Il TSJ risolve la controversia elettorale: e adesso cosa succede?

misionverdad.com

Il 31 luglio, tre giorni dopo lo svolgimento delle elezioni, il presidente Nicolás Maduro si è rivolto alla Sala Elettorale del Tribunal Supremo de Justicia (TSJ) per presentare un ricorso contenzioso elettorale che “permettesse di confrontare tutti gli elementi di prova e certificasse, attraverso una perizia di altissimo livello tecnico, i risultati delle elezioni del 28 luglio 2024”.

Dopo 23 giorni di indagini, durante i quali la Sala Elettorale ha convocato i candidati presidenziali, i responsabili dei partiti politici che hanno partecipato alle elezioni, i rettori del Potere Elettorale, e dopo aver effettuato una perizia esaustiva dei materiali richiesti al CNE, il massimo organo in materia di giurisdizione elettorale si è pronunciato convalidando i risultati offerti dal Potere Elettorale nei due bollettini successivi alla chiusura dei seggi il 28 luglio.

“Certifica in modo incontestabile il materiale elettorale periziato e questa sala convalida i risultati delle elezioni presidenziali del 28 luglio 2024 emessi dal CNE, in cui è stato eletto il cittadino Nicolás Maduro Moros come presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela per il periodo costituzionale 2025-2031, così si decide”, ha dichiarato la magistrata e presidente della massima istanza giudiziaria del paese.

La sentenza riafferma la competenza della Sala Elettorale del TSJ per dirimere i contenziosi elettorali conformemente a quanto stabilito nella Costituzione venezuelana e nella Ley Orgánica del Tribunal Supremo de Justicia, affermando che spetta “a questo organo il controllo giudiziario delle azioni o omissioni degli agenti che hanno partecipato al suddetto fatto elettorale, e dinanzi alla richiesta di tutela giudiziaria sul diritto di voto di tutte le elettrici e gli elettori della Repubblica, in salvaguardia della sovranità popolare, poiché si è chiesto di verificare quale sia stata la volontà dell’elettorato”.

Ha anche confermato l’attacco informatico massivo contro il Consiglio Nazionale Elettorale, “che ha comportato una evidente trasgressione al Potere Elettorale”, e ha comunicato l’invio di una copia certificata alla Fiscalía General de la República della sentenza affinché sia utilizzata come prova per le indagini che il Ministero Pubblico sta conducendo per determinare le responsabilità nei vari reati presumibilmente commessi, tra cui la presentazione di documenti con ampi indizi di falsificazione e manipolazione caricati su un sito web non ufficiale.

Sono state registrate nel verdetto del tribunale le assenze di Edmundo González Urrutia e del rettore del CNE, Juan Carlos Del Pino, che non ha giustificato la sua assenza. Nel caso dell’ex candidato presidenziale si è fatto riferimento al disprezzo e alla mancanza di rispetto per l’autorità giudiziaria, nonché “al suo rifiuto di attenersi all’ordine costituzionale, comportamento che comporta le sanzioni previste dall’ordinamento giuridico vigente”. Si evidenzia anche la mancata presentazione del materiale elettorale da parte di alcuni candidati (Antonio Ecarri ed Enrique Márquez), così come dei partiti politici che hanno sostenuto González Urrutia.

La sentenza è stata emessa in conformità alla legge e prendendo come elementi di convinzione le prove presentate dalle parti coinvolte nel contenzioso elettorale, nonché il rapporto di perizia “realizzato con esperti nazionali e internazionali altamente qualificati”. La perizia ha stabilito che i bollettini del CNE sono supportati dai verbali e dai seggi elettorali.

La magistrata ha citato alcuni esempi recenti sia in America Latina (Messico e Brasile) che negli USA, dove i massimi organi giurisdizionali in materia elettorale hanno sentenziato in modo inequivocabile sulle controversie verificatesi durante le elezioni presidenziali, “garantendo in questo modo la pace sociale”.

La sentenza richiede al CNE di pubblicare i risultati della giornata del 28 luglio nella Gazzetta Ufficiale, entro i trenta giorni stabiliti dalla Ley Orgánica de Procesos Electorales, dando per concluso con questo atto formale tutto il processo elettorale iniziato lo scorso 5 marzo 2024 con la convocazione delle elezioni presidenziali.

E ora cosa succede?

A quasi un mese dalle elezioni presidenziali, la sentenza del TSJ rappresenta un punto di chiusura istituzionale della controversia post-elettorale che era stata sollevata dopo il 28 luglio.

Con le peculiarità giuridiche proprie dell’ordine costituzionale venezuelano, l’azione del TSJ nelle ultime tre settimane, che ha incluso audizioni con attori politici e istituzionali, la ricezione del materiale elettorale e una perizia tecnica su di esso, è in linea con le procedure giudiziarie ordinarie che si sono svolte recentemente nella regione latinoamericana per dirimere controversie di questo tipo, sia in Brasile, Paraguay o, pochi mesi fa, in Messico.

Su questo tema specifico, questa tribuna di analisi ha pubblicato due lavori (qui e qui) che offrono una prospettiva regionale sul contenzioso elettorale nel massimo tribunale venezuelano, e in essi si evidenzia, in diversi modi, che tale ricorso è più una regola che un evento eccezionale.

D’ora in poi, è prevedibile un aumento del rumore informativo e la consolidazione di posizioni ostili contro il paese da parte della “comunità internazionale” associata al diagramma di influenza di Washington e Bruxelles, in pieno scenario di declino geopolitico, e infinitamente più preoccupata per l’evoluzione di Gaza o dell’Ucraina che per la sentenza del TSJ.

La prima reazione da questo fronte è venuta dalla Misión de Determinación de los Hechos de Venezuela, un’istanza configurata all’interno dei labirinti burocratici delle Nazioni Unite dal defunto Gruppo di Lima, che è rimasta nel panorama come una sorta di rovina archeologica della fase di “massima pressione” contro il Venezuela.

La mancanza del fattore sorpresa nella prima risposta alla sentenza è indicativa del fatto che la pressione contro il paese continua a essere gestita nel suo quadro abituale, con livelli di impatto che in altri contesti di destabilizzazione e non riconoscimento dello Stato venezuelano si sono rivelati limitati.

Una nota pubblicata da Reuters a seguito della decisione giudiziaria potrebbe essere sintomatica del fatto che le condizioni internazionali non sono del tutto favorevoli per l’agenda golpista: “Il contestato scontro svanisce dai titoli internazionali”, ha dichiarato l’agenzia britannica.

Senza un impulso di forza dai media, e senza uno scenario di conflitto delineato con intensità dalle strade che fratturi materialmente la normalità sociale ed economica che ha caratterizzato tutto il mese di agosto, rischiare troppo dal fronte esterno potrebbe essere controproducente.

Nella stessa nota in questione, Reuters assicura che Washington ha pronto un pacchetto di sanzioni illegali individuali contro i funzionari venezuelani per rispondere alla decisione del TSJ. Da Bruxelles si può prevedere un movimento simile, prevedibilmente sostenuto da paesi latinoamericani che, dal primo giorno, hanno disconosciuto i risultati, in attesa delle prossime istruzioni dai centri di potere a cui rispondono.

Ora, il contesto internazionale — per il momento — è molto meno favorevole per l’operazione di cambio di regime rispetto a quando c’era l’interinato fake di Guaidó nel 2019. Questa volta non esiste un precetto costituzionale che possa essere alterato o allungato a sufficienza per ripetere quella avventura politica e geopolitica.

Sul fronte energetico, ci sono troppi rischi da assumere.

Optare per un’escalation di sanzioni petrolifere affronterà interessi e lobby di grandi aziende energetiche che stanno investendo in modo sostanziale in progetti con la statale PDVSA. A pochi mesi dalle elezioni negli USA, indurre instabilità nel mercato energetico internazionale destabilizzando le esportazioni di petrolio venezuelano comporterebbe un errore non forzato in termini elettorali per la formula Harris-Walz che propugna la “stabilità e il futuro” contro il “caos e il passato” di Trump come principale strategia di campagna.

L’avvertimento del presidente Maduro di trasferire gli sviluppi petroliferi in Venezuela ai paesi BRICS è stato preso sul serio negli uffici aziendali delle principali società occidentali coinvolte in Venezuela.

In tale scenario rimarrebbe poco margine di manovra per altro che la dura retorica, le sanzioni individuali e la pressione diplomatica per non riconoscere Maduro, elementi che non intaccherebbero del tutto la linea di galleggiamento di un’economia con segni di ripresa e una stabilità politica e istituzionale trasformata in consenso condiviso da attori sociali ed economici.

A livello internazionale, rimarrà anche da vedere la mossa di Lula e Petro. Indipendentemente da come affronteranno la sentenza, non cambierebbe molto il quadro generale se insistessero nel posticipare il riconoscimento ufficiale di Maduro, guadagnando tempo tramite proposte e iniziative che continuano a rimanere in sospeso.

L’incognita più urgente in questo momento è se, davanti alla conclusione istituzionale della controversia, ricompariranno le risorse extrapolitiche (criminali, assassini e mercenari) abituali in questo tipo di scenari, e con quale intensità e modalità.

María Corina Machado è la figura (anti)politica che con maggiore fedeltà ha espresso lo zeitgeist (spirito del tempo) dell’interventismo, della violenza e dell’eliminazione del chavismo come compito dell’estrema destra.

Le circostanze del momento, il quadro nazionale, internazionale ed energetico, non favoriscono María Corina Machado e il suo programma golpista, il che potrebbe incentivare la scommessa su una manovra di forza — di carattere terroristico — come unica via per riprendere l’offensiva ed evitare così uno scenario di imputazione, tramite la Fiscalía General de la República, per i reati commessi durante e dopo il processo elettorale.

In definitiva, il corso degli eventi porta alla conclusione logica di un nuovo spazio di dialogo che normalizzi la situazione politica nazionale e rafforzi la governabilità, in vista delle prossime scadenze elettorali, con le elezioni legislative e dei governatori praticamente alle porte.

Qui la sentenza del TSJ gioca anche un ruolo fondamentale, in quanto ha confermato che figure politiche come Manuel Rosales, José Cartaya e José Simón Calzadilla, membri della Plataforma Unitaria Democrática e responsabili della candidatura di Edmundo González, non hanno relazione con la gestione dei verbali, l’asse centrale della controversia post-elettorale.

Nel viaggio verso l’abisso di María Corina Machado non tutti hanno comprato il biglietto di sola andata, né a livello nazionale né internazionale.


El TSJ dirime la controversia electoral: ¿y ahora qué?

El 31 de julio, tres días después de celebrarse los comicios, el presidente Nicolás Maduro acudió a la Sala Electoral del Tribunal Supremo de Justicia (TSJ) para interponer un recurso contencioso electoral que “permitiese cotejar todos los elementos de prueba y certifique, haciendo un peritaje del altísimo nivel técnico, los resultados de las elecciones del 28 de julio de 2024”.

Tras 23 días de investigaciones, durante los cuales la Sala Electoral convocó a los candidatos presidenciales, a los responsables de los partidos políticos que participaron en los sufragios, a los rectores del Poder Electoral, y luego de realizar un peritaje exhaustivo de los materiales solicitados al CNE, el máximo órgano en materia de jurisdicción electoral se pronunció convalidando los resultados ofrecidos por el Poder Electoral en los dos boletines posteriores al cierre de las mesas el 28 de julio.

“Certifica de forma inobjetable el material electoral peritado y convalida esta sala los resultados de los comicios presidenciales del 28 de julio del 2024 emitidos por el CNE, en los que resultó elegido el ciudadano Nicolás Maduro Moros como presidente de la República Bolivariana de Venezuela para el periodo constitucional 2025-2031, así se decide”, indicó la magistrada y presidenta de la máxima instancia judicial del país.

La sentencia reafirma la competencia de la Sala Electoral del TSJ para dirimir los contenciosos electorales de conformidad a lo establecido en la Constitución venezolana y en la Ley Orgánica del Tribunal Supremo de Justicia, al señalar que le compete “a este órgano el control judicial de las actuaciones u omisiones de los agentes que intervinieron en el referido hecho electoral, y ante la solicitud de tutela judicial sobre el derecho al sufragio de todas las electoras y electores de la República, valga decir en salvaguarda de la soberanía popular puesto que se pidió verificar cuál ha sido la voluntad del electorado”.

También corroboró el ataque cibernético masivo contra el Consejo Nacional Electoral, “lo que resultó en una evidente transgresión al Poder Electoral”, e informó sobre el envío de una copia certificada a la Fiscalía General de la República de la sentencia para que sea usada como evidencia para las investigaciones que viene realizando el Ministerio Público con vistas a determinar responsabilidad en los distintos delitos que presumiblemente se cometieron y que incluyen la presentación de documentos con amplios indicios de falsificación y manipulación cargados en una página web no oficial.

Quedaron registradas en el dictamen del tribunal las ausencias de Edmundo González Urrutia y del rector del CNE, Juan Carlos Del Pino, quien no justificó su inasistencia. En el caso del excandidato presidencial se hizo referencia al desacato e irrespeto a la autoridad judicial así como “su renuencia a ceñirse al orden constitucional, conducta que acarrea las sanciones previstas en el ordenamiento jurídico vigente”. Se destaca también la no presentación de material electoral de algunos candidatos (Antonio Ecarri y Enrique Márquez), así como de los partidos políticos que apoyaron a González Urrutia.

El fallo se realiza ajustado a derecho y tomando como elementos de convicción las pruebas presentadas por las partes involucradas en el contencioso electoral, así como el informe de peritaje “realizado con expertos nacionales e internacionales altamente calificados”. El peritaje determinó que los boletines del CNE están respaldados con las actas y mesas de votación.

La magistrada comentó algunos ejemplos recientes tanto de América Latina (México y Brasil) como de Estados Unidos, donde los máximos órganos jurisdiccionales en materia electoral sentenciaron de manera inequívoca sobre controversias ocurridas durante los comicios presidenciales, “garantizando por esta vía la paz social”.

La sentencia solicita al CNE la publicación de los resultados de la jornada del 28 de julio en la Gaceta Oficial, dentro del margen de treinta días establecidos en la Ley Orgánica de Procesos Electorales, dando por concluido con este acto formal todo el proceso electoral que inició el pasado 5 de marzo de 2024 con la convocatoria a elecciones presidenciales.

¿Y ahora qué?

A casi un mes de los comicios presidenciales, la sentencia del TSJ constituye un punto de cierre institucional de la controversia postelectoral que estaba planteada luego del 28 de julio.

Con las particularidades jurídicas propias del orden constitucional venezolano, la actuación del TSJ a lo largo de las últimas tres semanas, que ha incluido audiencias con actores políticos e institucionales, recepción de material electoral y un peritaje técnico sobre el mismo, está en línea con los procedimientos judiciales ordinarios que han tenido lugar en la región latinoamericana recientemente a la hora de dirimir controversias de esta clase, sea en Brasil, Paraguay o, hace pocos meses, México.

Sobre tal tema en específico, esta tribuna de análisis ha publicado dos trabajados (aquí y aquí) que otorgan una perspectiva regional al contencioso electoral en el máximo tribunal venezolano, y en ellos se destaca de diversas formas que dicho recurso es más una regla que una evento excepcional.

A partir de ahora, es previsible un aumento del ruido informativo y la consolidación de posturas hostiles contra el país desde la “comunidad internacional” asociada al diagrama de influencia de Washington y Bruselas, en pleno escenario de mengua geopolítica, e infinitamente más angustiada por el devenir de Gaza o Ucrania que por la sentencia del TSJ.

La primera reacción desde este frente provino de la Misión de Determinación de los Hechos de Venezuela, instancia configurada dentro de los laberintos burocráticos de la ONU por el extinto Grupo de Lima, que ha quedado en el paisaje como una especie de ruina arqueológica de la etapa de “máxima presión” contra Venezuela.

La falta de factor sorpresa en la primera respuesta a la sentencia es indicativo de que el tablero de presiones contra el país sigue manejándose en su marco habitual, con niveles de impacto que en otros contextos de desestabilización y desconocimiento del Estado venezolano se han comprobado limitados.

Una nota publicada por Reuters a raíz de la decisión judicial podría ser sintomática de que las condiciones internacionales no son del todo favorables para la agenda golpista: “La disputada contienda se desvanece de los titulares internacionales”, indicó la agencia británica.

Sin un envión de fuerza desde los medios, y sin un panorama de conflicto planteado con intensidad desde las calles que fracture materialmente la normalidad social y económica que ha caracterizado todo el mes de agosto, arriesgar demasiado desde el frente externo podría ser contraproducente.

En la misma nota en cuestión, Reuters asegura que Washington tiene preparado un paquete de sanciones ilegales individualizadas contra funcionarios venezolanos para responder a la decisión del TSJ. Desde Bruselas se puede proyectar un movimiento similar, previsiblemente secundado por países latinoamericanos que, desde el día uno, desconocieron los resultados, a la espera de las próximas instrucciones de los centros de poder a los cuales responden.

Ahora bien, el contexto internacional —por los momentos— es mucho más desfavorable para la operación de cambio de régimen que cuando el interinato fake de Guaidó en 2019. Esta vez no existe sobre la mesa un precepto constitucional que pueda ser alterado o estirado lo suficiente como para reeditar dicha aventura política y geopolítica.

Por el lado energético, son demasiados los riesgos a asumir.

Ir por una escalada de sanciones petroleras enfrentará intereses y lobbies de grandes empresas energéticas que vienen invirtiendo de forma sustancial en proyectos con la estatal PDVSA. A meses de los comicios en Estados Unidos, inducir inestabilidad en el mercado energético internacional desestabilizando las exportaciones de crudo venezolano implicaría un error no forzado en términos electorales para una fórmula Harris-Walz que propugna la “estabilidad y el futuro” frente al “caos y el pasado” de Trump como principal estrategia de campaña.

La advertencia del presidente Maduro de transferir los desarrollos petroleros en Venezuela a los países Brics se lo han tomando en serio en las oficinas corporativas de las principales empresas occidentales involucradas en Venezuela.

En tal escenario quedaría poco margen de maniobra para algo más que la dureza retórica, las sanciones individuales y la presión diplomática para desconocer a Maduro, elementos que no afectarían del todo la línea de flotación de una economía con signos de recuperación y una estabilidad política e institucional transformada en consenso compartido por actores sociales y económicos.

En lo internacional, también quedará ver el movimiento de Lula y Petro. Independientemente de cómo enfoquen la sentencia, no cambiaría demasiado el cuadro general si insisten en postergar el reconocimiento oficial de Maduro, ganando tiempo mediante propuestas e iniciativas que siguen quedando en el aire.

La incógnita más urgente en este momento es si, ante la conclusión institucional de la controversia, los recursos extrapolíticos (criminales, magnicidas y mercenarios) habituales en este tipo de escenarios reaparecen, y con qué intensidad y procedimiento.

María Corina Machado es la figura (anti)política que con mayor fidelidad ha expresado el zeitgeist de la intervención, la violencia y el exterminio del chavismo como planteamiento práctico del quehacer de la extrema derecha.

Las circunstancias del momento, el cuadro nacional, internacional y energético, no favorecen a María Corina Machado y su programa golpista, lo que podría incentivar la apuesta por una maniobra de fuerza —de carácter terrorista— como única forma de retomar la ofensiva y evadir así un escenario de imputación, mediante la Fiscalía General de la República, por delitos cometidos durante y después del proceso electoral.

En definitiva, el curso de los acontecimientos lleva a la conclusión lógica de un nuevo espacio de diálogo que normalice la situación política nacional y fortalezca la gobernabilidad, de cara a las próximas citas electorales, con las legislativas y de gobernaciones prácticamente a la vuelta de la esquina.

Aquí la sentencia del TSJ también juega un rol fundamental, en tanto corroboró que factores políticos como Manuel Rosales, José Cartaya y José Simón Calzadilla, miembros de la Plataforma Unitaria Democrática y a cargo de la postulación de Edmundo González, no guardan relación con el manejo de actas, el eje central de la controversia postelectoral.

En el carro hacia el abismo de María Corina Machado no todos compraron el boleto solo de ida, ni nacional ni internacionalmente.

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