L’ampio universo di contraddizioni di Edmundo González

Dopo aver denunciato di aver firmato sotto pressione, costretto e minacciato un documento in cui ha riconosciuto la sentenza del TSJ (convalidando la vittoria del suo avversario, il presidente rieletto Nicolás Maduro), la narrazione di controllo dei danni riguardante questa azione di Edmundo González presenta serie incongruenze e contraddizioni.

Questo che non fa altro che aumentare l’impatto dei colpi alla credibilità dell’ex candidato e del settore dell’opposizione che lo accompagna.

L’ARGOMENTO DELLA COERCIZIONE: FRAGILE COME UN CASTELLO DI CARTE

L’argomento della coercizione subita crolla non solo per i documenti mostrati (audio e fotografie) dal presidente dell’Assemblea Nazionale (AN), Jorge Rodríguez, che dimostrano come le conversazioni si siano svolte in un ambiente rispettoso e disteso.

In altre parole, il documento non è stato il frutto di un’imposizione bensì di un consenso. González lo ha espresso chiaramente durante la sua intervista all’agenzia Reuters: “il testo andava e veniva, noi facevamo alcune osservazioni, loro rispondevano con altre”.

La sua partecipazione alla manifestazione convocata dall’opposizione martedì 30 luglio, due giorni dopo le elezioni, così come il cambio di ambasciata (da quella dei Paesi Bassi a quella di Spagna), dimostrano anche che non c’era alcun tipo di ostacolo ai suoi movimenti: aveva libertà di movimento e ne ha fatto uso.

Avendo l’opportunità di denunciare la vessazione o minaccia che subiva, e tenendo conto che si trovava sotto la protezione delle missioni diplomatiche, nei più di 70 post sulle sue reti sociali, dalla fine di luglio a metà settembre, non ha mai fatto alcuna dichiarazione che evidenziasse tale situazione.

Non ha mai parlato di pressioni o intimidazioni. Al contrario, si osserva un uso proselitista dei suoi account, contravvenendo alle richieste che le convenzioni sull’asilo esigono.

SPAGNA: LA DESTINAZIONE PRIVILEGIATA FIN DALL’INIZIO

Il comunicato di Caspar Veldkamp, Ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, ha rivelato che l’intenzione di González di lasciare il paese era irremovibile: “ha indicato che, nonostante tutto, voleva andarsene e continuare la sua lotta dalla Spagna”, ha espresso il responsabile della politica estera del Regno. In tal senso, il suo passaggio da una sede diplomatica all’altra è avvenuto senza che nessuno lo impedisse. Senza pressioni né dalle legazioni diplomatiche né dal Governo venezuelano.

L’ex candidato afferma nella sua intervista a Reuters di aver lasciato il Venezuela perché “stavano per prenderlo”, ma se questa versione fosse vera, perché, sebbene gli fosse stato consigliato di non lasciare la legazione olandese, è finito per trasferirsi all’ambasciata del Regno di Spagna?

“Ho parlato con lui della situazione in Venezuela, dell’importanza del lavoro dell’opposizione e della transizione verso la democrazia, e ho sottolineato la nostra continua ospitalità”, ha indicato Veldkamp, anche se González ha infine insistito nel voler andarsene.

Allo stesso modo, l’ex candidato difende la sua decisione come l’unica via per continuare la sua lotta “in libertà” e ottenere il riconoscimento della sua vittoria non dimostrata a livello internazionale. Tuttavia, come dimostrato, ha firmato senza pressioni un documento in cui esprime esplicitamente: “Sono sempre stato e continuerò a essere disposto a riconoscere e rispettare le decisioni adottate dagli organi di giustizia nell’ambito della costituzione, inclusa la suddetta sentenza della Sala Elettorale che, pur non condividendola, la rispetto in quanto decisione del massimo tribunale della Repubblica”.

Aggiungendo più avanti: “Registro il mio impegno che la mia attività pubblica fuori dal Venezuela sarà limitata. Non intendo in alcun caso esercitare alcuna rappresentanza formale o informale dei poteri pubblici dello stato venezuelano. Sarò assolutamente rispettoso delle istituzioni e degli interessi del Venezuela, e farò sempre appello alla pace, al dialogo e all’unità nazionale”.

UN’AZIONE ALLE SPALLE DI MARIA CORINA MACHADO

Edmundo González assicura che María Corina Machado non era a conoscenza dei suoi piani e che lo ha saputo poche ore prima della sua partenza: “lei non lo sapeva, glielo ho comunicato praticamente il giorno della mia decisione di trasferirmi all’ambasciata di Spagna”.

Questa rivelazione non è irrilevante, poiché durante la campagna si è cercato di trasmettere l’immagine di un duo consolidato e coeso in vista delle elezioni e della supposta transizione che avevano sostenuto sin dall’inizio.

Questo è un dato importante. María Corina Machado rappresenta un settore che nega qualsiasi possibilità di dialogo e negoziazione con il governo del presidente Nicolás Maduro.

Le conversazioni, le negoziazioni e gli accordi raggiunti in maniera particolare con la vicepresidente Delcy Rodríguez e il presidente dell’AN, Jorge Rodríguez, costituiscono un tradimento aperto a Machado e una capitolazione di fronte ai piani che lei manteneva con González per la sua strategia di cambio di regime, anche se oggi cerca di sfumarlo.

Il cambio improvviso nel discorso conciliatore di González una volta arrivato in Spagna, in quella prima comunicazione resa pubblica e nel video pubblicato nove giorni dopo, rivelano anche che c’è stata una modifica improvvisa della posizione espressa inizialmente nella lettera firmata.

Ora non riconosce i poteri costituiti dello Stato venezuelano e usurpa la carica di presidente eletto che non gli è stata conferita dal CNE.

Sarà che i settori dell’opposizione, che traggono profitto dall’instabilità politica in Venezuela e che hanno promosso, avallato e tratto vantaggio dal falso governo di Juan Guaidó, sono interessati a riproporre quel progetto fallito, ora aggiornato con González, e per questo lo stanno pressando affinché modifichi la sua posizione?

UNA STORIA CHE NON E’ANCORA FINITA

La storia dietro la capitolazione di González è lontana dalla conclusione, poiché il presidente del Parlamento venezuelano, Jorge Rodríguez, ha assicurato che c’era un secondo documento e molti altri dettagli nelle registrazioni, che potrebbero compromettere ulteriormente la già danneggiata credibilità dell’opposizione in generale, ma dell’ex ambasciatore in particolare.

Il passo falso rappresentato dalla sua narrazione sulla presunta coercizione e minaccia a cui è stato sottoposto ha anche un impatto negativo sul governo di Pedro Sánchez, che ora deve affrontare il fatto che l’asilo concesso è diventato un tema di politica interna e potrebbe permeare, come è già avvenuto, a livello dell’Unione Europea.

Nel voto svoltosi al Parlamento Europeo si è evidenziato l’effetto polarizzante generato dalla strategia di riconoscimento, o meno, di Edmundo González come presunto presidente eletto del Venezuela, non perché qualcuno riconosca la democraticità delle istituzioni venezuelane, ma per la possibilità di ripetere l’errore rappresentato dal riconoscimento del falso interim di Guaidó.

La presenza di Edmundo González a Madrid servirà agli interessi di quei settori rappresentati da Leopoldo López, Julio Borges e Antonio Ledezma, che continuano a puntare sul cambio di regime, mentre si arricchiscono nel processo.

Alla fine, queste contraddizioni e incoerenze rivelano un dispositivo di controllo dei danni progettato per evitare il fatto che ha riconosciuto la vittoria di Nicolás Maduro, negoziato e raggiunto un accordo con il governo venezuelano, legittimando le sue istituzioni e ignorando María Corina Machado, agendo alle sue spalle.

Un dispositivo che, inoltre, ha tra i suoi calcoli attendere la definizione elettorale di novembre negli USA, dove, a seconda del risultato finale, l’equazione intorno a Edmundo potrebbe cambiare.

El amplio universo de contradicciones de Edmundo González | Misión Verdad (misionverdad.com)


El amplio universo de contradicciones de Edmundo González

Tras haber denunciado que firmó presionado, bajo coacción y amenazado un documento en el que reconoció la sentencia del TSJ (convalidando la victoria de su contrincante, el presidente reelecto Nicolás Maduro), el relato de control de daños en torno a esa acción de Edmundo González presenta serias inconsistencias y contradicciones.

Algo que no hace sino elevar el impacto de los golpes a la credibilidad del propio excandidato y del sector opositor que lo acompaña.

El argumento de la coacción: tan débil como un castillo de naipes

El argumento de la coacción sufrida se desmorona no solo por los documentos mostrados (audios y fotografías) por el presidente de la Asamblea Nacional (AN), Jorge Rodríguez, en los que se evidencia que las conversaciones se realizaron en un ambiente respetuoso y distendido.

Dicho de otra manera, el documento no fue producto de la imposición sino del consenso. González lo expresó explícitamente durante su entrevista a la agencia Reuters: “el texto iba y venía, nosotros hacíamos algunas observaciones, ellos devolvían con otras”.

Su participación en la marcha convocada por la oposición el martes 30 de julio, dos días después de las elecciones, así como el cambio de embajada (de la de Países Bajos a la de España), también demuestran que no había ningún tipo de obstáculo a sus movimientos: tenía libre tránsito y lo usó.

Con la oportunidad de denunciar el acoso o amenaza que sufría, y teniendo en cuenta que estaba bajo el resguardo de las misiones diplomáticas, en los más de 70 post de sus redes sociales, desde finales de julio hasta mediados de septiembre, no efectuó ningún tipo de declaración que evidenciara tal situación.

Nunca habló de presiones o intimidaciones. Por el contrario, se observa un uso proselitista de sus cuentas, contraviniendo las demandas que las convenciones sobre asilo exigen.

ESPAÑA: EL DESTINO PRIVILEGIADO DESDE EL PRINCIPIO

El comunicado de Caspar Veldkamp, Canciller neerlandés, reveló que la intención de González de salir del país era irreductible: “indicó que, no obstante, quería irse y continuar su lucha desde España”, expresó el comunicado del responsable de política exterior del Reino. En tal sentido, su movimiento de una sede diplomática a la otra ocurrió sin que nadie lo impidiera. Sin presiones de las legaciones ni del Gobierno venezolano.

El excandidato afirma en su entrevista a Reuters que salió de Venezuela porque “iban por él”, pero tal versión, si fuera cierta, ¿por qué, aunque se le recomendó que no abandonara la legación neerlandesa, terminó mudándose a la embajada del Reino de España?

“Hablé con él sobre la situación en Venezuela, la importancia del trabajo de la oposición y la transición a la democracia, y enfaticé nuestra continua hospitalidad”, indicó Veldkamp, aunque finalmente González insistió en irse.

Asimismo, el excandidato defiende su decisión como el único camino para continuar su lucha “en libertad” y lograr el reconocimiento de su triunfo no demostrado a nivel internacional. Aun así, firmó sin presión, como se ha venido demostrando, un documento en el que expresa de forma explícita: “Siempre he estado y seguiré dispuesto a reconocer y acatar las decisiones adoptadas por los órganos de justicia en el marco de la constitución, incluyendo la precitada sentencia de la Sala Electoral que, aunque no comparto, la acato por tratarse de una resolución del máximo tribunal de la república”.

Agregando más adelante: “Dejo constancia de mi compromiso de que mi actividad pública fuera de Venezuela será limitada. No pretendo en ningún caso ejercer representación formal o informal alguna de poderes públicos del estado venezolano. Seré absolutamente respetuoso de las instituciones e intereses de Venezuela, y siempre apelaré a la paz, el diálogo y la unidad nacional”.

Actuación a espaldas de María Corina Machado

Edmundo González asegura que María Corina Machado no sabía de los planes que tenía y que se enteró horas antes de su partida: “ella no lo sabía, yo se lo comuniqué prácticamente el día de mi decisión de irme a la embajada de España”.

La revelación no es menor, ya que durante la campaña la imagen que se trató de transmitir fue la de una dupla consolidada y cohesionada de cara a las elecciones y la supuesta transición a la que apostaron desde el principio.

Este es un dato importante. María Corina Machado representa un sector que niega toda posibilidad de diálogo y negociación con el gobierno del presidente Nicolás Maduro.

Las conversaciones, negociaciones y acuerdos alcanzados de forma particular con la vicepresidenta Delcy Rodríguez y el presidente de la AN, Jorge Rodríguez, constituyen una traición abierta a Machado, y una capitulación frente a los planes que ella mantenía con González de cara a su estrategia de cambio de régimen, aunque ella trate de matizarlo hoy día.

El cambio repentino al discurso conciliador de González al llegar a España, en esa primera comunicación hecha pública y el video publicado nueve días después, también revelan que hubo una modificación repentina con la postura manifestada inicialmente en la carta que firmó.

Ahora no reconoce a los poderes constituidos del Estado venezolano, y usurpa el cargo de presidente electo que no le fue otorgado por el CNE.

¿Será que sectores opositores, que se lucran con la inestabilidad política en Venezuela y que promovieron, avalaron y se lucraron del gobierno fake de Juan Guaidó, están interesados en reeditar ese proyecto fallido, ahora actualizado con González y por eso lo presionan para que modifique su postura?

Un relato que aún no acaba

La historia detrás de la capitulación de González está lejos de concluir, toda vez que el presidente del Parlamento venezolano, Jorge Rodríguez, aseguró que había un segundo documento y muchos más detalles en las grabaciones, que pudieran comprometer aún más la ya golpeada credibilidad de la oposición en general, pero del exembajador en particular.

El paso en falso que representa su relato sobre la supuesta coacción y amenaza a la que fue sometido también impacta negativamente al gobierno de Pedro Sánchez, quien ahora debe lidiar con el hecho de que el asilo otorgado se convirtió en tema de política interna y que pudiera permear, como efectivamente ya ocurrió, a nivel de la Unión Europea.

En la votación que se realizó en el Parlamento Europeo se evidenció el efecto polarizador que genera la estrategia de reconocimiento, o no, de Edmundo González como supuesto presidente electo de Venezuela, no porque alguno reconozca la institucionalidad democrática del Estado venezolano, sino por la posibilidad de reeditar el error que representó el reconocimiento al falso interinato de Guaidó.

La presencia de Edmundo González en Madrid servirá a los intereses de esos sectores representados por Leopoldo López, Julio Borges y Antonio Ledezma, que siguen apostando al cambio de régimen, mientras se lucran en el proceso.

Al final, estas contradicciones e inconsistencias develan un dispositivo de control de daños diseñado para evadir el hecho de que reconoció la victoria de Nicolás Maduro, negoció y llegó a un acuerdo con el Gobierno venezolano, legitimando sus instituciones e ignorando a María Corina Machado, al actuar a sus espaldas.

Un dispositivo que, también, tiene entre sus cálculos esperar la definición electoral en noviembre en EE.UU., donde dependiendo del resultado final la ecuación en torno a Edmundo podría cambiar.

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