Il 6 settembre il presidente del Brasile, Lula da Silva, durante un’intervista concessa a Rádio Difusora Goiânia ha affermato che “il comportamento di Maduro lascia molto a desiderare”.
Per il presidente brasiliano, di fronte ai “dubbi” che si presentano sui risultati delle elezioni presidenziali del 28 luglio, Maduro “dovrebbe dire la seguente cosa: dimostrerò, sai, che sono il favorito del popolo, ho i voti, dimostrerò che ho i voti… ma non lo fa”.
In questo modo, Lula ha nuovamente confermato che la sua posizione di neutralità relativa, successiva alle elezioni presidenziali, ha subito una svolta negativa che attualmente lo colloca nel circuito di pressione internazionale contro il Venezuela, stimolato da Washington, volto a ridurre al minimo possibile il riconoscimento della vittoria del presidente venezuelano nel contesto latinoamericano.
Il brasiliano, cercando di mantenere l’equilibrio come in altre occasioni, è stato fermo nel dichiarare che non romperà le relazioni con il Venezuela e che continuerà a denunciare il regime di sanzioni contro Caracas, per il modo in cui hanno dimostrato di aver danneggiato socialmente ed economicamente la popolazione.
Tuttavia, la sua selettività o doppio standard verso Maduro e la sovranità venezuelana risulta evidente. Il presidente brasiliano promuove alcuni principi e valori “democratici” riguardo al paese caraibico, ma li omette costantemente quando interagisce con altri governi la cui legittimità è discutibile.
Da una prospettiva più ampia, questa terza amministrazione di Lula ha spesso adottato posizioni ambivalenti in politica estera, che minano la sua scommessa, come membro BRICS+, per la costruzione di un nuovo ordine internazionale di carattere multipolare.
LULA DI FRONTE ALLA SITUAZIONE DELLA DEMOCRAZIA PERUVIANA
Dopo un contestato processo che ha portato alla destituzione del presidente Pedro Castillo, con l’approvazione di un complesso intreccio istituzionale che ha garantito una “successione” affidata a Dina Boluarte, le denunce di colpo di Stato non si sono placate e hanno addirittura inasprito le relazioni diplomatiche tra il Perù e vari paesi della regione.
Le proteste contro la destituzione di Castillo hanno lasciato più di 60 morti. Le violazioni dei diritti umani sono state massicce e denunciate da movimenti sociali e dall’establishment del “regime dei diritti umani interamericano”. Allo stesso modo, i governi di Messico e Colombia hanno denunciato il processo di destituzione e l’azione dello Stato di fronte alle proteste.
Tuttavia, dall’arrivo di Lula al Planalto, ha sorpreso il suo approccio al golpe.
Il 7 dicembre 2022, già come presidente eletto, si è venuti a conoscenza di una lettera firmata da lui in cui considerava il processo come una “destituzione costituzionale”: “È sempre triste che un presidente eletto democraticamente abbia questo destino, ma capisco che tutto è avvenuto nel quadro costituzionale”, ha dichiarato.
Per Lula, le relazioni con Dina Boluarte sono trascorse in totale normalità, indipendentemente dalle denunce sul colpo di stato e sulla violazione dei diritti umani. Così, lo scorso 28 agosto, Lula e la presidente peruviana hanno avuto una conversazione, durante la quale è stato discusso il tema venezuelano: “Durante la conversazione, durata circa 35 minuti, entrambi hanno riaffermato l’importanza della democrazia e dell’integrazione politica, economica e logistica sudamericana”.
“Boluarte ha ricordato l’incontro che hanno avuto a Belém, Pará, a margine del Vertice dell’Amazzonia, un anno fa, e ha ringraziato il sostegno brasiliano nella rappresentazione degli interessi del paese in Venezuela dopo la rottura delle relazioni diplomatiche. Ha anche ringraziato la posizione adottata dal Brasile nella ricerca di una soluzione all’impasse elettorale in Venezuela”.
Che Lula rimanga a braccia conserte di fronte al golpe in Perù e, allo stesso tempo, mantenga una posizione notoriamente attiva riguardo alla situazione venezuelana, espone la poca serietà della politica estera brasiliana nel contesto regionale.
CONTRADDIZIONI ED AMBIVALENZA DI FRONTE AL CONFLITTO UCRAINA-RUSSIA
Il presidente Lula si vanta della posizione del Brasile riguardo al conflitto tra Russia e Ucraina. In diversi forum e spazi diplomatici, ha dichiarato che la posizione del suo governo sarà di favorire una pace inclusiva e discussa da entrambe le parti (Kiev e Mosca). In questo modo, il Brasile è uno dei paesi, insieme a India e Cina, che ha proclamato pubblicamente una posizione di neutralità nel conflitto.
Tuttavia, la gestione geopolitica brasiliana non smette di essere contraddittoria. In una riunione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), il presidente brasiliano ha commentato che sia il presidente russo, Vladimir Putin, che quello ucraino, Volodymyr Zelensky, “stanno godendo della guerra” e che la soluzione deve essere un avvicinamento che porti alla pace nella regione: “Penso che debba esserci un accordo. Ora, se Zelensky dice che non parlerà con Putin e Putin dice che non parlerà con Zelensky, è perché stanno godendo della guerra, altrimenti si sarebbero già seduti a parlare e cercare di trovare una soluzione pacifica. Qualsiasi soluzione pacifica uccide meno persone, distrugge meno ed è più vantaggiosa per i popoli dell’Ucraina e della Russia”.
Al contrario, durante una visita effettuata, nel 2023, negli Emirati Arabi Uniti e in Cina, Lula ha accusato gli USA e l’Unione Europea di incoraggiare, con la fornitura di armi, il conflitto che oppone Ucraina e Russia. In quell’occasione, il presidente brasiliano ha insistito sul fatto che si doveva smettere di promuovere la guerra: “La pace è molto difficile. Il presidente della Russia, Vladimir Putin, non prende l’iniziativa per la pace; il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, non prende l’iniziativa per la pace. L’Europa e gli USA finiscono per contribuire alla continuazione di questa guerra”.
La postura contraddittoria si estende anche all’ambito diplomatico. Pur avendo il Brasile sostenuto la risoluzione dell’Assemblea Generale ONU che chiedeva a Mosca di cessare “immediatamente l’offensiva militare sull’Ucraina” e partecipato alla conferenza di pace tenutasi in Svizzera, non ha appoggiato la dichiarazione finale che ne è scaturita e si è mostrato contrario all’imposizione di sanzioni.
Con queste ambiguità, il Brasile cerca di sottolineare il proprio ruolo neutrale nel conflitto, puntando alla costituzione di un gruppo di paesi che fungano da facilitatori in una futura tornata di pace che conduca a un cessate il fuoco. Lo stesso presidente della Russia, Vladimir Putin, ha proposto Cina, Brasile e India come possibili mediatori in future negoziazioni di pace. Per il presidente russo: “Rispettiamo i nostri amici e soci che, ritengo, siano sinceramente interessati a risolvere tutti i problemi relazionati a questo conflitto. Si tratta principalmente di Cina, Brasile e India”.
Si prevede che nel prossimo incontro dei BRICS+, nella città di Kazan, i presidenti affronteranno e perfezioneranno questa proposta. Tuttavia, la sola presenza di Lula in Russia rappresenterebbe un’ulteriore dimostrazione dell’ambiguità che il Brasile mantiene sulla questione, considerando che Lula ha rifiutato, almeno in due occasioni, inviti in Russia.
Tuttavia, da febbraio 2024, si è confermata la visita del ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, che il presidente Lula da Silva visiterà la Federazione Russa in ottobre per il prossimo vertice dei dirigenti del blocco.
CONTRADDIZIONI IN AUMENTO
Il dibattito all’interno dello Stato brasiliano su una posizione che definisca e diriga, in generale, la politica estera del paese e, in concreto, la posizione ufficiale su temi specifici dell’attualità regionale e mondiale, si fa sempre più evidente.
La disputa per un proprio racconto che consenta di posizionarsi in modo efficace si mantiene tra chi sostiene un allineamento con gli USA e i suoi alleati, data la geografia e la storia che legano il Brasile all’emisfero occidentale, e chi invece punta alla costruzione di una prospettiva incentrata sulla costruzione di un ordine internazionale multipolare che consenta al paese sudamericano, come media potenza quale è, di acquisire un ruolo più rilevante nello scenario globale.
A livello internazionale, non solo il conflitto Russia-Ucraina evidenzia tali contraddizioni; il genocidio israeliano a Gaza denunciato formalmente da Brasilia, mentre mantiene relazioni commerciali e militari con Tel Aviv, o le posizioni sul cambio climatico e le politiche ambientali mostrano ugualmente l’ambivalenza dello Stato brasiliano e, di conseguenza, dell’amministrazione Lula su questioni spinose che, paradossalmente, finiscono per avvicinarlo alla erratica politica estera del suo predecessore Jair Bolsonaro.
In questa complessità brasiliana si inserisce il Venezuela.
La gestione strumentale che è stata data e viene data allo scenario post-elettorale venezuelano, risolta dalla sentenza della Sala Elettorale del Tribunale Supremo di Giustizia, rivela l’interesse di trarre vantaggio — forse elettorale — da una situazione che, all’interno dei confini, si è presentata nelle elezioni presidenziali brasiliane, dell’ottobre 2022, e che, come in Venezuela, è stata risolta seguendo quanto stabilito nell’ordinamento giuridico del paese.
La postura di neutralità tanto proclamata dal Brasile, che gli “garantirebbe” di ergersi come mediatore credibile tra le opposizioni e il governo di Nicolás Maduro, si dissolve quando si disconosce l’istituzionalità democratica venezuelana e si mettono in discussione i meccanismi giuridici, istituzionali e politici che accompagnano l’operato dei poteri pubblici del paese.
La credibilità del Brasile, e di qualsiasi altro paese, come attore facilitatore di dialogo in Venezuela inizia con il rispetto della costituzione nazionale e finisce quando omette i suoi precetti.
Las ambigüedades geopolíticas de Lula | Misión Verdad (misionverdad.com)
Las ambigüedades geopolíticas de Lula
El 6 de septiembre el presidente de Brasil, Lula da Silva, durante una entrevista concedida a Rádio Difusora Goiânia indicó que “el comportamiento de Maduro deja mucho que desear”.
Para el mandatario brasileño, ante las “dudas” que se presentan sobre los resultados de las elecciones presidenciales del 28J, Maduro “debería decir lo siguiente: voy a demostrar, ya sabes, que soy el favorito del pueblo, tengo los votos, demostraré que tengo los votos… pero no lo hace”.
De esta forma, Lula ha vuelto a confirmar que su posición de neutralidad relativa, posterior a las sufragios presidenciales, ha dado un giro negativo que lo ubica, actualmente, en el circuito de presión internacional contra Venezuela estimulado por Washington, dirigido a reducir al máximo posible el reconocimiento a la victoria del presidente venezolano en el contexto latinoamericano.
El brasileño, tratando de mantener el equilibrio como en otras oportunidades, fue enfático en declarar que no romperá relaciones con Venezuela y que seguirá denunciando el régimen de sanciones contra Caracas, por la forma en que demostradamente han perjudicado social y económicamente la población.
Pero su selectividad o doble estándar hacia Maduro y la soberanía venezolana queda demostrado. El mandatario brasileño promueve ciertos principios y valores “democráticos” respecto al país caribeño, pero los omite consistentemente cuando interactúa con otros gobiernos cuya legitimidad de origen es cuestionable.
Desde una perspectiva más amplia, esta tercera administración de Lula ha recurrido frecuentemente a posiciones ambivalentes en política exterior que socavan su apuesta, como miembro Brics+, por la construcción de un nuevo orden internacional de carácter multipolar.
LULA FRENTE A LA SITUACIÓN DE LA DEMOCRACIA PERUANA
Tras un cuestionado proceso que derivó en el derrocamiento del presidente Pedro Castillo, mediante el aval de un complejo entramado institucional que garantizó una “sucesión” a cargo de Dina Boluarte, las denuncias sobre golpe de Estado no cesaron y desencadenaron, incluso, el enrarecimiento de relaciones diplomáticas entre Perú y varios países de la región.
Las protestas contra la destitución de Castillo dejaron más de 60 muertos. Las violaciones de derechos humanos fueron masivas y denunciadas por movimientos sociales y por el establishment del “régimen de derechos humanos interamericano”. De igual forma, los gobiernos de México y de Colombia denunciaron el proceso de destitución y la actuación del Estado ante las protestas.
No obstante, desde la llegada de Lula a Planalto, sorprendió su enfoque hacia el golpe.
El 7 de diciembre de 2022, ya como presidente electo, se conoció de una misiva firmada por él en la que consideraba el proceso como una “destitución constitucional”: “Siempre es lamentable que un presidente elegido democráticamente tenga este destino, pero entiendo que todo se transmitió dentro del marco constitucional”, indicó.
Para Lula, las relaciones con Dina Boluarte han trascurrido en completa normalidad, independientemente de las denuncias que pesan sobre el golpe de Estado y la violación de derechos humanos. Así, el pasado 28 de agosto, Lula y la presidenta peruana mantuvieron una conversación, en la que el tema venezolano se puso sobre la mesa: “Durante la conversación, que duró unos 35 minutos, ambos reafirmaron la importancia de la democracia y de la integración política, económica y logística sudamericana”.
“Boluarte recordó la reunión que ambos mantuvieron en Belém, Pará, al margen de la Cumbre de la Amazonia, hace un año, y agradeció el apoyo brasileño en la representación de los intereses del país en Venezuela tras la ruptura de las relaciones diplomáticas. También agradeció la postura adoptada por Brasil en la búsqueda de una solución al impasse electoral en Venezuela”.
Que Lula se mantenga de brazos cruzados ante el golpe en Perú y, al mismo tiempo, sostenga una posición notoriamente activa frente a la situación venezolana expone la poca seriedad de la política exterior brasileña en el entorno regional.
Contradicciones y ambivalencia ante el conflicto Ucrania-Rusia
El presidente Lula se ufana de la posición de Brasil en relación al conflicto entre Rusia y Ucrania. En diversos foros y espacios diplomáticos, ha declarado que la postura de su gobierno será abogar por una paz inclusiva y debatida por ambas partes (Kiev y Moscú). De este modo Brasil es uno de los países, al igual que India y China, que han proclamado públicamente una posición de neutralidad en el conflicto.
No obstante, el manejo geopolítico brasileño no deja de ser contradictorio. En un reunión de la Organización Internacional del Trabajo (OIT) el presidente brasileño comentó que tanto el presidente ruso, Vladímir Putin, como el ucraniano, Vladímir Zelenski, “están disfrutando de la guerra” y que la apuesta debe ser un acercamiento que aborde la paz en la región: “Creo que tiene que haber un acuerdo. Ahora, si Zelenski dice que no tiene una conversación con Putin y Putin dice que no tiene una conversación con Zelensky, es porque están disfrutando de la guerra, porque de lo contrario ya se habrían sentado a hablar y tratar de encontrar una solución pacífica. Cualquier solución pacífica mata a menos personas, destruye menos y es más beneficiosa para los pueblos de Ucrania y Rusia”.
Por el contrario, durante una visita realizada en 2023 a Emiratos Árabes Unidos y China, Lula acusó a Estados Unidos y a la Unión Europea de alentar, con la entrega de armas, el conflicto que enfrenta a Ucrania con Rusia. En esa ocasión, el mandatario brasileño insistió en que se debía de dejar de promover la guerra: “La paz es muy difícil. El presidente de Rusia, Vladímir Putin, no toma la iniciativa por la paz; el presidente de Ucrania, Vladímir Zelenski, no toma la iniciativa por la paz. Europa y Estados Unidos terminan contribuyendo a la continuidad de esta guerra”.
La postura contradictoria llega al ámbito diplomático. Si bien Brasil apoyó la resolución de la Asamblea General de la ONU que exigía a Moscú el cese “inmediato de la ofensiva miliar sobre Ucrania” y participó en la conferencia de paz celebrada en Suiza, no acompañó la declaración final que surgió de esta y se ha mostrado contrario a la imposición de sanciones.
Con estas ambigüedades, Brasil intenta resaltar su papel neutral en el conflicto apostando por la conformación de un grupo de países que sirvan de facilitadores en una futura ronda de paz que desemboque en un cese al fuego. Incluso el presidente de Rusia, Vladímir Putin, propuso a China, Brasil e India como posibles mediadores en unas futuras negociaciones de paz. Para el mandatario ruso: “Respetamos a nuestros amigos y socios que, considero, están sinceramente interesados en resolver todos los problemas relacionados con este conflicto. Se trata principalmente de China, Brasil e India”.
Se espera que en la próxima reunión de los Brics+, en la ciudad de Kazán, los mandatarios aborden y perfeccionen esta propuesta. No obstante, la sola presencia de Lula en Rusia significaría otra muestra más de la ambigüedad que mantiene Brasil sobre el tema, toda vez que Lula habría rechazado, por lo menos en dos oportunidades, invitaciones a Rusia.
No obstante, desde febrero de 2024, se confirmó con la visita del ministro de Relaciones Exteriores de Rusia, Serguéi Lavrov, que el presidente Lula da Silva visitará la Federación Rusa en octubre para la próxima cumbre de líderes del bloque.
CONTRADICCIONES AL ALZA
El debate a lo interno del Estado brasileño sobre una posición que defina y dirija, en lo general, la política exterior del país y, en lo concreto, la postura oficial en temas puntuales del acontecer regional y mundial, se muestra cada vez más evidente.
La disputa por un relato propio que permita ubicarse de forma efectiva se mantiene entre quienes abogan por un alineamiento con Estados Unidos y sus aliados, dada la geografía e historia que une a Brasil con el Hemisferio Occidental, y otros que apuestan por la construcción de una perspectiva centrada en la construcción de un orden internacional multipolar que le permita al país suramericano, como potencia media que es, adquirir un rol más relevante en el escenario global.
En lo internacional no solo el conflicto Rusia-Ucrania evidencia dichas contradicciones; el genocidio israelí en Gaza denunciado por Brasilia formalmente, mientras mantiene relaciones comerciales y militares con Tel Aviv, o las posiciones sobre el cambio climático y políticas medioambientales, muestran de igual manera la ambivalencia del Estado brasileño y, en consecuencia, de la administración de Lula sobre temas peliagudos que, paradójicamente, terminan acercándolo a la errática política exterior de su antecesor Jair Bolsonaro.
En esa complejidad brasileña se inserta Venezuela.
El manejo instrumental que se le dio y se le da al escenario postelectoral venezolano, dirimido por la sentencia de la Sala Electoral de la Tribunal Supremo de Justicia, revela el interés de sacarle provecho —quizá electoralmente— a una situación que, fronteras adentro, se presentó en los comicios presidenciales de Brasil de octubre de 2022 y que, al igual que en Venezuela, fue resuelto siguiendo lo estipulado en el ordenamiento jurídico del país.
La postura neutral que tanto pregona Brasilia y que le “garantizaría” erigirse como un mediador creíble entre las oposiciones y el gobierno de Nicolás Maduro se diluye cuando se desconoce la institucionalidad democrática venezolana y se cuestionan los mecanismos jurídicos, institucionales y políticos que acompañan la actuación de los poderes públicos del país.
La credibilidad de Brasil, y de cualquier otro país, como actor facilitador de diálogo en Venezuela comienza con el respeto a la constitución nacional, y acaba cuando omite sus preceptos.