Il ruolo delle sanzioni nelle elezioni venezuelane

Il Centro di Ricerca Economica e Politica (CEPR), un gruppo di esperti USA specializzato in politica economica e diretto da Marc Weisbrot, ha pubblicato un rapporto sulle elezioni presidenziali venezuelane del 28 luglio.

misionverdad.com

Dopo aver ricostruito il processo fino alla sua conclusione presso il Tribunale Supremo di Giustizia, il rapporto dedica un segmento ad analizzare l’influenza delle sanzioni economiche imposte dagli USA e dai suoi alleati.

Lo studio evidenzia come queste misure abbiano profondamente influenzato l’ambiente politico e sociale del paese, generando condizioni di coercizione nel contesto elettorale che sono state poco esplorate in analisi precedenti.

“(…) c’è stata poca discussione sull’impatto delle ampie sanzioni imposte dagli USA e da alcuni dei suoi alleati europei, e su come queste abbiano reso praticamente impossibile avere un’elezione democratica, o libera e giusta in questo momento”.

Il rapporto si basa su una contestualizzazione della storia recente dell’intervento USA in Venezuela, tracciando la partecipazione degli USA in eventi come il colpo di stato del 2002, lo sciopero petrolifero del 2002-2003 e l’imposizione di sanzioni progressive dal 2004.

Il gruppo sottolinea che “gli USA sono intervenuti pesantemente in Venezuela, negli ultimi 25 anni, a partire dal golpe militare del 2002”.

Si evidenzia il carattere distruttivo delle sanzioni che “hanno causato decine di migliaia di morti, oltre a provocare danni devastanti alla salute pubblica e la fuga di milioni di persone”.

In tal senso, le sanzioni non solo hanno un impatto devastante sull’economia, ma influenzano anche l’integrità dei processi elettorali, essendo uno strumento di coercizione politica che “mette in pericolo la vita e mira a indurre i votanti a scegliere l’opzione preferita dagli USA o a sbarazzarsi del governo con altri mezzi”.

Il CEPR ha sottolineato la comprensione del carattere violento del regime sanzionatorio da parte dei funzionari politici USA, citando la lettera del congressista Jim McGovern al presidente Biden nel maggio 2021, in cui si esige la fine delle “sanzioni secondarie e settoriali contro il Venezuela”. McGovern sostiene che:

“l’impatto delle sanzioni settoriali e secondarie è indiscriminato e deliberato… Il dolore economico è il mezzo con cui si suppone che funzionino. Ma non sono i funzionari venezuelani a soffrirne i costi. È il popolo venezuelano…”.

Viene inoltre presentata evidenza sul loro impatto mortale, supportata da studi della stessa orbita dell’opposizione come l’Encuesta Nacional de Condiciones de Vida (ENCOVI), che ha rivelato un aumento della mortalità del 31% nel primo anno dopo le sanzioni dell’amministrazione Trump nel 2017.

“Questo è coerente con le ricerche sulla relazione tra recessioni e mortalità nei paesi in via di sviluppo, come dimostrato dalla ricerca della Banca dei Regolamenti Internazionali, il che implicherebbe un aumento di circa 43 mila morti a causa della contrazione economica nel primo anno di queste ampie sanzioni USA, incluse quelle finanziarie.”

Si stima che le sanzioni abbiano provocato una contrazione del 37% del PIL pro capite del Venezuela, una cifra superiore alla caduta sperimentata dagli USA durante la Grande Depressione.

L’analisi del CEPR è categorica nel rilevare che le sanzioni sono un fattore determinante nella situazione socioeconomica del Venezuela, argomentando che la situazione si complica ulteriormente a causa della percezione generalizzata che la rielezione del governo attuale comporterebbe la continuazione e persino un possibile inasprimento delle sanzioni.

Questa prospettiva crea uno scenario in cui l’elettorato si trova sotto l’ombra della coercizione, dove la minaccia di maggiori sofferenze e devastazioni, in caso di una decisione elettorale “sbagliata”, pesa fortemente sulla deliberazione individuale. Un chiaro esercizio di post-verità.

Per illustrare che esiste un modello di intervento USA nelle elezioni sotto il pretesto di frode elettorale, l’elemento utilizzato contro il Venezuela nell’attuale congiuntura, il rapporto presenta una revisione della storia recente della sua politica estera nella regione, dimostrando un costante coinvolgimento nella destabilizzazione di governi democraticamente eletti.

“Dall’inizio degli anni 2000, Washington è intervenuta contro vari governi democraticamente eletti nella regione, a volte riuscendo a rovesciarli, con gravi costi per quei paesi e i loro popoli. Questo ha incluso il Brasile (dove gli USA hanno fornito copertura diplomatica alla destituzione di Dilma Rousseff e sono stati coinvolti nella guerra legale diretta contro Lula da Silva); l’Honduras (dove gli USA hanno aiutato al successo di un golpe militare nel 2009); Haiti (dove gli USA hanno sostenuto un colpo di stato nel 2004 e l’inversione arbitraria dei risultati elettorali nel 2011); il Paraguay (dove gli USA hanno sostenuto la destituzione di un presidente nel 2012); e la Bolivia (dove gli USA e l’OSA hanno sostenuto un golpe militare nel 2019), tra gli altri.”

Si evidenzia in particolare il caso della Bolivia, nel 2019, dove l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), sotto la direzione di Luis Almagro, ha giocato un ruolo fondamentale nella giustificazione del colpo di Stato contro la rielezione di Evo Morales.

La base dell’intervento si è fondata su una falsa accusa di frode elettorale, smentita da 133 economisti e statistici in una lettera aperta all’OSA. Allo stesso modo, un articolo pubblicato sul New York Times il 7 giugno 2020, ha smentito la storia che le elezioni del 2019 fossero state truccate.

La ricerca dimostra che le sanzioni imposte dagli USA agiscono come un meccanismo di condizionamento che influisce sull’autonomia della decisione elettorale della popolazione venezuelana.

Ciò pone sotto una nuova luce l’operazione di gestione percettiva di grande portata che per mesi ha preceduto la giornata elettorale di fine luglio, evidenziando che l’intensa omissione del fattore delle misure coercitive unilaterali minava l’idea di “redenzione” e “alternativa” rappresentata dalla candidatura per delega di Edmundo González Urrutia.

Ciò mette in luce un altro elemento che deve essere incorporato in ogni analisi: non si è mai trattato di González o María Corina Machado come alternativa reale, fondata e credibile, bensì come una risorsa inserita sulla popolazione profondamente colpita dall’impatto delle sanzioni, dove era difficile qualsiasi idea di dibattito obiettivo senza considerare il programma sanzionatorio come elemento fondamentale.

E offre, addirittura, un ulteriore dato. Messa in prospettiva la realtà venezuelana sotto la pressione dell’asfissia, il carattere geopolitico delle elezioni presidenziali venezuelane dimostra che María Corina Machado e González Urrutia non erano attori politici per sé, bensì l’ariete contro il vero principale nemico degli USA nella contesa: la ripresa economica nonostante le sanzioni e il nuovo consenso nazionale rispetto all’economia venezuelana, che esclude tutti i fattori estremisti dello spettro oppositore.


El rol de las sanciones en las elecciones venezolanas

El Centro de Investigación Económica y Política (CEPR), grupo de expertos estadounidenses especializado en política económica dirigido por Marc Weisbrot, publicó un informe sobre las elecciones presidenciales venezolanas del 28 de julio.

Tras reconstruir el proceso hasta su desenlace en el Tribunal Supremo de Justicia, el informe dedica un segmento a analizar la influencia de las sanciones económicas impuestas por Estados Unidos y sus aliados.

El estudio resalta cómo estas medidas han impactado profundamente el entorno político y social del país, generando condiciones de coerción en el contexto electoral que han sido poco exploradas en análisis previos.

“(…) ha habido poca discusión sobre el impacto de las amplias sanciones impuestas por Estados Unidos, y algunos de sus aliados europeos, y sobre cómo estas han hecho que sea prácticamente imposible tener una elección demócratica, o libre y justa en este momento”.

El reporte se basa en una contextualización de la historia reciente de la intervención estadounidense en Venezuela, rastreando la participación de Estados Unidos en eventos como el golpe de Estado de 2002, el paro petrolero de 2002-2003 y la imposición de sanciones progresivas desde 2004.

El grupo subraya que “Estados Unidos ha intervenido fuertemente en Venezuela durante los últimos 25 años, comenzando con el golpe militar de 2002”.

Se destaca el carácter destructivo de las sanciones que “han cobrado decenas de miles de vidas, además de causar daños devastadores a la salud pública y provocar la salida de millones”.

En ese sentido, las sanciones no solo tienen un impacto devastador en la economía, sino que también afectan la integridad de los procesos electorales, siendo una herramienta de coerción política que “pone en peligro la vida y que busca inducir a los votantes a que escojan la opción preferida por Estados Unidos o que se deshagan del gobierno por otros medios”.

El CEPR hace hincapié en la comprensión del carácter violento del régimen sancionatorio por funcionarios políticos estadounidenses, citando la carta del congresista Jim McGovern al presidente Biden en mayo de 2021, en la que se exige el fin de las “sanciones secundarias y sectoriales contra Venezuela”. McGovern sostiene que:  “el impacto de las sanciones sectoriales y secundarias es indiscriminado y deliberado… El dolor económico es el medio por el cual se supone que funcionan. Pero no son los funcionarios venezolanos quienes sufren los costos. Es el pueblo venezolano…”.

También se presenta evidencia sobre su impacto mortal, respaldado por estudios de la propia órbita opositora como la Encuesta Nacional de Condiciones de Vida (ENCOVI), que reveló un aumento de la mortalidad de 31% en el primer año después de las sanciones de la administración Trump en 2017.

“Esto es coherente con las investigaciones sobre la relación entre las recesiones y la mortalidad en los países en desarrollo, como lo demuestra la investigación del Banco de Pagos Internacionales, lo que implicaría un aumento de alrededor de 43 mil muertes debido a la contracción económica en el primer año de estas amplias sanciones estadounidenses, incluidas las financieras.”

Se estima que las sanciones han provocado una contracción de 37% del PIB per cápita de Venezuela, una cifra mayor que la caída experimentada por Estados Unidos durante la Gran Depresión.

El análisis del CEPR es categórico al señalar que las sanciones son un factor determinante en la situación socioeconómica de Venezuela, argumentando que se complica aún más debido a la percepción generalizada de que la re-elección del gobierno actual conllevaría la continuidad e incluso un posible endurecimiento de las sanciones.

Esta perspectiva genera un escenario donde el electorado se encuentra bajo la sombra de la coerción, donde la amenaza de mayor sufrimiento y devastación, en caso de una decisión electoral “incorrecta”, pesa fuertemente en la deliberación individual. Un claro ejercicio de postverdad.

Para ilustrar que existe un patrón de intervención estadounidense en elecciones bajo el argumento de fraude electoral, el elemento que se utiliza en contra de Venezuela en la actual coyuntura, el reporte presenta una revisión de la historia reciente de su política exterior en la región, demostrando un constante involucramiento en la desestabilización de gobiernos democráticamente elegidos.

“Desde principios de la década de 2000, Washington ha intervenido contra varios gobiernos elegidos democráticamente en la región, a veces logrando derrocarlos, con un grave costo para esos países y sus pueblos. Esto ha incluido a Brasil (donde EE. UU. prestó cobertura diplomática a la destitución de Dilma Rousseff y estuvo involucrado en la guerra legal dirigida contra Lula da Silva); Honduras (donde EE. UU. ayudó a que un golpe militar tuviera éxito en 2009); Haití (donde EE. UU. apoyó un golpe de Estado en 2004 y la reversión arbitraria de los resultados electorales en 2011); Paraguay (donde EE. UU. apoyó la destitución de un presidente en 2012); y Bolivia (donde EE. UU. y la OEA apoyaron un golpe militar en 2019), entre otros”.

Se destaca particularmente el caso de Bolivia en 2019, donde la Organización de Estados Americanos (OEA), bajo la dirección de Luis Almagro, jugó un papel fundamental en la justificación del golpe de Estado contra la reelección de Evo Morales.

La base de la intervención se fundamentó en una acusación falsa de fraude electoral, desmentida por 133 economistas y estadísticos en una carta abierta a la OEA. Del mismo modo, un artículo publicado en el New York Times el 7 de junio de 2020 también desmintió la historia de que las elecciones de 2019 habían sido robadas.

La investigación demuestra que las sanciones impuestas por Estados Unidos actúan como un mecanismo de condicionamiento que afecta la autonomía de la decisión electoral de la población venezolana.

Esto pone bajo una nueva luz la operación de administración perceptiva de gran calado que por meses antecedió a la jornada electoral de finales de julio, evidenciando que la omisión intensiva del factor medidas coercitivas unilaterales atentaba contra la idea de “redención” y “alternativa” que representó la candidatura por delegación de Edmundo González Urrutia.

Lo que pone sobre el tapete otro elemento que debe ser incorporado a todo análisis: nunca se trató de González o María Corina Machado como alternativa real, fundamentada y creíble, sino como recurso incrustado sobre la población profundamente afectada por el impacto de las sanciones, donde era difícil cualquier idea de debate objetivo sin tomar el programa sancionatorio como elemento fundamental.

Y ofrece, incluso, un dato más. Puesta en perspectiva la realidad venezolana bajo la presión de la asfixia, el carácter geopolítico de las elecciones presidenciales venezolanas demuestran que María Corina Machado y González Urrutia no eran actores políticos per sé, sino el arriete contra el verdadero principal enemigo de los Estados Unidos en la contienda: la recuperación económica a pesar de las sanciones y el nuevo consenso nacional respecto a la economía venezolana, que excluye a todos los factores extremistas del espectro opositor.

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