Non sono pochi i convinti che in questo luogo, che servì da rifugio ai peggiori ladri del mare, giace occulta una fortuna
Pinar del Río – Si racconta che in pieno XXI secolo, attratti dalle leggende, ci sono uomini che continuano a addentrarsi nella penisola di Guanahacabibes alla ricerca dei tesori di corsari e pirati che per due secoli abitarono questa remota porzione dell’occidente cubano.
Appoggiati da rotte e strumenti per scoprire metalli, alcuni confessano che sono state decine le volte nelle quali si sono avventurati in complicate spedizioni all’interno di un territorio praticamente vergine.
Il professore universitario Andrés Díaz è uno di loro, e anche se sino ad oggi non ha avuto fortuna, assicura che «nella penisola c’è oro. Di questo non si può dubitare».
Come lui, non sono pochi quelli che vivono convinti che da quell’oscuro passato nel quale Guanahacabibes servì da rifugio ai peggiori ladri del mare che vivevano nei Caraibi, giacciono occulte varie fortune.
Forse la più famosa di tutte le fortune è il tesoro della Cattedrale di Mérida, del quale s’iniziò a parlare all’inizio degli anni ’90, sufficiente per togliere Cuba dal periodo speciale.
Lo stesso Comandante dell’Esercito Ribelle, Julio Camacho Aguilera, direttore dell’Ufficio per lo Sviluppo Integrale della penisola (ODIG), ha ammesso più di una volta che al suo arrivo in questo luogo, nel 1991, fu accompagnato da «un gruppo di entusiasmati cercatori di famosi tesori, nascosti tra le leggende e la storia».
Famosi tesori che, ha segnalato Camacho, «avrebbero una grande importanza economica per il paese, se si potessero riscattare».
La bellezza di questo luogo ineguagliabile e la sua natura prodigiosa senza dubbio terminarono per innamorarlo, al punto di fargli affermare che il vero tesoro de Guanahacabibes è la penisola in sé.
Ubicata nell’estremo occidentale di Cuba, copre un’area di 1060 chilometri quadrati, questa terra affascinante non solo accolse pirati e corsari.
Fu abitata anche da aborigeni che lasciarono la loro impronta sulle pareti di varie caverne, e per la sua difficoltà d’accesso i nostri mambì la scelsero per far giungere nell’Isola varie spedizioni armate.
Di tutto questo ci sono varie evidenze che risaltano maggiormente i suoi valori e la trasformano in una destinazione molto promettente per il turismo.
Per questo, alla pari delle azioni per creare le condizioni indispensabili per lo sviluppo di una realtà alberghiera, tra gli altri servizi per i visitatori, negli ultimi tre decenni sono state sviluppate investigazioni di ogni tipo.
Come risultato di queste, oggi si sa che la penisola –dichiarata Riserva della Biosfera nel 1987- conta con 145 punti archeologici, 130 di abitazioni aborigene e che esistono 716 specie di piante superiori di 385 generi, con un alto grado d’endemismo.
Inoltre le sue barriere coralline sono catalogate tra le più diverse e meglio conservate della regione dei Grandi Caraibi, con 39 specie di spugne, 42 di coralli, 201 di pesci e un migliaio di molluschi marini.
Frutto del lavoro tra la ODIG, il Parco Nazionale Guanahacabibes, l’Università Hermanos Saíz Montes de Oca e altre istituzioni scientifiche di Cuba e di altre parti del mondo, sono stati fatti passi avanti per conoscere la profondità del territorio, e per lavorare alla sua conversazione.
Il progetto per la preservazione delle tartarughe marine e il primo vivaio costruito nel paese per la riproduzione dei coralli lo confermano.
Con la premessa che tutto quello che si fa dev’essere in armonia con l’ambiente, sono state fomentate numerose opere d’infrastruttura che comprendono una strada sino a Cabo di San Antonio e comunicazioni di ogni tipo, sino alle prime installazioni turistiche e a una marina per il rifornimento delle imbarcazioni che incrociano quello che si considera «la chiave del Golfo del Messico».
Guanahacabibes è molto più che sole e spiaggia: ci sono spazi per la pesca subacquea e sentieri per l’avvistamento di uccelli o specie minacciate, come il coccodrillo, e anche per un nuovo incontro con la sua storia grazie al lavoro degli specialisti del Parco Nazionale.
Nonostante tutto gli specialisti assicurano che questo è appena l’’inizio e che quello che si è ottenuto sino ad ora è la base per un maggiore sviluppo.
Alcuni anni fa, in una dichiarazione a Granma, il Comandante Camacho ricordava che quello che oggi si può dire in pochi minuti, e sembrerebbe facile, ha domandato un grande sforzo.
«Qui siamo partiti da zero, perché non c’era niente, solo noi e la natura».
Niente di quello che è stato fatto, senza dubbio, ha impedito che la penisola continui ad essere un luogo dove si mescolano la storia e la leggenda. Per questo ci sono quelli che continuano a sognare i tesori dei pirati e si addentrano utilizzando antiche mappe e strumenti per scoprire metalli, alimentando la mistica di un territorio che in pieno XXI secolo incarna quello che Alejo Carpentier definì come «Il reale meraviglioso».