CIA: Il nostro uomo a Caracas

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La chiamata, eufemisticamente, opposizione in Venezuela, che in realtà è una controrivoluzione, secondo le parole di Karl Marx, inerente a ogni rivoluzione, è logorata dopo tanti anni di tentativi di ribaltare l’opera dei patrioti venezuelani; hanno provato quasi di tutto, compreso l’assassinio politico, e ora l’assassinio del Presidente acquista più forza, quando ancora una volta non sono riusciti a vincere alle urne e inventano ogni tipo di sotterfugio come appellarsi alla tanto decantato “frode elettorale”, tipico in tutte le elezioni svoltesi e da convocare.

Il criminale candidato repubblicano negli USA ha gridato alla frode prima ancora di terminare il conteggio dei voti e finora non ha riconosciuto il vincitore, Joseph Biden, come suo presidente, continuando a protestare. Ha istigato il tentato colpo di Stato con la presa del Campidoglio e ora esibisce, laccato, la sua piccola orecchia ferita come “vittima” di un attentato, che gli ha guadagnato seguaci e quasi cancellato tutte le denunce contro di lui per vari crimini abituali e ampiamente noti.

In Venezuela, da Carmona “il breve” al buffone Guaidó, divenuto depredatore delle casse pubbliche consegnategli dall’Impero; alla inveterata signora, sprecata come candidata, si sono succeduti vari Capriles, López, fino all’attuale uomo della CIA a Caracas, con oscuri trascorsi nei servizi resi nella guerra criminale e aggressiva degli USA in Centro America.

Il perdente Edmundo González Urrutia, la penultima opzione dell’opposizione, ha ispirato i suoi discendenti con il suo esempio, come nel caso di sua figlia, Érika Carolina González López, che è stata accusata, secondo i media locali, dalla Procura 4ª del Ministero Pubblico di essere coinvolta in molteplici gravi reati. Tra questi vi sono la privazione illegittima della libertà di funzionari pubblici, lesioni personali intenzionali, associazione per delinquere e corruzione. Questo grave caso non è recente; è iniziato nell’aprile 2009, quando è stato decretato il suo arresto preventivo. Nell’ottobre dello stesso anno, le è stata concessa una misura cautelare alternativa. Tuttavia, nell’ottobre 2011, dopo un’udienza preliminare, è stata confermata la misura originale e ordinato il passaggio al processo.

L’ora travestita, apparentemente, da avvocata, Carolina González Mata, residente in Spagna, ha, come suo padre, punti deboli; nell’anno di riferimento, è stata processata per corruzione quando faceva parte di un organismo di polizia, per aver impiegato estorsione e violenza come metodi personali; per questo è stata rimossa dal corpo e processata.

Nel giugno 2012, il Tribunale 2° di Giudizio dello stato di Miranda ha respinto una richiesta di modifica della misura, sostenendo che le circostanze che avevano originato la privazione della libertà non erano cambiate. La questione è stata annotata in una sentenza del Tribunale Supremo di Giustizia, dove González è stata registrata per i reati menzionati.

Il trionfo di Nicolás Maduro Moros ha salvato il Venezuela dall’essere governato dall’agente di cambio della CIA, che lo ha rispolverato, rimanendo senza pedine per il gioco dell’opposizione. È nota un’inchiesta giornalistica, realizzata da Roberto Hugo Preza, corrispondente di teleSUR a El Salvador, che ha scoperto tracce del controverso passato di Edmundo González, che come diplomatico dell’amministrazione in carica nel suo paese d’origine, avrebbe svolto un ruolo attivo nel contesto della partecipazione del Venezuela all’aggressione USA nella regione, dal suo incarico a El Salvador negli anni ’80, quando fungeva da subordinato di Leopoldo Castillo, allora ambasciatore del Venezuela lì. Il suo legame con l’agenzia risale a poco prima, quando era primo segretario presso l’ambasciata del Venezuela a Washington, nel 1978. Tra il 1981 e il 1983, durante il governo di Luis Herrera Campins, non viene promosso di grado e viene assegnato alla sede diplomatica venezuelana a San Salvador.

È interessante l’analisi della CIA sui fattori regionali e globali che potevano influire negativamente sugli interessi USA e dei loro alleati locali in Centro America. In primo luogo, riteneva che l’alleanza con l’Inghilterra nel conflitto delle Falkland potesse ridurre la sua influenza nella regione, stimando: “Gli USA potrebbero trovarsi soli in Centro America”. In secondo luogo, il Venezuela, che sosteneva le forze insurrezionali in Nicaragua e El Salvador, avrebbe potuto continuare a farlo, ma desiderando un’identificazione meno pubblica con le attività degli USA lì, per la stessa causa. E terzo, la posizione fino a quel momento di primo piano dell’Argentina in Centro America sarebbe cambiata e il suo risentimento verso gli USA avrebbe potuto condurla a cercare politiche diverse da quelle di Washington.

Diverse fonti e documenti storici di vari paesi confermano che immediatamente dopo il trionfo rivoluzionario in Nicaragua, emerse l’alleanza tra forze irregolari della sconfitta dittatura della dinastia Somoza e forze regolari del Guatemala e di El Salvador con la menzionata assistenza argentina e sotto l’amministrazione nordamericana di James Carter.

Questo aspetto dello scontro aveva allora alta priorità per il regime salvadoregno, dato che richiedevano anche assistenza a Israele, governo che inviò a El Salvador attrezzature informatiche e di comunicazione per la raccolta di informazioni umane e attraverso mezzi tecnici per mantenere in piena capacità combattiva le forze coinvolte nelle operazioni antiguerriglia.

L’apparizione e lo sviluppo dei cosiddetti squadroni della morte come la Unión Guerrera Blanca, UGB e Fuerzas Armadas de Liberación Anticomunista-Guerra de Eliminación, FALANGE, con stretti legami con la borghesia salvadoregna, contò con la consulenza di specialisti argentini e venezuelani.

Dopo la sostituzione di Romero con una giunta civico-militare, nell’ottobre 1979, e l’inasprimento della guerra civile, Argentina e Venezuela ampliarono la loro presenza militare in El Salvador, che si consolidò con l’arrivo alla Casa Bianca del repubblicano Ronald Reagan, nel gennaio 1981. Il politico salvadoregno José Napoleón Duarte, casualmente rifugiato in Venezuela, fu il promotore della presenza venezuelana e in seguito si pose alla guida del Governo, fino al 2 maggio 1982, quando cede il mandato a Álvaro Magaña. Riprende il comando il 25 marzo 1984 con il sostegno venezuelano. Il perdente Edmundo González svolse un ruolo esecutivo in tutta quella rete repressiva.

Il deterioramento della situazione interna in El Salvador cadde in una spirale inarrestabile di violenza nei mesi finali del 1979 e durante i due anni successivi degli anni ’80. La repressione si intensificò e si raffinò in azioni coordinate. Gli omicidi politici e le sparizioni aumentarono come tipicità criminali a seguito di una consulenza di diverse origini come abbiamo spiegato.

Dati conservatori di organizzazioni internazionali, come Amnesty International, assicuravano che già all’inizio del 1981 erano morti più di 6000 civili, non combattenti, cioè vittime del terrorismo di Stato, mirato a ridurre il sostegno popolare alle forze insurrezionali. Questa rivelazione è stata fatta al Congresso USA attraverso la testimonianza offerta da tale organizzazione davanti alla Sottocommissione per gli Affari Interamericani della Commissione per gli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti, nel marzo 1981.

La specializzazione dei corpi repressivi salvadoregni, inseriti nell’Agenzia Nazionale dei Servizi Speciali di El Salvador, ANSESAL, contò con la consulenza e l’assistenza di Israele, Argentina e Venezuela, in particolare nella dosificazione della violenza negli interrogatori con l’uso di metodi più raffinati con procedure psicologiche, volte a ottenere informazioni per scopi di controinsurrezione.

La turbolenza e la dinamica dello scontro non permetteva di “ripulire” i detenuti, per lo più ottenuti attraverso sequestri, davanti ai tribunali, giudicarli e condannarli, al loro posto si imponeva l’esecuzione sommaria degli interrogati, una volta persa la loro utilità, e la soluzione più praticabile era la sparizione dopo l’eliminazione extragiudiziale. Lo stato di esenzione facilitò l’applicazione di metodi e mezzi punitivi nel procedere controinsurrezionale.

L’addestramento fu accelerato e specializzato; si stima che, tra ottobre del 1979 e maggio del 1981, i servizi specializzati USA, con la partecipazione di consulenti di Argentina, Venezuela, Cile e Uruguay addestrarono più di 300 ufficiali salvadoregni in basi situate nelle zone nordamericane del Canale di Panama.

La situazione della guerriglia salvadoregna nel 1980 era prevalentemente urbana, con una forte presenza nella capitale San Salvador e questa fu la priorità della repressione assistita dai consulenti. Lavorarono dalla periferia verso il nucleo delle organizzazioni per eliminare il loro sostegno dirigente e decapitarlo.

Nel 1981, sotto il governo di José Napoleón Duarte a capo della cosiddetta Giunta Civico-Militare, organizzazioni come Americas Watch, nel loro rapporto del giugno 1982 sui Diritti Umani a El Salvador, affermarono che erano state eliminate più di 14000 persone qualificate da quell’entità come non combattenti.

Un esempio della letalità della repressione assistita è il fallimento della cosiddetta “offensiva finale” lanciata, nel gennaio 1981, dal Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, FMLN, che allora contava su una vasta struttura organizzativa composta da migliaia di combattenti. Le forze armate salvadoregne, con il supporto logistico internazionale, riuscirono a fermare e soffocare l’insurrezione, che causò la perdita delle capacità della guerriglia per impegni di questo tipo e la costrinse al ripiegamento e al cambio di tattiche.

Il terrore instaurato nella società salvadoregna fu un fattore determinante affinché l’insurrezione e l’offensiva progettata avessero un sostegno popolare esteso. Il timore di rappresaglie da parte del governo e l’incapacità di potersi proteggere dalle stesse fece sì che la popolazione non rispondesse massicciamente in quel momento storico. Il perdente, per fortuna dei venezuelani, fu un partecipante attivo di quel processo repressivo.

Quando progettarono l’uso che avrebbero fatto di Edmundo González Urrutia, la formula della Piattaforma Unitaria Democratica (PUD) lo accolse come suo candidato. L’alleanza comprendeva i principali partiti e dirigenti dell’opposizione in Venezuela. Non c’era altra scelta che ricorrere a uno dei servitori dormienti. Dopo settimane di incertezza e di aspirazioni scartate o inabilitate, González passò dall’essere il nome che avrebbe preservato il simbolo elettorale a essere il candidato ufficiale della PUD, acquisendo così il diritto di affrontare, come portabandiera dell’opposizione maggioritaria, il Presidente Nicolás Maduro.

Subito sono emersi oscuri precedenti del passato del candidato; uno di questi è stata la denuncia dell’ex funzionaria colombiana, María Catalina Restrepo Pinzón de Londoño, che ha rivelato dettagli attraverso una lettera inviata al dirigente venezuelano Diosdado Cabello. La denuncia è stata riportata nel programma abituale del primo vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), ‘Con el mazo dando’.

Tra alcuni degli aspetti denunciati si precisa: “Si scopre che González Urrutia, anche se meno conosciuto del suo capo, Leopoldo Castillo, è lo stesso giornalista che ha rubato un budget di milioni di dollari, assegnato nel 2020, per creare una transnazionale della disinformazione, in opposizione a una Telesur parallela.

La squadra di Castillo, con la presenza del candidato sconfitto, ha avuto un ruolo attivo nell’ambasciata del Venezuela nel paese centroamericano in quei turbolenti anni 80. Il suo arrivo a San Salvador ha coinciso con un’era realmente oscura, segnata da violazioni dei diritti umani e massacri orribili. Aumentarono gli infami squadroni della morte. I rapporti di quei giorni sono agghiaccianti: dai massacri di civili innocenti alla persecuzione e all’omicidio di insegnanti e dirigenti comunitari. Senza menzionare gli attacchi spietati contro religiosi di varie nazionalità e bambini. Vale la pena notare che tutto ciò è documentato, con orrore, dai media di tutto il mondo”.

In un’altra parte della lettera, la denunciante ha aggiunto che Edmundo González ha lavorato nel servizio estero del Venezuela. Il 24 novembre 1976, fu accreditato come funzionario presso l’ambasciata venezuelana negli USA, durante il pieno sviluppo del Piano Condor, dove i corpi repressivi venezuelani erano rappresentati dal criminale internazionale Luis Posada Carriles e da altri agenti della CIA di origine cubana. Lì, si afferma, fu reclutato dalla CIA, come era comune all’epoca. Successivamente, il 27 luglio 1981, fu trasferito all’ambasciata del Venezuela in El Salvador, dove senza dubbio avrebbe svolto missioni di consulenza repressiva, fino al 20 luglio 1983.

La situazione era così grave che la stessa Chiesa cattolica, sconvolta dall’assassinio durante la sua funzione del Monsignor Oscar Arnulfo Romero, ucciso il 24 marzo 1980, e alcune organizzazioni internazionali sollevarono le loro denunce contro la violenza che, come si sapeva, contava sul supporto illimitato della stessa ambasciata in cui lavorava questo funzionario, ora divenuto un’alternativa statunitense. La realtà è che questo tipo di storie ci ricordano l’importanza di osservare criticamente il passato e i personaggi che, sebbene in ruoli “secondari”, giocarono un ruolo cruciale in eventi che cambiarono la vita di migliaia di persone.

In quel contesto, tra luglio 1981 e luglio 1983, El Salvador visse diversi episodi di violazioni dei diritti umani e massacri durante la guerra civile. Alcuni degli incidenti più noti furono: il Massacro di El Mozote, avvenuto l’11 dicembre 1981, quando le forze del Battaglione Atlacatl dell’esercito salvadoregno commisero la strage nel villaggio di El Mozote e nei dintorni. Si stima che morirono tra 800 e 1200 civili, inclusi molti bambini. Questo evento è uno dei peggiori casi di violenza contro i civili durante la guerra civile salvadoregna.

Un altro massacro che è emerso fu la cosiddetta Operazione Rescate, nel marzo 1982, a Chalatenango, durante un’operazione militare conosciuta con quel nome, in cui l’esercito salvadoregno attaccò diverse comunità, causando la morte di numerosi civili e il dislocamento di molti altri. L’operazione cercava di eliminare la presenza della guerriglia nella zona.

Nella comunità di Copapayo, nel dipartimento di Cabañas, i soldati dell’esercito salvadoregno uccisero decine di civili, principalmente donne, bambini e anziani, nel tentativo di sradicare l’influenza della guerriglia nella regione, nel novembre 1982. Queste violenze sono rappresentative della brutalità e della repressione che caratterizzarono la guerra civile salvadoregna, che lasciò un tragico saldo di decine di migliaia di morti e sfollati.

Il sacrificabile sconfitto alle urne, ancora impegnato in un lamento politico, fu membro del consiglio editoriale internazionale del quotidiano El Nacional, un media di opposizione dedicato, tra altre direttive, ad esacerbare la violenza, incitare al disordine e ingigantire gli eventi di strada, promossi dalla reazione, per aumentare l’insicurezza cittadina e seminare instabilità nel paese. Per questo comportamento è stato sanzionato dalle entità della comunicazione sociale per aver mancato al suo compito divulgativo.

Chi ora reclama quanto perso il 28 luglio, ha un’esperienza nell’opposizione avendo fatto parte della cosiddetta Mesa de la Unidad Democrática, l’alleanza che ha riunito i partiti più importanti dell’opposizione prima della formazione della PUD, come presidente della sua giunta direttiva.

Il proiettato Edmundo González, fu anche direttore del Comitato di Coordinamento e Pianificazione Strategica del Ministero degli Esteri, tra il 1990 e il 1991. Successivamente fu ambasciatore in Algeria, tra il 1991 e il 1993, durante i mandati di Carlos Andrés Pérez e Ramón José Velásquez.

Successivamente, ricoprì la carica di direttore generale della Politica Internazionale del Ministero degli Esteri, dal 1994 al 1998. È stato poi ambasciatore in Argentina, tra il 1998 e il 2002, nominato dal presidente Rafael Caldera e mantenuto in carica durante i primi anni del mandato di Hugo Chávez, fino a quando la diplomazia venezuelana non si è allineata agli interessi della Rivoluzione bolivariana.

Nel 1997, quando venne organizzato il VII Vertice Iberoamericano dei Capi di Stato e di Governo sull’isola Margarita, in Venezuela, incontro in cui vennero pianificati diversi piani di assassinio contro il Presidente di Cuba, Fidel Castro Ruz, con la partecipazione di diversi noti terroristi di origine cubana, tra cui Luis Posada Carriles, ex funzionario della DISIP in Venezuela e residente in quell’anno in El Salvador. Alcuni furono arrestati a Porto Rico e in Venezuela; questi dichiararono di aver ricevuto agevolazioni dagli organizzatori per accedere alle zone riservate ai soli Capi di Stato e alle delegazioni accompagnanti.

L’organizzatore di quell’evento fu Edmundo González Urrutia, che ricoprì la carica di Direttore Generale della Politica Internazionale del Ministero degli Affari Esteri del Venezuela, dal 1994 al 1999. Fu il segretario pro tempore del citato Vertice, incarico che assunse il 27 gennaio 1997, dalle mani di Fabio Vío, del Cile, paese dove si era tenuto il VI Vertice l’anno precedente.

La reazione internazionale persiste nel voler rovesciare il processo vittorioso; è logico, la Rivoluzione bolivariana è stata salvata da impresentabili come lo sconfitto di Langley, a Caracas.

(*) Scrittore e professore universitario. È autore, tra gli altri, dei libri “Sotto le ali del Condor”, “L’Operazione Condor contro Cuba” e “Democratici alla Casa Bianca e il terrorismo contro Cuba”. È collaboratore di Cubadebate e Resumen Latinoamericano.


CIA: Nuestro hombre en Caracas

La llamada eufemísticamente oposición en Venezuela, que en realidad es una contrarrevolución, que al decir de Carlos Marx, le es inherente a toda revolución, está desgastada después de tantos años de intentos por revertir la obra de los patriotas venezolanos, lo han intentado casi todo, incluido el asesinato político, ahora el magnicidio cobra más fuerza, cuando una vez más no han podido vencer en las urnas e inventan todo tipo de artimañas como apelar al cacareado “fraude electoral”, típico en todas las elecciones celebradas y por convocarse.

El criminal candidato republicano en Estados Unidos, gritó fraude, antes de terminar el conteo de votos y hasta el presente no ha reconocido al vencedor Joseph Biden como su presidente, sigue en el pataleo. Instigó el frustrado golpe de Estado con la toma del Capitolio y ahora exhibe, el laqueado, su orejuela lastimada como “víctima” de un atentado, que le ha sumado seguidores y casi borrado todas las demandas en su contra por diversos crímenes habituales y hartamente conocidos.

En Venezuela desde Carmona “el breve”; el bufón Guaidó, devenido en esquilmador de arcas públicas entregadas por el Imperio; la inveterada señora malgastada como candidata, han seguido varios Capriles, López, hasta el devenido hombre de la CIA en Caracas, con pasajes turbios de servicios prestados en la guerra criminal y agresora de Estados Unidos en Centroamérica.

El perdedor Edmundo González Urrutia, la penúltima opción opositora, ha inspirado su ejemplo en descendientes, tal es el caso de su hija Érika Carolina González López, quien fue acusada, según medios locales, por la Fiscalía 4ta. del Ministerio Público por estar vinculada a múltiples delitos graves. Entre ellos se incluyen privación ilegítima de libertad por funcionarios públicos, lesiones personales intencionales, asociación para delinquir y corrupción. Este caso grave no es reciente, se inició en abril de 2009 cuando se decretó su privación preventiva de libertad. En octubre del mismo año, se le otorgó una medida cautelar alternativa. Sin embargo, en octubre de 2011, tras una audiencia preliminar, se ratificó la medida original y se ordenó el pase a juicio.

La ahora travestida, en apariencias, como la abogada Carolina González Mata, con residencia en España, tiene, igual que su padre, un techo vidrioso, en el año de referencia fue procesada por corrupta cuando formaba parte de un organismo policial, por emplear la extorsión y la violencia como métodos personales, por ello fue separada del cuerpo y enjuiciada.

En junio de 2012, el Tribunal 2do. de Juicio del estado Miranda rechazó una solicitud de cambio de la medida, sustentando que las circunstancias que dieron origen a la privación de libertad no habían variado. El asunto quedó asentado en una sentencia del Tribunal Supremo de Justicia, donde González quedó registrada por los delitos mencionados.

El triunfo de Nicolás Maduro Moros, salvó a Venezuela de ser gobernada por el agente de cambio de la CIA, que lo desempolvo, al quedarse sin fichas para el juego opositor. Es conocida una investigación periodística realizada por Roberto Hugo Preza, corresponsal de teleSUR en El Salvador, que halló trazas del controvertido pasado de Edmundo González, quien como diplomático de la administración de turno en su país de origen, habría desempeñado un papel activo en el contexto de la participación de Venezuela en la agresión estadounidense en la región, desde su cargo en El Salvador en la década de 1980, cuando fungía como subordinado de Leopoldo Castillo, entonces embajador de Venezuela allí. Su nexo con la agencia viene de un poco antes, cuando se desempeñaba como primer secretario en la embajada de Venezuela en Washington en 1978. Entre 1981 y 1983, durante el gobierno de Luis Herrera Campins, no es promovido en rango y se le asigna a la sede diplomática venezolana en San Salvador.

Resulta interesante el análisis de la CIA sobre los factores regionales y globales que podían impactar negativamente los intereses estadounidenses y de sus aliados locales en Centroamérica. En primer término, consideraba que la alianza con Inglaterra en el conflicto de Las Malvinas podía disminuir su influencia en la región, estimaba: “Estados Unidos tienen posibilidades de verse solos en América Central”. En segundo lugar, Venezuela, que apoyaba las fuerzas insurgentes en Nicaragua y El Salvador, era posible que lo siguiera haciendo, pero deseando una identificación menos pública con las actividades de los Estados Unidos allí, por la misma causa. Y tercero, la posición hasta ese momento protagónica de Argentina en América Central variaría y su resentimiento hacia Estados Unidos podría conducirla a buscar políticas que difirieran de Washington.

Diversas fuentes y documentos históricos de varios países confirman que inmediatamente después del triunfo revolucionario en Nicaragua, emergió la alianza entre fuerzas irregulares de la derrotada dictadura de la dinastía Somoza y fuerzas regulares de Guatemala y El Salvador con la mencionada asistencia argentina y bajo la administración norteamericana de James Carter.

Este aspecto del enfrentamiento tenía entonces alta prioridad para el régimen salvadoreño, ya que también requirieron asistencia a Israel, gobierno que envió a El Salvador equipos de computación y comunicaciones para la recopilación de información humana y por medios técnicos para mantener en plena capacidad combativa a las fuerzas involucradas en las operaciones antiguerrilleras.

La aparición y desarrollo de los llamados escuadrones de la muerte como la Unión Guerrera Blanca, UGB y Fuerzas Armadas de Liberación Anticomunista-Guerra de Eliminación, FALANGE, con estrechos vínculos con la burguesía salvadoreña, contó con el asesoramiento de especialistas argentinos y venezolanos.

Tras el reemplazo de Romero por una junta cívico-militar en octubre de 1979 y el endurecimiento de la guerra civil, Argentina y Venezuela ampliaron su presencia militar en El Salvador, que se consolidó con la llegada a la Casa Blanca del republicano Ronald Reagan en enero de 1981. El político salvadoreño José Napoleón Duarte, coincidentemente refugiado en Venezuela fue el promotor de la presencia venezolana y después se hace al frente del Gobierno hasta el 2 de mayo de 1982, cuando entrega su mandato a Álvaro Magaña. Retoma el mando el 25 de marzo de 1984 con el apoyo venezolano. El vencido Edmundo González, desempeñó un papel ejecutivo en todo ese entramado represivo.

El deterioro de la situación interna en El Salvador cayó en una espiral indetenible de violencia en los meses finales de 1979 y durante los dos siguientes años de la década de los ochenta. La represión se aumentó y refinó en acciones coordinadas. Los asesinatos políticos y las desapariciones aumentaron como tipicidades delictivas resultado de una asesoría de diversos orígenes como hemos explicado.

Datos conservadores de organizaciones internacionales como Amnistía Internacional aseguraban que ya a principios de 1981 habían muerto más de seis mil civiles, no combatientes, es decir víctimas del terrorismo de Estado, dirigido a restar apoyo popular a las fuerzas insurgentes. Esta revelación fue hecha en el Congreso de los Estados Unidos por medio del testimonio ofrecido por esa organización ante la Subcomisión de Asuntos Interamericanos de la Comisión de Asuntos Exteriores de la Cámara de Representantes, en marzo de 1981.

La especialización de los cuerpos represivos salvadoreños insertados en la Agencia Nacional de Servicios Especiales de El Salvador, ANSESAL, contó con la asesoría y asistencia de Israel, Argentina y Venezuela, en particular en la dosificación de la violencia en los interrogatorios con el empleo de métodos más refinados con procedimientos psicológicos, dirigidos a obtener información para fines de contrainsurgencia.

La turbulencia y dinámica del enfrentamiento no permitía “blanquear” a los detenidos, en su mayoría obtenidos por medio de los secuestros, ante los tribunales, juzgarlos y condenarlos, en su lugar se imponía la ejecución sumaria de los interrogados una vez perdida su utilidad y la solución más viable era la desaparición tras de eliminación extrajudicial. El estado de exención facilitó aplicar métodos y medios punitivos en el proceder contrainsurgente.

El adiestramiento fue acelerado y especializado, se estima que entre octubre de 1979 y mayo de 1981, los servicios especializados de Estados Unidos, con la participación de asesores de Argentina, Venezuela, Chile y Uruguay adiestraron a más de trescientos oficiales salvadoreños en bases ubicadas en las zonas norteamericanas del Canal de Panamá.

La situación de la guerrilla salvadoreña en 1980 era predominantemente urbana radicada con fuerza en la capital San Salvador y esa fue la prioridad de la represión asistida por los asesores. Trabajaron desde la periferia hacia el núcleo de las organizaciones para eliminar su sustento dirigente y descabezarlo.

El año 1981 bajo el gobierno de José Napoleón Duarte al frente de la llamada Junta Cívico Militar, organizaciones como Américas Watch, en su reporte de junio de 1982 sobre Derechos Humanos en El Salvador afirmó que habían sido eliminados más de catorce mil personas calificadas por esa entidad como no combatientes.

Un ejemplo de la letalidad de la represión asesorada es el fracaso de la llamada “ofensiva final” puesta en marcha en enero de 1981 por el Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional, FMLN, que entonces contaba con una estructura organizativa vasta integrada por miles de combatientes. Las fuerzas armadas salvadoreños con el apoyo logístico internacional logro detener y sofocar la insurrección, que causó la pérdida de capacidades de la guerrilla para empeños de este tipo y la obligó al repliegue y cambio de tácticas.

El terror entronizado en la sociedad salvadoreña fue un factor determinante para que la insurrección y la ofensiva diseñada tuviesen un apoyo popular extendido. El temor a las represalias del gobierno y la incapacidad de poder protegerse de la misma hizo que la población no respondiera masivamente en ese momento histórico. El perdedor, para suerte de los venezolanos, fue un participante activo de ese proceso represivo.

Cuando proyectaron el uso que le darían a Edmundo González Urrutia, la fórmula de la Plataforma Unitaria Democrática (PUD), lo acogió como su candidato. La alianza concentró a los principales partidos y dirigentes de la oposición de Venezuela. No quedó otra alternativa, que echar mano a uno de los servidores dormidos, después de semanas de incertidumbre y de aspiraciones descartadas o inhabilitadas, González pasó de ser el nombre que preservaría la tarjeta electoral a ser candidato oficial de la PUD, y, con ello, el derecho de enfrentar, como el abanderado de la oposición mayoritaria, al Presidente Nicolás Maduro.

De inmediato aparecen antecedentes turbios del pasado del aspirante, una de ellas fue la denuncia de la exfuncionaria colombiana, María Catalina Restrepo Pinzón de Londoño, en la cual reveló detalles por medio de una carta remitida al líder venezolano Diosdado Cabello. La denunciado fue informado en el programa habitual del primer vicepresidente del Partido Socialista Unido de Venezuela (Psuv), Con el mazo dando.

Entre algunos aspectos de lo denunciado precisan: “Pues resulta que González Urrutia, aunque menos conocido que su jefe, Leopoldo Castillo, el mismo periodista que se robó un presupuesto de millones de dólares, que se le asignó en el 2020 para crear una transnacional de la desinformación para oponerla como una Telesur paralela.

El equipo de Castillo, con la presencia derrotado candidato tuvo un desempeño activo en la embajada de Venezuela en el país centroamericano por aquellos turbulentos años ochenta. Su llegada a San Salvador coincidió con una era realmente sombría, marcada por violaciones a los derechos humanos y masacres espantosas. Aumentaron los infames escuadrones de la muerte. Los reportes de aquellos días son escalofriantes: desde masacres de civiles inocentes, hasta la persecución, asesinato de maestros y líderes comunitarios. Sin mencionar los ataques despiadados contra religiosos de varias nacionalidades y niños. Cabe destacar que todo esto está documentado, con horror, por medios de todas partes del mundo”.

En otra parte de la misiva, abundó la denunciante que Edmundo González trabajó en el servicio exterior de Venezuela, así el 24 de noviembre de 1976 fue acreditado como funcionario en la embajada venezolana en Estados Unidos en pleno desarrollo del Plan Cóndor, donde los cuerpos represivos venezolanos estaban representados por el criminal internacional Luis Posada Carriles y otros agentes de la CIA de origen cubano. Ahí, se asegura, fue captado por la CIA como era común en esa época. En tanto, el 27 de julio de 1981 fue trasladado a la embajada de Venezuela en El Salvador, donde sin duda iba a cumplir misiones de asesoría represiva, por lo que estuvo hasta el 20 de julio de 1983.

La situación era tan grave que la propia Iglesia católica conmocionada por el asesinato durante su oficio del Monseñor Oscar Arnulfo Romero, ultimado el 24 de marzo de 1980 y algunas organizaciones internacionales alzaron sus denuncias contra la violencia, que se sabía, contaba con el apoyo irrestricto la misma embajada donde laboraba este funcionario devenido ahora en alternativa estadounidense. La realidad es que este tipo de historias nos recuerdan la importancia de observar críticamente el pasado y los personajes que, aunque en roles ‘secundarios’, jugaron parte crucial en eventos que cambiaron la vida de miles.

En ese contexto, entre julio de 1981 y julio de 1983, El Salvador vivió varios episodios de violaciones de derechos humanos y masacres durante la guerra civil. Algunos de los incidentes más notables fueron: Masacre de El Mozote, cometida el 11 de diciembre de 1981, cuando las fuerzas del Batallón Atlacatl del ejército salvadoreño cometieron la matanza en la aldea de El Mozote y sus alrededores. Se estima que murieron alrededor de 800 a 1,200 civiles, incluyendo muchos niños. Este hecho es uno de los peores casos de violencia contra civiles durante la guerra civil salvadoreña.

Otro asesinato masivo que trascendió, la llamada Operación Rescate, en marzo de 1982, en Chalatenango, durante una operación militar conocida por ese nombre, entonces el ejército salvadoreño atacó varias comunidades, resultando en la muerte de numerosos civiles y desplazando a muchos otros. La operación buscaba eliminar la presencia guerrillera en la zona.

En la comunidad de Copapayo, en el departamento de Cabañas, soldados del ejército salvadoreño asesinaron a decenas de civiles, principalmente mujeres, niños y ancianos, en un intento por erradicar la influencia guerrillera en la región, en noviembre de 1982. Estas violencias son representativas de la brutalidad y la represión que caracterizaron la guerra civil salvadoreña, que dejó un saldo trágico de decenas de miles de muertos y desplazados.

El sacrificable perdedor en las urnas, aun en pataleo político,  fue miembro del consejo editorial internacional del diario El Nacional, medio opositor dedicado entre otras directrices exacerbar la violencia, instigar al desorden y magnificar los sucesos callejeros, promovidos por la reacción, para elevar la inseguridad ciudadana y sembrar la inestabilidad del país. Por ese comportamiento ha sido sancionado por las entidades de comunicación social al faltar a su encargo divulgador.

Quien reclama ahora lo perdido el 28 de julio, registra entrenamiento en la oposición al haber formado formó parte de la llamada Mesa de la Unidad Democrática, la alianza que concentró a los partidos más importantes de la oposición antes de la formación de la PUD, como presidente de su junta directiva.

El proyectado Edmundo González, fue también director del Comité de Coordinación y Planificación Estratégica del Ministerio de Relaciones Exteriores entre 1990 y 1991. Después fue embajador en Argelia entre 1991 y 1993, durante los mandatos de Carlos Andrés Pérez y Ramón José Velásquez.

Posteriormente fungió como director general de Política Internacional del Ministerio de Relaciones Exteriores, de 1994 a 1998. Luego fue embajador en Argentina entre 1998 y 2002, nombrado por el presidente Rafael Caldera y conservado en el cargo durante los primero años de mandato de Hugo Chávez, hasta que la diplomacia venezolana se colocó en función de los intereses de la Revolución bolivariana.

En 1997, cuando se organiza la VII Cumbre Iberoamericana de Jefes de Estado y de Gobiernos en isla Margarita, Venezuela, cita en que se fraguan varios planes de magnicidio contra el Presidente de Cuba Fidel Castro Ruz, con la participación de varios connotados terroristas de origen cubanos, entre ellos Luis Posada Carriles, ex funcionario de la DISIP en Venezuela y residente ese año en El Salvador. Algunos son detenidos en Puerto Rico y Venezuela, estos declaran haber recibido facilidades de los organizadores para acceder a zonas restringidas reservadas solo para los mandatarios y las delegaciones acompañantes.

El organizador de ese evento fue Edmundo González Urrutia, quien se desempeñó entre 1994 y 1999 en el cargo de Director General de Política Internacional del Ministerio de Relaciones Exteriores de Venezuela, fue el secretario pro tempore de la citada Cumbre, cargo que asumió el 27 de enero de 1997, de manos de Fabio Vío, de Chile, país donde se había celebrado la VI Cumbre el año anterior.

La reacción internacional persiste en revertir el proceso triunfador, es lógico, la Revolución bolivariana, ha sido salvada de impresentables como el perdedor de Langley, en Caracas.

(*) Escritor y profesor universitario. Es el autor, entre otros, del libro “Bajo las alas del Cóndor”, “La Operación Cóndor contra Cuba” y “Demócratas en la Casa Blanca y el terrorismo contra Cuba”. Es colaborador de Cubadebate y Resumen Latinoamericano.

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