I movimenti recenti in America Latina riguardo al Venezuela

Due percezioni del mancato riconoscimento della istituzionalità venezuelana

misionverdad.com

La Sala Elettorale del Tribunale Supremo di Giustizia del Venezuela ha emesso una sentenza sul contenzioso elettorale introdotto dal presidente Nicolás Maduro, tre giorni dopo le elezioni in cui è stato rieletto. Nel verdetto del massimo tribunale elettorale del paese si evidenzia che “i bollettini emessi dal Consiglio Nazionale Elettorale in merito alle Elezioni Presidenziali del 2024, sono supportati dai verbali di scrutinio emessi da ciascuna delle macchine di voto dispiegate nel processo elettorale, e questi verbali mantengono piena coincidenza con i registri delle basi di dati dei Centri Nazionali di Totalizzazione”.

La decisione adottata, che riguarda il popolo venezuelano e le sue istituzioni democraticamente costituite, ha suscitato una diversità di reazioni che, nonostante le dissimili manifestazioni, sembrano convergere sullo stesso punto: il mancato riconoscimento della struttura istituzionale e democratica dello Stato venezuelano.

“Gruppo di Lima 2.0”?

L’affinità dimostrata da alcuni paesi della regione al momento di non riconoscere le autorità elettorali del Venezuela, dopo la divulgazione dei risultati delle elezioni del 28 luglio, rivela un’operazione volta a rieditare una sorta di “Gruppo di Lima 2.0” adattato al contesto internazionale attuale, caratterizzato dalla disputa geopolitica che genera la transizione verso un nuovo ordine internazionale.

I comunicati congiunti del 29 luglio, 16 agosto e 23 agosto, firmati principalmente da cancellerie latinoamericane e caraibiche (eccetto il secondo, che ha incluso alcuni paesi europei e il Marocco), rivelano che l’operazione di non riconoscimento, già denunciata in precedenza, abbia avuto, sin dall’inizio, un vettore internazionale che avrebbe fatto eco alle denunce di frode presentate dal duo González/Machado.

Così recita il comunicato di questo gruppo del 23 agosto:

“I nostri paesi avevano già manifestato il mancato riconoscimento della validità della dichiarazione del CNE, dopo che è stato impedito l’accesso ai rappresentanti dell’opposizione al conteggio ufficiale, la mancata pubblicazione dei verbali e la successiva negazione di effettuare un audit imparziale e indipendente su tutti loro”.

“La Missione Internazionale Indipendente di Determinazione dei Fatti sulla Repubblica Bolivariana del Venezuela ha avvertito della mancanza di indipendenza e imparzialità di entrambe le istituzioni, sia del CNE che del TSJ”.

In assenza di significative mobilitazioni interne che sostengano le denunce dell’opposizione, la strategia di esercitare “pressione internazionale” sembra essere l’opzione principale.

Tuttavia, questa strategia, che potrebbe perdere efficacia col passare del tempo, si è concentrata principalmente nel generare una “campagna di vergogna” e “condanna internazionale” che non ha dato i risultati desiderati, e alla quale il governo venezuelano ha saputo controbattere.

Nonostante ciò, è questa campagna, sotto queste coordinate, che sta ponendo le basi per guadagnare il necessario supporto in vista di un eventuale inasprimento del regime di sanzioni contro il paese che implicherebbe, di fatto, l’imposizione di nuove restrizioni allo Stato venezuelano e, di conseguenza, al paese nel suo insieme.

Ricordiamo che durante la campagna presidenziale in Venezuela il presidente argentino, Javier Milei, ha dichiarato di essere disposto ad applicare sanzioni contro Caracas e a convincere altri paesi ad unirsi. L’Argentina ha svolto, in questi mesi, un ruolo di primo piano nella predisposizione di sostegno e risorse per l’agenda di rottura.

Asse Brasilia-Bogotà o il gruppo di Lula?

L’istituzione di questo asse si verifica a partire dalla convergenza di alcune proposte di “soluzioni” al “conflitto post-elettorale” venezuelano presentate informalmente dal presidente Lula e dal presidente Petro che ruotano intorno alla ripetizione delle elezioni o all’istituzione di un governo di coalizione; queste proposte sarebbero state respinte da tutto l’arco politico venezuelano.

Le proposte, sebbene siano state informali, hanno allontanato il Messico che partecipava a un dialogo congiunto con Colombia e Brasile nel contesto della controversia elettorale dei giorni immediatamente successivi all’elezione; così, i tre paesi hanno emesso comunicati congiunti il 1 agosto e l’8 dello stesso mese chiedendo rispetto per l’istituzionalità venezuelana, rappresentata nel CNE e nella Sala Elettorale del TSJ.

Le proposte di questo “asse” o gruppo, condensate nelle proposte dei presidenti e nel comunicato congiunto del 24 agosto, mettono in discussione l’istituzionalità elettorale del paese formulando proposte non contemplate nel suo ordinamento giuridico.

Inoltre, trattano questioni di competenza esclusiva, ovvero sovrana, del Venezuela, in cui nessun altro Stato, organismo o istituzione internazionale deve immischiarsi in attenta osservanza del diritto internazionale.

La posizione, soprattutto del governo del Brasile, potrebbe inizialmente sorprendere, considerando che il Tribunale Superiore Elettorale ha confermato, attraverso una sentenza giudiziaria, la vittoria di Lula nelle elezioni di ottobre 2022, concluse con un margine molto ridotto (poco più dell’1%).

Tuttavia, non ci sono sorprese. Sia il governo di Petro che quello di Lula devono mantenere un delicato equilibrio tra la variegata composizione del governo del “Patto Storico” in Colombia e il duo Lula-Alckmin dell’attuale governo brasiliano, senza menzionare le logiche “autonome” che le burocrazie di entrambi i paesi mantengono su certi temi.

E sebbene questa moderazione possa essere giustificata dalla necessità di mantenere posizioni equilibrate che garantiscano loro un profilo di mediazione tra il governo di Nicolás Maduro e l’opposizione, raccolta intorno a Edmundo González Urrutia, non cessa di essere percepita (perché non cessa di esserlo) come una messa in discussione dell’istituzionalità dello Stato venezuelano, allineandosi indirettamente con le posizioni che apertamente la disconoscono e propongono una linea para-istituzionale.

Un finale aperto

I paesi che non riconoscono l’istituzionalità del CNE e della Sala Elettorale del TSJ raggruppati attorno a questo apparente “Gruppo di Lima 2.0” hanno prevedibilmente già svelato la loro strategia: “pressione internazionale” e riconoscimento di Edmundo González Urrutia come “presidente eletto”.

Il vero interesse continuerà a risiedere nella posizione che assumeranno Brasile, Colombia e Messico sulla questione, non solo per il peso regionale che hanno, ma anche per la vicinanza geografica che li collega con Caracas e, che fino ad ora, sembra rimanere aperta, nonostante le ambiguità e le contraddizioni.

In questo senso, è degna di nota la missiva inviata da Human Rights Watch (HRW) in cui critica il comportamento dei tre paesi in relazione allo scenario post-elettorale venezuelano e che, inevitabilmente, viene interpretata come una sorta di pressione su questi Stati affinché prendano posizione, esercitata da una delle ONG di maggior peso dell’attuale complesso industriale dei diritti umani.

Tuttavia, le dichiarazioni più recenti di Celso Amorim, consigliere e inviato speciale del presidente Lula in Venezuela, in cui riafferma che il più grande errore della comunità internazionale sarebbe quello di rieditare uno scenario come quello del 2019 con Juan Guaidó, indicano una scommessa per far sì che il Brasile si erga come un facilitatore tra le due parti: “L’importante è cercare di mantenere aperta la porta per qualche dialogo e comprensione. È difficile, ma credo che interessi a tutti. Non possiamo tornare a una situazione come quella di Guaidó, che era una finzione. Peccato che l’UE l’abbia riconosciuto”.

Per poi commentare più avanti: “Sarà sempre il Venezuela a decidere. Ora, se vuole avere una buona convivenza internazionale, dovrà tenere conto delle opinioni degli altri paesi. Non è intervenire. Brasile e Colombia non minacciano nulla, non dicono che romperanno le relazioni”.

Il pronunciamento più recente dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea testimonia l’intricata situazione in cui si trovano, mettendo in discussione la legittimità delle istituzioni venezuelane, arrivando solo a concordare sul non riconoscimento della vittoria del presidente Nicolás Maduro, ma non raggiungendo un accordo per riconoscere la vittoria dell’opposizione. Allora, chi ha vinto secondo l’UE?

E cosa farà il Brasile con un Amorim e un Lula così inclini a sottolineare l’impossibilità dell’UE?

Allo stesso modo, l’incontro che hanno avuto il presidente Maduro e Álvaro Leyva, ex ministro degli Esteri della Colombia, la sera del 28 agosto in cui, secondo le parole del presidente venezuelano, hanno condiviso punti di vista su “geopolitica mondiale e grandi sfide della nostra regione” potrebbe suggerire passi alternativi nello scambio tra Caracas e Bogotá.

E anche se è emerso che la visita di Leyva non era di carattere ufficiale (non viene in rappresentanza del governo di Petro) e risponde a un invito fatto dal mandatario venezuelano, è noto il lavoro come negoziatore/mediatore che l’ex ministro ha svolto nel corso della sua vita, e la facilitazione che ha realizzato nel contesto della firma degli Accordi di Barbados tra il governo venezuelano e l’opposizione, nell’ottobre del 2023, il che permetterebbe di speculare su una possibile mediazione o come messaggero valido presso Caracas.

Indipendentemente dalle analisi fatte finora, è evidente che i paesi che hanno riconosciuto la vittoria elettorale di Edmundo González si trovano di fronte a una situazione delicata a partire dal 10 gennaio 2025, quando Nicolás Maduro assumerà la presidenza.

Questi attori, saranno costretti a rivedere la loro posizione e a stabilire relazioni diplomatiche con il nuovo governo, al fine di affrontare in modo efficace questioni di rilevanza bilaterale come i flussi migratori? O continueranno semplicemente a ignorare una realtà che li supera?

Da parte loro, coloro che hanno mantenuto una posizione ambigua, che flirtano con il mancato riconoscimento delle istituzioni venezuelane senza arrivare a realizzarlo, rischiano di subire una nuova perdita di credibilità sia a livello nazionale che internazionale, ugualmente grave nel contesto della disputa globale esistente.

Al di là della narrativa che prevalga o si imponga a livello internazionale, dopo un mese dalle elezioni presidenziali il Venezuela si trova in pace. La sentenza della Sala Elettorale del TSJ che convalida i risultati elettorali emessi dal CNE consolida questo quadro di pace sociale che prevale attualmente, a dispetto di ciò che alcuni desiderano fuori dai nostri confini.


Dos percepciones del desconocimiento a la institucionalidad venezolana

Los movimientos recientes en Latinoamérica sobre Venezuela

La Sala Electoral del Tribunal Supremo de Justicia de Venezuela emitió sentencia sobre el contencioso electoral introducido por el presidente Nicolás Maduro, tres días después de los comicios donde resultó reelecto. Dentro del dictamen del máximo tribunal electoral del país se destaca que

“los boletines emitidos por el Consejo Nacional Electoral respecto a la Elección Presidencial 2024, están respaldados por las actas de escrutinios emitidas por cada una de las máquinas de votación desplegadas en el proceso electoral y así mismo estas actas mantienen plena coincidencia con los registros de las bases de datos de los Centros Nacionales de Totalización”.

La decisión adoptada, que concierne al pueblo venezolano y a sus instituciones democráticamente constituidas, ha suscitado una diversidad de reacciones que, a pesar de sus disímiles manifestaciones, parecen converger en un mismo punto: el desconocimiento de la estructura institucional y democrática del Estado venezolano.

¿“Grupo de Lima 2.0”?

La sintonía que han mostrado algunos países de la región al momento de desconocer a las autoridades electorales de Venezuela, luego de divulgarse los resultados de las elecciones del 28J, devela una operación tendiente a reeditar una especie de “Grupo de Lima 2.0” adaptado al contexto internacional actual, caracterizado por la disputa geopolítica que genera la transción hacia un nuevo orden internacional.

Los comunicados conjuntos del 29 de julio, 16 de agosto y del 23 de agosto, firmados principalmente por cancillerías latinoamericanas y caribeñas (excepto el segundo, que incluyó a algunos países europeos y Marruecos), develan que la operación de desconocimiento, ya denunciada con antelación, contó desde el inicio con un vector internacional que harían eco de las denuncias de fraude realizadas por la dupla González/Machado.

Así reza el comunicado de este grupo del 23 de agosto:

“Nuestros países ya habían manifestado el desconocimiento de la validez de la declaración del CNE, luego de que se impidió acceso a los representantes de la oposición al conteo oficial, la no publicación de las actas y la posterior negativa a realizar una auditoría imparcial e independiente de todas ellas”.

“La Misión Internacional Independiente de Determinación de los Hechos sobre la República Bolivariana de Venezuela alertó sobre la falta de independencia e imparcialidad de ambas instituciones, tanto del CNE como el TSJ”.

Ante la ausencia de movilizaciones internas significativas que respalden las denuncias de la oposición, la estrategia de ejercer “presión internacional” parece ser la principal opción.

Sin embargo, esta estrategia, que podría perder efectividad con el paso del tiempo, se ha centrado principalmente en generar una “campaña de vergüenza” y “condena internacional” que no ha dado los resultados deseados, y a la que el gobierno venezolano ha sabido contrarrestar.

No obstante, es esta campaña, bajo esas coordenadas, la que está sentando las bases para ganar las voluntades necesarias ante un eventual recrudecimiento del régimen de sanciones contra el país que implicaría, de facto, el establecimiento de nuevas restricciones al Estado venezolano y, en consecuencia, al país en su totalidad.

Recordemos que durante la campaña presidencial en Venezuela el presidente argentino, Javier Milei declaró estar dispuesto a aplicar sanciones contra Caracas y convencer a otros países de que se sumen. Argentina ha jugado, a lo largo de estos meses, un papel destacado en la disposición de apoyo y recursos para la agenda disruptiva.

¿Eje Brasilia-Bogotá o el grupo de lula?

El establecimiento de este eje se da a partir de la convergencia de unas propuestas de “soluciones” al “conflicto postelectoral” venezolano realizadas informalmente por el presidente Lula y el presidente Petro que giran en torno a la repetición de elecciones o el establecimiento de un gobierno de coalisión; dichas propuestas habrían fueron rechazadas por todo el arco político venezolano.

Las propuestas, a pesar de haber sido informales, alejaron a México quien participaba de un diálogo conjunto con Colombia y Brasil en el marco de la controversia electoral de los días inmediatos a la elección; así, los tres países emitieron comunicados conjuntos el 1 de agosto y el 8 del mismo mes solicitando respeto a la institucionalidad venezolana, representada en el CNE y la Sala Electoral del TSJ.

Los planteamientos de este “eje” o agrupación, condensados en las propuestas de los mandatarios y en el comunicado conjunto del 24 de agosto, cuestionan la institucionalidad electoral del país al formular propuestas no contempladas en su ordenamiento jurídico.

Además, abordan cuestiones de competencia exclusiva, léase soberana, de Venezuela, en la que ningún otro Estado, organismo, ni institución internacional debe inmiscuirse en atención rigurosa del derecho internacional.

La posición, sobre todo del gobierno de Brasil, pudiera sorprender en principio, toda vez que el Tribunal Superior Electoral confirmó, a través de una sentencia judicial, la victoria de Lula en las elecciones de octubre de 2022, que habían finalizado con una muy ligera ventaja (poco más del 1%).

No obstante, no hay sorpresas. Tanto el gobierno de Petro como el de Lula deben mantener un tenso equilibrio entre la variopinta integración del gobierno del “Pacto Histórico” en Colombia y de la dupla Lula-Alckmin del actual gobierno brasileño, sin mencionar las lógicas “autónomas” que las burocracias de ambos países mantienen en ciertos temas.

Y a pesar de que esta tibiesa pudiera estar justificada por la necesidad de mantener posturas ecuánimes que les garantice manener un perfil de mediación entre el gobierno de Nicolás Maduro y la oposición, aglutinada alrededor de Edmundo González Urrutia, no deja de ser percibida (porque no deja de ser) como un cuestionamiento a la institucionalidad del Estado venezolano, alineándose indirectamente con las posturas que abiertamente la desconocen y plantean una línea parainstitucional.

Un final abierto

Los países que desconocen la institucionalidad del CNE y de la Sala Electoral del TSJ agrupados en torno a este aparente “Grupo de Lima 2.0”, predeciblemente, ya develaron su estrategia: “presión internacional” y reconocimiento de Edmundo González Urrutia como “presidente electo”.

El verdadero interés seguirá estando en la posición que asuma Brasil, Colombia y México respecto al tema, no solo por el peso regional que tienen sino también por la cercanía geográfica que los vincula con Caracas y, que hasta ahora, pareciera seguir abierta, a pesar de las ambigüedades y contradicciones.

En este sentido, es llamativa la misiva enviada por Human Right Watch (HRW) donde critica el comportamiento de los tres países en relación al escenario postelectoral venezolano y que, inevitablemente, se interpreta como una suerte de presión sobre estos Estados a que tomen partido, ejercida por una de las ONG de mayor peso del actual complejo industrial de los derechos humanos.

No obstante, las más recientes declaraciones de Celso Amorim, asesor y enviado especial del presidente Lula a Venezuela, en donde reafirma que el mayor error de la comunidad internacional sería reeditar un escenario como el de 2019 con Juan Guaidó, da cuenta de una apuesta por lograr que Brasil se erija como un faciliador entre ambas partes:  “Lo importante es intentar mantener la puerta abierta para algún diálogo y entendimiento. Es difícil, pero creo que nos interesa a todos. No podemos volver a una situación como la de Guaidó, que era una ficción. Lamentable que la UE lo reconociera”.

Para más adelante comentar que:

“Siempre será Venezuela la que decida. Ahora, si quiere tener una buena convivencia internacional, tendrá que tener en cuenta las opiniones de otros países. No es intervenir. Brasil y Colombia no amenazan con nada, no dicen que van a romper relaciones”.

El pronunciamiento más reciente de los ministros de Relaciones Extriores de la Unión Europea da cuenta del entuerto al que se sumergen cuestionanando la legimidad de las instituciones venezolas, llegando solo a coincidir en el desconocimiento del triunfo del presidente Nicolás Maduro pero no alcanzando un acuerdo para reconocer el triunfo de la oposición. Entonces, ¿quién ganó según la UE?

¿Y qué hará Brasil con un Amorim y un Lula tan proclives a realzar lo imposible de la UE?

Asimismo, el encuentro que mantuvieron el presidente Maduro y Álvaro Leyva, excanciller de Colombia, la noche del 28 de agosto en donde, según palabras del presidente venezolano, compartió puntos de vista sobre “geopolítica mundial y los grandes desafíos de nuestra región” pudiera sugerir pasos alternos en el intercambio entre Caracas y Bogotá.

Y aunque trascendió que la visita de Leyva no fue de caracter oficial (no viene en representación del gobierno de Petro) y responde a una invitación realizada por el mandatario venezolano, es conocido el trabajo como negociador/mediador que el excanciller ha tenido a lo largo de su vida, y la facilitación que realizó en el marco de la firma de los Acuerdo de Barbados entre el gobierno venezolano y la oposición en octubre de 2023, lo que permitiría especular sobre una tentativa de posible mediación o como mensajero válido ante Caracas.

Con independencia de los análisis realizados hasta el momento, resulta evidente que los países que han reconocido la victoria electoral de Edmundo González se enfrentan a una situación comprometida a partir del 10 de enero de 2025, cuando asuma la presidencia Nicolás Maduro.

Estos actores, ¿se verían obligados a revisar su postura y a establecer relaciones diplomáticas con el nuevo gobierno, a fin de abordar de forma eficiente temas de relevancia bilateral como los flujos migratorios? ¿O simplemente seguirían ignorando una realidad que los sobrepasa?

Por su parte, aquellos que han mantenido una posición ambigüa, que coquetean con el desconocimiento de las instituciones venezolanas sin terminar de realizarlo, corren el riesgo de sufrir una nueva pérdida de credibilidad tanto a nivel nacional como internacional, igual de grave en el contexto de disputa global existente.

Más allá de la narrativa que en el ámbito internacional prospere o se imponga, tras un mes de la elecciones presidenciales Venezuela se encuentra en paz. La sentencia de la Sala Electoral del TSJ convalidando los resultados electorales emitidos por el CNE consolidan ese cuadro de paz social que prevalece en la actualidad, a despecho de lo que algunos desean fuera de nuestras fronteras.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.