Poteri di fatto contro risultati elettorali scomodi: casi recenti

misionverdad.com

I vincitori delle recenti elezioni in Francia e Messico affrontano una sfida comune: avversari che non solo si rifiutano di accettare la loro sconfitta, bensì cercano, attraverso risorse tecniche e narrative, di screditare i vincitori, minare la loro legittimità e riprendere il potere per vie extrapolitiche a scapito del voto.

Attraverso strategie legali e mediatiche, i partiti perdenti cercano di trasformare i risultati elettorali in un campo di battaglia per il controllo del potere.

Francia: Macron si rifiuta di nominare un governo della coalizione di sinistra

Da quando Emmanuel Macron ha sciolto l’Assemblea Nazionale, più di 40 giorni fa, la Francia è ancora senza un primo ministro. Il 26 agosto, il presidente ha giustificato la sua decisione di non nominare una candidata di sinistra come primo ministro in nome della “stabilità istituzionale”.

Al contrario, ha convocato una nuova serie di colloqui con diversi gruppi politici per cercare di formare un nuovo governo a scapito dei risultati elettorali.

Questa situazione si inserisce nel contesto del rovescio subito a inizio giugno nelle elezioni, quando il Rassemblement National, principale formazione di destra, ha ottenuto una vittoria alle elezioni europee, portando il presidente a convocare elezioni legislative anticipate.

Le forze di sinistra, unite nel Nuovo Fronte Popolare, hanno formato un “fronte repubblicano” con il partito di Macron sulla premessa della “lotta contro il fascismo”. Questa alleanza, che ha comportato il ritiro dei candidati in distretti chiave per evitare la frammentazione del voto e assicurare la sconfitta del Rassemblement National, si è rivelata efficace.

I risultati delle elezioni parlamentari, tenutesi il 7 luglio, hanno favorito il Nuovo Fronte Popolare, che ha ottenuto 182 seggi nell’Assemblea Nazionale. La coalizione presidenziale “Insieme” ha ottenuto 168 seggi, mentre il Rassemblement National si è fermato a 143.

Tuttavia, la vittoria elettorale del Fronte Popolare è stata offuscata dalla frammentazione interna del blocco di sinistra. La tensione tra moderati e radicali si è intensificata, evidenziando la difficoltà di raggiungere un consenso su un candidato per il nuovo primo ministro del paese.

Il primo ministro Gabriel Attal, nonostante le sue dimissioni, formalmente accettate dal gabinetto, rimane in carica con limitazioni fino alla formazione di un nuovo esecutivo, su indicazione del presidente Macron.

Alla fine è stata accettata la candidatura di Lucie Castets, una ex militante del Partito Socialista con un profilo tecnocratico. Nonostante La France Insoumise, il partito del principale dirigente di sinistra, Jean Luc Melenchon, contasse su una maggioranza considerevole nella coalizione di sinistra, è stato costretto a cedere alla pressione dei moderati sostenendo questa proposta.

Nel frattempo, Macron ha approfittato della congiuntura per argomentare la necessità di preservare la stabilità nazionale durante i Giochi Olimpici del 2024 a Parigi. Questa strategia gli ha permesso di ritardare la formazione del nuovo governo per un periodo più lungo.

Al termine della tregua, Macron ha persistito nel rifiutarsi di accettare la candidatura di Castets come primo ministro, così La France Insoumise, in un atto di sottomissione, ha deciso di rinunciare all’inclusione dei suoi ministri nel nuovo governo. Tuttavia, come dimostra la decisione del presidente, riportata all’inizio, questa concessione non è riuscita a soddisfare le sue richieste.

Al contrario, una fonte vicina a Macron ha indicato che egli considera che l’equilibrio di potere penda più verso il centro o il centro-destra. Tra i potenziali candidati ci sono il presidente regionale conservatore Xavier Bertrand, l’ex primo ministro Bernard Cazeneuve e Karim Bouamrane, sindaco di un sobborgo parigino.

I poteri di fatto francesi hanno usato la sinistra per guadagnare tempo e preservare il potere davanti all’imminente minaccia di una vittoria del Rassemblement National.

Messico: argomenti fraudolenti per sabotare la maggioranza qualificata di Morena

In Messico, la Suprema Corte di Giustizia della Nazione ha ammesso una denuncia del Partido Acción Nacional (PAN) sulla assegnazione dei seggi al Congresso, poiché questo partito non accetta le decisioni dell’Istituto Nazionale Elettorale (INE) basate sui risultati delle elezioni del 2 giugno, e ha fatto ricorso a un’istanza senza competenza per queste questioni, decisione che viola il quadro legale.

Questo conflitto si inscrive in una manovra politica dell’opposizione, la quale accusa il partito di governo, Morena, di una presunta sovra rappresentazione in Congresso. Questo argomento è privo di base legale ed è contraddittorio con l’applicazione della legge elettorale da oltre un decennio, cercando così di offuscare la legalità della distribuzione dei seggi e minacciare la governabilità della presidente Claudia Sheinbaum.

Il cuore della controversia risiede nell’assegnazione dei seggi proporzionali, quelli che vengono assegnati ai partiti in base alla loro percentuale di voti. L’opposizione sostiene che questa assegnazione dovrebbe basarsi sul totale dei voti ottenuti dalla coalizione di governo (Morena, Partido del Trabajo e Partido Verde), non per ogni partito individualmente.

Questa posizione nasconde un obiettivo politico più profondo: evitare che Morena ottenga la maggioranza qualificata in Congresso (due terzi dei voti), che permette al partito di governo di realizzare riforme costituzionali senza la necessità di negoziare con altri partiti.

Tuttavia, la legge elettorale vigente dal 2008 stabilisce chiaramente che i seggi vengono assegnati a ciascun partito individualmente, non alle coalizioni. Questa normativa è stata applicata in elezioni precedenti, comprese quelle del 2012, quando i partiti PAN, PRI e PRD —attualmente oppositori del governo Morena— formarono un’alleanza simile a quella che oggi criticano.

L’opposizione, nel suo tentativo di delegittimare il governo, si appoggia su un quadro legale obsoleto che è già stato abrogato (il Codice Federale delle Istituzioni e Procedure Elettorali), che sì contemplava le coalizioni come un solo partito. Questo argomento, senza validità legale e estraneo alla legislazione attuale, cerca di reinterpretare un dibattito già risolto dalla normativa vigente. Lawfare retroattivo.

In una delle sue conferenze mattutine il presidente Andrés Manuel López Obrador ha affrontato il tema della sovrarappresentazione nel contesto delle reazioni della destra contro le riforme costituzionali. Ha spiegato che il sostegno della popolazione nelle elezioni cerca di riformare la Costituzione per restituirle la sua essenza popolare e ha criticato le lamentele dell’opposizione, indicando che il loro malcontento deriva dalla perdita del controllo politico.

Il presidente ha sentenziato che “questo è il cuore del dibattito”, e ha avvertito che le obiezioni sulla distribuzione dei deputati ignorano che queste disposizioni fanno parte della legislazione vigente, riformata da chi in precedenza aveva la maggioranza.

Le situazioni descritte in Francia e Messico evidenziano il doppio discorso sulla “democrazia” che si manifesta in contesti in cui le forze dei poteri costituiti e allineati con Washington sono soppiantate in ambito elettorale.

Questo schema si ripete in Venezuela, dove María Corina Machado ed Edmundo González hanno cercato di minare i risultati elettorali ignorando i meccanismi costituzionali per risolvere le controversie.

Il caso venezuelano assume un aspetto ancora più allarmante perché le azioni dell’opposizione sono state accompagnate da violenza, con l’obiettivo di imporre una narrativa di frode nel quadro di un’operazione di cambio di regime.

Tuttavia, il trattamento mediatico internazionale verso il Venezuela ha favorito la strategia di Machado e González al fine di disconoscere i risultati.

Confrontando il Venezuela con i casi esaminati in questo lavoro, è chiaro che il disconoscimento dell’essenza stessa del mandato popolare appellandosi a risorse narrative e accenni mal celati di tecnologia giuridico-politica per contravvenire ciò che in principio decide la popolazione è una tendenza che non si limita a una regione e che, probabilmente, vedremo una globalizzazione ampliata ad altri scenari.

Questo includerà, senza dubbio, paesi che oggi esitano tra formalismi liberaloidi e la difesa del potere espresso dalle maggioranze. Quello che Venezuela, Messico e Francia condividono in queste controversie, indipendentemente dal contesto, è un filo conduttore che governa le stesse istanze corporative che, nonostante qualsiasi discorso, al momento dei fatti non hanno mai esitato a manifestare il loro disprezzo quando ciò che dice la strada va in direzione contraria ai loro interessi.

Fino ad ora, in questo punto, l’unico rimedio esistente sono passi e azioni decisive e coerenti nella difesa del potere, senza ambiguità. I poteri extrapolitici, quando si tratta di capovolgere e modificare la situazione, non si fermeranno davanti a formalismi né a principi di alcun tipo.


Poderes fácticos contra resultados electorales inconvenientes: casos recientes

Los vencedores de las recientes elecciones en Francia y México se enfrentan a un desafío compartido: adversarios que no solo se niegan a aceptar su derrota sino que buscan, mediante recursos técnicos y narrativos, desacreditar a los triunfadores, socavar su legitimidad y retomar el poder por vías extrapolíticas en desmedro del voto.

Mediante estrategias legales y mediáticas, los partidos perdedores intentan transformar los resultados electorales en un campo de batalla por el control del poder.

Francia: Macron se niega a nombrar un gobierno de la coalición de izquierda

Desde que Emmanuel Macron disolvió la Asamblea Nacional hace más de 40 días, Francia continúa sin un primer ministro. El 26 de agosto, el presidente justificó su decisión de no nombrar a una candidata de izquierda como primera ministra en nombre de la “estabilidad institucional”.

En lugar de ello, convocó una nueva serie de conversaciones con diferentes grupos políticos para tratar de formar un nuevo gobierno en desmedro de los resultados electorales.

Esta situación se enmarca en el contexto del revés que sufrió a principios de junio en los sufragios, cuando la Agrupación Nacional, principal formación de derecha, obtuvo una victoria en las elecciones europeas, lo que llevó al presidente a convocar comicios legislativos anticipados.

Las fuerzas de izquierda, unidas en el Nuevo Frente Popular, formaron un “frente republicano” con el partido de Macron bajo la premisa de la “lucha contra el fascismo”. Esta alianza, que implicó la retirada de candidatos en distritos claves para evitar la fragmentación del voto y asegurar la derrota de Agrupación Nacional, resultó efectiva.

Los resultados de las elecciones parlamentarias, celebradas el 7 de julio, favorecieron al Nuevo Frente Popular, que logró 182 escaños en la Asamblea Nacional. La coalición presidencial “Juntos” obtuvo 168 escaños, mientras que la Agrupación Nacional se limitó a 143.

Sin embargo, la victoria electoral del Frente Popular se vio empañada por la fragmentación interna del bloque de izquierda. La tensión entre los moderados y los radicales se intensificó, lo que evidenció la dificultad para consensuar un candidato para el nuevo primer ministro del país.

El primer ministro Gabriel Attal, a pesar de su renuncia formalmente aceptada al gabinete, se mantiene en funciones con limitaciones hasta la formación de un nuevo ejecutivo, a instancias del presidente Macron.

Finalmente se aceptó la candidatura de Lucie Castets, una exmilitante del Partido Socialista con un perfil tecnocrático. A pesar de que La Francia Insumisa, partido del principal líder de la izquieda Jean Luc Melenchon, contaba con una mayoría considerable en la coalición de izquierda, se vio forzada a ceder ante la presión de los moderados al respaldar esta propuesta.

Mientras tanto, Macron aprovechó la coyuntura para argumentar la necesidad de preservar la estabilidad nacional durante los Juegos Olímpicos de 2024 en París. Esta estrategia le permitió retrasar la formación del nuevo gobierno por más tiempo.

Al finalizar la tregua, Macron persistió en su negativa a aceptar la candidatura de Castets como primera ministra, por lo que La Francia Insumisa, en un acto de sumisión, decidió renunciar a la inclusión de sus ministros en el nuevo gobierno. Sin embargo, como lo demuestra la decisión del presidente relatada al inicio, esta concesión no logró satisfacer sus exigencias.

En cambio, una fuente cercana a Macron indicó que él considera que el equilibrio de poder se inclina más hacia el centro o centro-derecha. Entre los candidatos potenciales se encuentran el presidente regional conservador Xavier Bertrand, el exprimer ministro Bernard Cazeneuve y Karim Bouamrane, alcalde de un suburbio parisino.

Los poderes fácticos franceses usaron la izquieda para ganar tiempo y preservar el poder ante la inminente amenaza de una victoria de Agrupación Nacional.

México: argumentos fraudulentos para sabotear mayoría calificada de Morena

En México, la Suprema Corte de Justicia de la Nación admitió a trámite una denuncia del Partido Acción Nacional (PAN) sobre la asignación de curules en el Congreso, ya que este partido no acepta las decisiones del Instituto Nacional Electoral (INE) basadas en los resultados de la elección del 2 de junio, y ha recurrido a una instancia sin competencia para estos asuntos, decisión que viola el marco legal.

Este conflicto se inscribe en una maniobra política de la oposición, la cual acusa al partido gobernante, Morena, de una supuesta sobrerrepresentación en el Congreso. Dicho argumento carece de base legal y es contradictorio con la aplicación de la ley electoral durante más de una década, y así busca empañar la legalidad de la distribución de escaños y amenazar la gobernabilidad de la presidenta Claudia Sheinbaum.

El corazón de la controversia reside en la asignación de escaños proporcionales, aquellos que se otorgan a los partidos de acuerdo con su porcentaje de votos. La oposición reclama que esta asignación debería basarse en el total de sufragios obtenidos por la coalición gobernante (Morena, Partido del Trabajo y Partido Verde), no por cada partido individual. 

Esta postura esconde un objetivo político más profundo: evitar que Morena obtenga la mayoría calificada en el Congreso (dos tercios de los votos), que permite al partido gobernante realizar reformas constitucionales sin la necesidad de negociar con otros partidos. 

No obstante, la ley electoral vigente desde 2008 establece de manera clara que los escaños se asignan a cada partido individualmente, no a las coaliciones. Esta normativa ha sido aplicada en elecciones anteriores, incluidas las de 2012, cuando los partidos PAN, PRI y PRD —actualmente opositores al gobierno de Morena— formaron una alianza similar a la que hoy critican.

La oposición, en su intento por deslegitimar al gobierno, se apoya en un marco legal obsoleto que ya ha sido derogado (el Código Federal de Instituciones y Procedimientos Electorales), el cual sí contemplaba las coaliciones como un solo partido. Este argumento, sin validez legal y ajeno a la legislación actual, busca reinterpretar un debate que ya fue resuelto por la normativa vigente. Lawfare retroactivo.

En una de sus conferencias matutinas el presidente Andrés Manuel López Obrador abordó la sobrerrepresentación en el contexto de las reacciones de la derecha contra las reformas constitucionales. Explicó que el respaldo de la población en las elecciones busca reformar la Constitución para devolverle su esencia popular y criticó las quejas de la oposición, señalando que su descontento proviene de la pérdida del control político.

El presidente sentenció que “ese es el fondo del debate”, y advirtió que las objeciones sobre la distribución de diputados ignoran que estas disposiciones son parte de la legislación vigente, reformada por quienes antes tenían la mayoría.

Las situaciones relatadas en Francia y México evidencian el doble discurso sobre la “democracia” que se manifiesta en contextos donde las fuerzas de los poderes establecidos y alineados con Washington son desplazadas en el ámbito electoral.

Este patrón se repite en Venezuela, donde María Corina Machado y Edmundo González intentaron socavar los resultados electorales ignorando los mecanismos constitucionales para dirimir las controversias.

El caso venezolano adquiere un matiz aun más alarmante porque las acciones de la oposición estuvieron acompañadas de violencia, con el objetivo de imponer una narrativa de fraude en el marco de una operación de cambio de régimen.

A pesar de ello, el tratamiento mediático internacional hacia Venezuela ha favorecido la estrategia de Machado y González para desconocer los resultados.

Contrastando a Venezuela con los casos repasados en este trabajo, queda claro que el desconocimiento de la esencia misma del mandato popular apelando a recursos narrativos y atisbos mal disimulados de tecnología jurídico-política para contravenir lo que en principio decide la población es una tendencia que no se limita a una región y que, probablemente, veremos una globalización ampliada a otros escenarios.

Esto incluirá, a no dudarlo, países que hoy en día titubean entre formalismos liberaloides y la defensa del poder expresado por mayorías. Lo que Venezuela, México y Francia comparten en estas controversias, independientemente del contexto, es un hilo conductor que gobierna las mismas instancias corporativas que, a pesar de cualquier discurso, a la hora de los hechos nunca han escatimado en manifestar su desdén cuando lo que dice la calle va en dirección contraria a sus intereses.

Hasta ahora, en este punto, el único remedio existente son pasos y acciones decisivas y coherentes en la defensa del poder, sin ambages. Los poderes extrapolíticos, cuando se trata de voltear y modificar la situación no se detendrán ante formalismos ni principios de ningún tipo.

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