A proposito del Venezuela

Chi dirige la raffica di menzogne sul processo elettorale nella nazione bolivariana, gli USA, non sono un esempio per nessuno, né in questa né in altre materie riguardanti la democrazia.

Elson Concepción Pérez

Non è una novità. Tutto proviene dallo stesso cervello cospiratore, da Washington: mettere in discussione tutto ciò che non si conforma alle sue regole, non riconoscere presidenti eletti democraticamente, architettare complotti per destabilizzare i paesi e, molto importante, cercare di dividere il movimento progressista nella regione, esasperando opinioni o concetti estrapolati dal contesto.

Questo accade oggi con il Venezuela, il paese che ha svolto più elezioni democratiche nella regione.

Chi dirige la raffica di menzogne sul processo elettorale nella nazione bolivariana, gli USA, non sono un esempio per nessuno, né in questa né in altre materie riguardanti la democrazia.

Nella nazione del Nord, quando l’attuale presidente Joe Biden vinse le elezioni, il suo rivale di allora, Donald Trump, dichiarò che si trattava di una frode e incitò alla disobbedienza.

Non soddisfatto di ciò, incoraggiò i fondamentalisti a invadere il Campidoglio e a prendere il Congresso. Lo stesso accadde in Brasile, dove Jair Bolsonaro persino diresse l’assalto all’edificio dei tre poteri.

Sul tema elettorale c’è di più. Alle elezioni negli USA, per esempio, non si invitano osservatori internazionali. Nemmeno l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA).

Negli USA la democrazia è così «sicura» e «trasparente» che un presidente è stato eletto essendo il candidato che ha ottenuto meno voti da parte dei cittadini.

In questo contesto viziato, all’America Latina è stato imposto un modello elettorale in cui si dà più importanza agli osservatori stranieri che all’esercizio popolare del suffragio.

Gioca un ruolo determinante, in questo processo, il potere mediatico in mano ai monopoli occidentali, molti dei quali sono fedeli servitori delle regole stabilite da istituzioni come Usaid, NED o lo stesso Dipartimento di Stato.

Chi paga, comanda, recita un detto popolare dell’epoca coloniale. Questa volta contro il Venezuela vengono lanciati ogni tipo di dardi avvelenati. Si punta a imporre un altro Guaidó, ora nella figura di Edmundo González, avvolto sotto il mantello di María Corina Machado, con un dossier che la compromette con ogni tipo di azioni criminali e destabilizzatrici.

Washington sa che dietro le sue decisioni si schiererebbero, come hanno fatto nel caso di Guaidó, dall’Unione Europea, invalidata dal suo servilismo, fino a una copia sbiadita del defunto Gruppo di Lima, creato in quella occasione per isolare il paese bolivariano.

Obbligare a che un processo elettorale sia valutato da osservatori internazionali è una risorsa colonialista, come se ogni nazione libera e indipendente non fosse in grado di governarsi da sola.

Mi viene in mente, allora, ciò che disse Fidel in seguito alla cosiddetta Crisi di Ottobre, quando il governo USA volle ispezionare, in territorio cubano, le navi sovietiche che riportavano in Russia i missili nucleari: «Questo paese non lo ispeziona nessuno».

E non ci fu ispezione, che potevano fare solo in acque internazionali, lontano dalla costa di un paese libero e degno.


A propósito de Venezuela

Quien dirige la andanada de mentiras sobre el proceso electoral en la nación bolivariana, Estados Unidos, no es ejemplo para nadie, ni en esta ni en otras asignaturas sobre la democracia

Elson Concepción Pérez

No es nada nuevo. Todo sale del mismo cerebro conspirador, desde Washington: cuestionar todo lo que no se acoja a sus reglas, no reconocer a presidentes electos democráticamente, armar componendas para desestabilizar países y, muy importante, tratar de dividir al movimiento progresista en la región, exacerbando opiniones o conceptos sacados de contexto.

Así sucede hoy con Venezuela, el país que más elecciones democráticas ha realizado en la región.

Quien dirige la andanada de mentiras sobre el proceso electoral en la nación bolivariana, Estados Unidos, no es ejemplo para nadie, ni en esta ni en otras asignaturas sobre la democracia.

En la nación del Norte, cuando el actual mandatario Joe Biden ganó los comicios, su rival de entonces, Donald Trump, aseguró que era un fraude y animó a la desobediencia.

No conforme con esto, estimuló a fundamentalistas a invadir el Capitolio y tomar el Congreso. Otro tanto ocurrió en Brasil, donde Jair Bolsonaro hasta dirigió el asalto al edificio de los tres poderes.

En el tema electoral hay más trigo. A las elecciones en Estados Unidos, por ejemplo, no se invitan observadores internacionales. Ni siquiera a la Organización de los Estados Americanos (OEA).

En EE. UU. la democracia es tan «segura» y «transparente», que un presidente ha llegado a elegirse siendo el candidato que obtuvo menos votos de ciudadanos.

En este viciado contexto, a Latinoamérica se le ha impuesto un modelo electoral en el que se le da más importancia a los observadores foráneos, que al ejercicio popular del sufragio.

Desempeña un papel determinante en ese proceso el poder mediático en manos de monopolios occidentales, de los que muchos de ellos son servidores fieles a las reglas salidas de instituciones como la Usaid, la NED, o el propio Departamento de Estado.

Quien paga, manda, recoge una expresión popular de la época colonial. Esta vez contra Venezuela se lanzan todo tipo de dardos envenenados. Se apuesta por imponer a otro Guaidó, ahora en la figura de Edmundo González, arropado bajo el manto de María Corina Machado, con un expediente que la compromete con todo tipo de acciones delictivas y desestabilizadoras.

Sabe Washington que detrás de sus decisiones se lanzarían, como lo hicieron en el caso de Guaidó, desde una Unión Europea invalidada por su servilismo, hasta una copia borrosa del fallecido Grupo de Lima, fabricado en esa oportunidad para aislar al país bolivariano.

Obligar a que un proceso electoral sea calificado por observadores internacionales resulta un recurso colonialista, como si cada nación libre e independiente no fuera capaz de gobernarse a sí misma.

Me viene a la mente, entonces, aquello que expresó Fidel a raíz de la llamada Crisis de Octubre, cuando el gobierno de EE. UU. quiso inspeccionar en territorio cubano a los barcos soviéticos que regresaban a Rusia los misiles nucleares: «A este país no lo inspecciona nadie».

Y no hubo inspección, que solo podían hacer en aguas internacionales, lejos de la costa de un país libre y digno.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.