale entro 30 giorni dalla proclamazione dei candidati o delle candidate”. Da qui, due conclusioni: è d’obbligo pubblicare i risultati, non i verbali. Questo, probabilmente, perché i riscontri sono nelle mani di tutti i partiti, che li hanno ricevuti, in ogni seggio alla fine dello scrutinio, e che li hanno dovuti controfirmare. Ogni partito è in grado di produrli e renderli pubblici. Per questo, presentandosi alla Sala Elettorale, il presidente Maduro ha dichiarato di poter presentare tutti i verbali di tutti i partiti che lo hanno appoggiato. Ovviamente, non posso sapere quale sarà il responso giuridico della Sala Elettorale in merito al ricorso, quel che però è certo è quanto dice la norma in merito ai risultati e al lasso di tempo per presentarli previsto per il Cne. Perché, allora, questa campagna sulla presentazione dei verbali, che tutti i partiti possiedono, una campagna scatenata in spregio alle norme e rivolta all’estero? E d’altro canto, il regolamento generale della Legge organica del processo elettorale dice con chiarezza a chi e in che modo devono essere consegnati i verbali: agli scrutatori, ai rappresentanti di partiti e ai candidati, che devono averne copia. Come mai il signor Gonzalez, che denuncia presunti brogli, non presenta i verbali agli organi competenti, e mette fine così a ogni dubbio e alle violenze che ha scatenato?
Anche alcuni paesi progressisti latinoamericani, che non sono ostili al Venezuela, insistono sulla pubblicazione dei verbali e propongono addirittura una commissione di verifica internazionale. Cosa sta succedendo e perché Colombia e Brasile si comportano in questo modo?
Quella della commissione internazionale di verifica mi sembra una strana iniziativa, considerando i principi che hanno retto e reggono la Repubblica bolivariana del Venezuela, ossia quelli dell’autodeterminazione e della non-ingerenza imperialista. Inoltre, una cosa è venire come accompagnanti dei processi elettorali, un’altra è intervenire negli affari interni di un paese, quando si sa che esistono organi competenti e abilitati per questo genere di verifica e che, come dicevo prima, ora sono in piena attività.
Quali scenari si aprono ora che è entrato in campo il TSJ?
Occorre aspettare la decisione definitiva del più alto tribunale della Repubblica. Rivolgendosi alla più alta istanza, il Presidente ha sottratto argomenti al caos e alla criminalità per riportare tutti gli elementi nello stato di diritto, nell’ambito costituzionale, perché si possano dirimere le contingenze con la ragione e sulla base di prove e documenti forniti dai 9 ex candidati in rappresentanza di 38 partiti. La sentenza del TSJ, il suo impegno con il popolo nell’applicazione della giustizia, avrà carattere probatorio e definitivo.
Il numero di voti totalizzato dal secondo classificato, il candidato dell’estrema destra Edmundo Gonzalez indica che l’opposizione ha comunque una forza molto consistente nel paese. Come lo spiega e cosa può accadere considerando la natura golpista di questa estrema destra venezuelana?
Di fronte al carattere golpista dell’estrema destra, l’importante è essere riusciti a contenerne la violenza. Volevano provocare un’insurrezione armata contro i poteri dello Stato, per questo hanno rivolto un appello alla Forza armata nazionale bolivariana, ma senza risultati: perché il Venezuela vuole la pace e la giustizia sociale, vuole sviluppare i suoi diritti economici, politici, culturali in un ambiente di coesistenza, regolato dalla costituzione in cui tutti crediamo. Per questo, siamo riusciti e riusciremo ancora a disinnescare i tentativi di chi vuole cancellare la Costituzione organizzando, com’è accaduto ora, attacchi cibernetici e criminali.
La destra internazionale sta cercando di riesumare il Gruppo di Lima. Pensa ci sia pericolo di un’aggressione imperialista?
C’è sempre un pericolo incombente di aggressione imperialista, molto evidente da quando Obama ha definito il Venezuela una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati uniti e ha dato l’avvio all’imposizione di misure coercitive unilaterali illegali, che hanno creato gravi danni al paese e prodotto molteplici aggressioni. È una possibilità che abbiamo sempre presente e che, ovviamente, non auspichiamo. Siamo per l’incontro e per il dialogo, per obiettivi comuni che garantiscano la sicurezza a livello internazionale e anche l’attività commerciale. Il Venezuela non è nemico del popolo statunitense, ha però differenze radicali con chi lo governa e che, in ultima istanza, non è un vero governo costituzionale, giacché la struttura profonda dell’esecutivo è diretta da imprese e corporazioni internazionali.
Maduro ha detto che, in caso di persistenza dei tentativi golpisti, potrebbe approfondire la rivoluzione bolivariana. Come valuta questa ipotesi?
Maduro è uno statista che ha a cuore la pace e il dialogo, ma deve soprattutto adempiere agli obblighi costituzionali, il primo dei quali è quello di evitare il colpo di Stato. E il modo migliore di farlo è approfondendo gli obiettivi della rivoluzione bolivariana: rafforzamento dello stato di diritto, dello stato sociale, massima protezione delle libertà e dei diritti umani, garanzia di una convivenza pacifica e piena sulla base del pluralismo politico e sociale come stabilisce la costituzione.
Come pensa che influiranno i risultati delle elezioni statunitensi e come valuta la posizione assunta dagli Usa?
Sia che vincano i democratici con Kamala Harris, o i repubblicani con Donald Trump, non vi saranno molte differenze nella politica estera statunitense. Una cosa, però, è certa: dovranno fare i conti da un lato con la nostra diplomazia di pace coniugata alla giustizia sociale, e dall’altro con il fatto che possediamo le prime riserve di petrolio al mondo certificate, che intendiamo commerciare in modo plurale e non monopolistico. Su questa base, se vogliono intensificare il commercio petrolifero, possiamo trovare un’intesa.
Dal sequestro di Alex Saab, agli omicidi mirati, al genocidio dei palestinesi tutto indica che l’imperialismo sta forzando i limiti della democrazia borghese, viola le sue stesse leggi per normalizzare l’orrore. Come costituzionalista come analizza questa tendenza?
Questo tipo di violazioni gravissime, assassinii e distorsioni delle norme che regolano la vita delle nazioni, indicano che un ciclo dell’imperialismo è giunto al termine. Se si guarda alla storia degli imperi, ci si accorge dei sintomi che compaiono alla fine di un ciclo, anche se l’analisi non può essere intesa in modo meccanico. Nel caso degli Stati uniti, possiamo elencare alcuni di questi gravi sintomi, segno di una crisi strutturale del modello: la grave disoccupazione, una moneta che non ha sostegno concreto, un enorme deficit, un’inflazione crescente, molti fronti aperti inutilmente sul piano militare, che producono instabilità a livello internazionale, ma anche interno, e molti altri aspetti che indicano una grave crisi di egemonia. Gli Usa sono alla fine di un ciclo. Dovrebbero reinventarsi, cercare un confronto con il nuovo mondo multipolare e multicentrico, plurale a livello ideologico, che sta nascendo. Dovrebbero rispettare la giustizia internazionale e dedicarsi alla pace del mondo.