L’afrodestra non è, né può essere, una proposta emancipatrice

Rolando Julio Rensoli

Ogni essere umano ha il diritto di posizionarsi politicamente a sinistra, a destra o al centro, indipendentemente dalla sua classe, gruppo o strato sociale, sesso o identità di genere, orientamento sessuale, gruppo etnico, colore della pelle, nazionalità, credo religioso o ateismo, insomma… nulla importa delle sue origini per avere una posizione politica, perché la logica —secondo Marx— è dialettica e non pragmatica. Se fosse pragmatica, tutti gli operai e i contadini dovrebbero stare inevitabilmente a sinistra e i borghesi a destra, e allora Fidel Castro non avrebbe guidato la Rivoluzione Cubana data la sua origine borghese-latifondista, né Carlos Manuel de Céspedes avrebbe chiamato cittadini i suoi schiavi che liberò.

Le persone discendenti più dirette dagli schiavizzati africani non devono essere estremisti di sinistra, hanno diritto di scegliere. Ora, non è paradossale che esista una tendenza di afrodestra, organizzata e strutturata; il paradosso è che l’afrodestra tenti di presentarsi come l’opzione più adatta per la liberazione delle masse afrodiscendenti e che il suo discorso sia quello della rivendicazione della diaspora africana.

Certo, se le potenze imperialiste si presentano come “il mondo libero” pieno di democrazia, libertà e diritti umani, qui si inserisce il discorso “emancipatore” dell’afrodestra. L’incredibile è che, nell’Isola della Libertà, come i sovietici battezzarono Cuba e il mondo ammirato seguì il coro, ci siano persone istruite, potenziate dal processo rivoluzionario e attivisti sociali nel contesto realmente emancipatore di questo arcipelago, che credano in quel discorso, lo applaudano e lo adottino come proprio. Sorge una domanda: ingenuità? Cortesia? Doppio standard? O forse hanno venduto l’anima al diavolo?

Una persona può essere ingenua e, poiché il discorso non contraddice in generale i suoi obiettivi, può allora pensare che l’oratore condivida i suoi principi. Questo succede se non conosce “la stoffa” e la compra, peccando semplicemente di ingenuità.

Qualcuno può essere cortese e applaudire senza entusiasmo, come quando al teatro non gli piace lo spettacolo ma applaude per cortesia. Tuttavia, se lo fa con euforia, allora dimostra che lo spettacolo gli piace. Se era già pienamente identificato con il lato destro, la sua azione è coerente con il suo pensiero; ma, se si allineava con il lato opposto e all’improvviso applaude una persona le cui azioni sono diametralmente opposte a ciò che il suo discorso rappresenta, allora si sta tradendo.

Non parlo in astratto, mi limito solo a non fornire i dati identificativi dei protagonisti di questo fatto, ma inoltre non è un fatto isolato, succede, abitualmente o occasionalmente, a Cuba, e dobbiamo evitare che diventi una tendenza.

Di cosa parla l’afrodestra?

Un aspetto del discorso dell’afrodestra è che il razzismo è sistemico e strutturale universalmente, che abbraccia tutti i sistemi politici e tutti i paesi, li equipara come se fosse un male connaturato all’essere umano e non a determinate condizioni storiche.

In questo senso, quindi, l’afrodestra sostiene, —tra le righe, come messaggio subliminale— che anche nel socialismo cubano esisterebbe un razzismo sistemico e strutturale, e in realtà non è e non può essere così.

Il sistemico, tanto per i fenomeni della natura quanto della società, è ciò che un sistema determinato produce e riproduce per le proprie condizioni, nella natura per i suoi condizionamenti naturali e nella società per un sistema storicamente determinato dalle sue relazioni di produzione, che costituiscono la base di un modo di produzione che, a sua volta, sostiene una formazione economico-sociale nella sovrastruttura, che include un sistema politico e un mondo spirituale. Lo strutturale è precisamente ciò che questa struttura politica e sociale produce e riproduce di per sé, condizionata dalla sua base economica.

Il capitalismo ha creato il razzismo, non è esistito nel mondo antico né in quello medievale; la teoria delle razze presuppone l’esistenza di gruppi di individui all’interno di una specie che si assomigliano tra loro e si differenziano dagli altri per le loro qualità e capacità. Questa fu una teoria propria delle scienze biologiche della modernità nascente, e la credenza che potesse essere applicabile all’uomo, oltre che a diverse specie animali, poteva essere ingenua nel suo stadio iniziale da parte degli scienziati, ma la borghesia, nella conquista e colonizzazione dell’America, e successivamente dell’Africa e dell’Asia, in pieno processo di accumulazione originaria del capitale, la manipolò in modo tale da provocare un genocidio dei popoli indigeni americani, la schiavizzazione di milioni di africani e, in misura minore, di indiani e asiatici orientali, così come la discriminazione umiliante degli indigeni australiani.

Legalizzare tale teoria, renderla parte dell’immaginario comune, della cultura popolare, della vita quotidiana, dell’insegnamento scolastico e della pratica economica, politica, giuridica e sociale, è proprio dello sviluppo delle relazioni di produzione capitalistiche. Il razzismo è figlio della schiavizzazione degli indigeni americani, degli africani e degli asiatici; cercare di vederlo come parte della natura umana è violare questa stessa natura.

Il socialismo, in quanto società veramente umanista, emancipatrice, disalienante e civilizzatrice, è estraneo a qualsiasi sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo e, pertanto, laddove la proprietà sui principali mezzi di produzione è sociale – al di là che sia difficile sentirci proprietari, è una realtà – non è possibile pensare che il sistema generi il razzismo, piuttosto lo eredita, ed eredita anche le condizioni oggettive che lo hanno favorito, e in un breve tempo storico è molto difficile superare tali condizioni oggettive, che fino a un certo punto si riproducono in certe circostanze, ma non è il sistema, sono i suoi attori e la sua eredità economica, storica, sociale e culturale e, soprattutto, l’elemento della soggettività è molto difficile da trasformare. In definitiva, il razzismo è sistemico e strutturale nel capitalismo, ma non nel socialismo.

Il razzismo è un problema globale nella sua totalità, che sia razzismo egemonico o reattivo, antropocentrico o basato sul colore della pelle, xenofobia, etnofobia o nazionalismo sciovinista, ma c’è una differenziazione tra i due sistemi che convivono nell’umanità attuale: è sistemico e strutturale in uno di essi, il capitalismo, e rimane come retaggio o residuo nell’altro, il socialismo che, in definitiva, non ha ancora superato da nessuna parte il periodo di transizione dal capitalismo al socialismo e di costruzione del socialismo.

Un’altra sfaccettatura del discorso dell’afrodestra è quella di cementare come reale il concetto di razza e, per estensione, quelli di identità razziale e coscienza razziale, a partire dal fatto di rivendicare la costruzione socioculturale dell’esistenza delle razze nella specie umana a discapito dell’essenza biologica che la nega. Sostiene che, se in definitiva l’essere umano ha adottato il concetto come valido, questo deve essere rispettato e fondato. Non c’è nulla di emancipatorio in questa affermazione. La nostra specie ha gruppi di individui naturalmente differenziati per fenotipo e genotipo: 110 tonalità di pelle nel primo caso e una diversità di tratti diversi nella sua morfologia esterna, come i muscoli facciali, gli arti o altre parti del corpo, il tipo di capelli, e così via… siamo diversi a occhio nudo e nel secondo caso, il DNA mitocondriale e cromosomico ci differenzia internamente.

Nell’ordine spirituale, appare la terza differenziazione dei gruppi umani: l’etnia, in quanto abitudini, abilità, costumi e tradizioni culturali di ogni tipo, ma nulla di tutto ciò ci rende differenti in qualità e capacità; anche se alla personalità, unica e irripetibile, vengono attribuite o negate intelligenza, vocazione e talento, non è possibile attribuire tali caratteristiche ai gruppi umani. Questo lo fece la borghesia europea e americana tra il XVI e il XIX secolo e ha continuato a sopravvivere nel XX e nel XXI. Decisamente, ci sono razze in altre specie, ma non ce ne sono nella specie umana, e lungi dal rivendicare tale concetto, il dovere morale e scientifico ci impone di decostruirlo.

Se non ci sono razze, non può esserci identità razziale. I gruppi umani hanno un’identità etnica, nazionale, regionale, territoriale, locale, professionale, sessuale, di genere, religiosa e per il colore della pelle, ma non razziale. La coscienza sociale, nelle sue dieci forme riconosciute, formate dall’ideologia e dalla psicologia sociale, corrisponde a queste identità, ma non dovrebbe esistere una coscienza razziale. Razzializzare culturalmente l’essere umano è un’altra violenza contro Madre Natura.

Con questi presupposti teorici, l’afrodestra cerca di farsi portavoce della lotta per le riparazioni alle persone afrodiscendenti, alla cosiddetta diaspora africana, ai popoli afroamericani, afrolatini e afro-caraibici. La richiesta di riparazioni è legittima e ancor più lo è la lotta per essa, ma dalla parte della destra non è credibile. Se stai a destra, difenderai i valori del libero mercato sulla società, l’egoismo della libera concorrenza e l’accesso a quel mercato, l’efficienza economica basata su tagli al bilancio sociale e una maggiore produttività ottenuta attraverso licenziamenti di massa e un maggiore sfruttamento di chi rimane. Se stai a destra in questo continente, difenderai il blocco economico, commerciale e finanziario degli USA contro Cuba con effetti extraterritoriali e universali, le aggressioni economiche e di altro tipo contro le rivoluzioni sandinista e bolivariana e, in definitiva, contro tutto ciò che si trovi dalla parte opposta: la sinistra.

L’afrodestra non può essere emancipatrice

In ultima analisi, l’afrodestra si limita a difendere gli afro-imprenditoriali, che non riescono a dare potere a tutti gli afrodiscendenti, le quote nelle università, negli spettacoli artistici, nei prodotti audiovisivi… che non rappresentano l’intera torta ma solo delle fette. Queste proposte sono valide, necessarie e legittime, non da disprezzare, ma non sono di massa né estensive. Nel socialismo creolo, continueremo a difendere che la donna imprenditrice continui a crescere, che venga dato potere alla donna in questo campo economico e che si colori, sempre più, con tutte le sfumature dei 105 toni di pelle della donna cubana, e su questo vigileremo.

Allo stesso modo, con la donna creatrice, la incoraggeremo e continueremo a preoccuparci affinché le università, i licei e quelli di scienze esatte, gli istituti tecnici e professionali si colorino sempre di più, che siano sempre meno quelli che, terminato il nono grado, non proseguano gli studi, che tutti abbiano continuità educativa in ogni tipo di istruzione e che inondino con il loro colore epidermico tutte le carriere superiori e poi esercitino la loro professione a Cuba, contribuendo con la loro creatività alla costruzione di un socialismo ferocemente bloccato, ma che dobbiamo rendere prospero e sostenibile. Nulla di tutto ciò è compatibile con chi si colloca a destra, come accadde negli Stati Generali della Francia prerivoluzionaria, che diedero origine a quella classificazione politica.

Cuba è, per definizione, un popolo afrodiscendente, al di là dei toni di pelle dei suoi singoli componenti; è geneticamente meticcia, fenotipicamente diversificata, culturalmente un’etno-nazione e un solo popolo, e nel suo progetto politico e sociale, una sola patria, da Aponte, Varela e Céspedes, da Martí e Maceo fino a Fidel. Le riparazioni agli afrodiscendenti cubani sono iniziate il 1° gennaio 1959 con una rivoluzione democratico-popolare divenuta socialista, e che negli ultimi cinque anni hanno preso la forma di un Programma Nazionale contro il razzismo e la discriminazione razziale, con i simboli spirituali del “colore cubano” di Nicolás Guillén e dell’“ajiaco” di Fernando Ortiz. Gli undici sottoprogrammi di questo programma sono le riparazioni per cui altri lottano in altre geografie.

Mi preoccupano i cubani/e che, forse ingenuamente, assumono i discorsi dell’afrodestra, forse involontariamente, inconsciamente, senza proporselo? Il nostro attivismo sociale cittadino antirazzista, che costituisce il sottoprogramma 5 del Programma Nazionale Color Cubano, deve inevitabilmente sedersi dalla parte sinistra dello scenario, altrimenti non è legittimo.

Concludo raccontando che in una certa occasione ci visitò una dirigente dell’afrodestra proveniente da un paese latinoamericano, che disse molte cose, disse tutto quello che le veniva in mente e arrivò persino a presentare il suo curriculum politico, ma sfortunatamente ci furono delle lacune nel suo discorso: si dimenticò di dire che nel paese in cui era stata vice capo di Stato, le comunità indigene sono isolate, gli afrodiscendenti aspettano ancora quelle tanto decantate riparazioni e, a livello globale, quella persona è stata portavoce del gruppo ultra-reazionario e conservatore di Lima, per di più screditato, e ha persino richiesto, non poche volte, l’intervento militare di un’altra entità screditata: l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) nella Repubblica Bolivariana del Venezuela, che invece sta facendo riparazioni storiche ai suoi popoli indigeni e alle masse afrodiscendenti.

In quell’occasione ho sentito alcuni applausi compiacenti, persino interventi di approvazione, ma, dopo una risposta patriottica di qualcuno che vive la Rivoluzione nelle vene, non mi sono accorto di quando la conferenziera abbia lasciato l’incontro, è andata via così di nascosto che non ha lasciato tracce fisiche, come non ha lasciato traccia il suo insignificante discorso, e infatti, nell’Isola della Libertà, l’afrodestra non può dare ricette; qui consumiamo altri medicamenti, autoctoni, per risolvere i mali da sconfiggere.

(Tratto da “El Periódico Cubarte”)


La afroderecha no es, ni puede ser, una propuesta emancipadora

Por: Rolando Julio Rensoli   

Todo ser humano tiene el derecho de situarse políticamente a la izquierda, a la derecha o al centro, con independencia de su clase, grupo o capas sociales, su sexo o identidad de género, orientación sexual, grupo étnico, color de la piel, nacionalidad, credo religioso o su ateísmo, en fin… nada importa de sus orígenes para tener una posición política, porque la lógica —según Marx— es dialéctica y no pragmática. Si fuera pragmática, todos los obreros y campesinos tendrían que estar irremediablemente a la izquierda y los burgueses a la derecha, entonces Fidel Castro no hubiera dirigido la Revolución Cubana por su origen burgués-terrateniente ni Carlos Manuel de Céspedes le hubiera llamado ciudadanos a sus esclavos que liberó.

Las personas descendientes más directas de los esclavizados africanos no tienen que ser izquierdistas a ultranza, tienen derecho a escoger. Ahora, no es paradójico que exista una tendencia de afroderecha, organizada y estructurada, lo paradójico es que la afroderecha trate de asumirse como la opción más apropiada para la liberación de las masas afrodescendientes y que su discurso sea el de la reivindicación de la diáspora africana.

Claro, si las potencias imperialistas se presentan como “el mundo libre” pletórico de democracia, libertades y derechos humanos, ahí cabe el discurso “emancipador” de la afroderecha. Lo increíble es que, en la Isla de la libertad, como bautizaron los soviéticos a Cuba y el mundo admirado les siguió la rima, haya personas instruidas, empoderadas por el proceso revolucionario y activistas sociales en el contexto realmente emancipador de este archipiélago, que crean en ese discurso, lo aplaudan y lo adopten como propio. Caben preguntas: ¿ingenuidad? ¿cortesía? ¿doble rasero? o ¿acaso vendieron su alma al diablo?

Una persona puede ser ingenua y como el discurso no contradice en lo general sus objetivos, puede entonces pensar que el discursante coincide con sus principios. Eso sucede si no conoce “el paño” y lo compra, y sencillamente peca de ingenua.

Alguien puede ser cortés y aplaudir sin euforia como cuando en el teatro no le gusta la puesta en escena y aplaude solo por cortesía, pero si lo hace eufóricamente, entonces da muestra de que la puesta le gusta. Si ya estaba plenamente identificado desde antes con el lado diestro, su acción es consecuente con su pensamiento; pero, si se alineaba del lado contrario y de pronto, aplaude a esa persona que es diametralmente opuesta en sus acciones a lo que discursa, entonces, usted se está traicionando a sí misma.

No hablo en abstracto, sólo me reservo los datos identificativos de los protagonistas de ese hecho, pero además, tampoco es un hecho aislado, sucede, habitual u ocasionalmente en Cuba y debemos evitar que se convierta en tendencia.

¿De qué habla la afroderecha?

Una matriz del discurso de la afroderecha es que el racismo es sistémico y estructural universalmente, que abarca a todos los sistemas políticos y a todos los países, los iguala en eso como si fuera un mal consustancial al ser humano y no a determinadas condicionantes históricas.

En ese sentido, entonces la afroderecha sustenta, —entre líneas, como mensaje subliminal— que en el socialismo cubano también existiría un racismo sistémico y estructural y realmente no es, ni puede ser así.

Lo sistémico, tanto para los fenómenos de la naturaleza, como de la sociedad, es lo que un sistema determinado produce y reproduce por sus propias condiciones, en la naturaleza por sus condicionantes naturales y en la sociedad por un sistema históricamente determinado por sus relaciones de producción que constituyen la base de un modo de producción que, a su vez, sirve de sostén a una formación económico-social en la superestructura que lleva implícito un sistema político y un mundo espiritual. Lo estructural es precisamente lo que esa estructura política y social produce y reproduce de por sí, condicionada por su base económica.

El capitalismo creó el racismo, no existió en el mundo antiguo ni en el medieval, la teoría de las razas supone la existencia de grupos de individuos dentro de una especie que se asemejan entre sí y se diferencian de otros por sus cualidades y capacidades. Esa fue una teoría propia de las ciencias biológicas de la modernidad en ciernes y la creencia de que podía ser aplicable al hombre, además de varias especies de animales, pudo ser ingenua en su momento inicial por los científicos pero la burguesía en la conquista y colonización de América y después del África y del Asia, en pleno proceso de acumulación originaria del capital, la manipularon de tal forma que produjo un genocidio de los pueblos originarios americanos, la esclavización de millones de africanos y en menor medida de hindúes y asiáticos orientales así como la discriminación vejaminosa de los indígenas australianos.

Legalizar tal teoría, hacerla propia del imaginario común, de la cultura popular, de la vida cotidiana, de la enseñanza escolar y de la práctica económica, política, jurídica y social, es propia del desarrollo de las relaciones de producción capitalistas. El racismo es hijo de la esclavización del indígena americano, del africano y del asiático, tratar de verlo como algo de la naturaleza humana es violentar esa propia naturaleza.

Al socialismo, en tanto sociedad verdaderamente humanista, emancipadora, desenajenante y civilizatoria le es ajena toda explotación del hombre por el hombre y por tanto, donde la propiedad sobre los medios fundamentales de producción es social —más allá de que nos cueste trabajo sentirnos propietarios, es una realidad— no es posible pensar que el sistema engendre el racismo, más bien lo hereda y también hereda las condicionantes objetivas que lo propiciaron y en un tiempo histórico breve es muy difícil superar esas condiciones objetivas y hasta se reproducen circunstancialmente pero no es el sistema, son sus actores y su herencia económica, histórica, social y cultural, y sobre todo, el elemento de la subjetividad es muy difícil de transformar. Definitivamente, es sistémico y estructural el racismo en el capitalismo, pero no en el socialismo.

Es un problema global el del racismo, en toda su extensión, el racismo hegemónico y el reactivo, el racismo antropocéntrico y por el color de la piel, la xenofobia, la etnofobia y el nacionalismo chovinista, pero tiene una diferenciación entre los dos sistemas que conviven en la humanidad actual y es sistémico y estructural, en uno de ellos, el capitalismo y queda como rezago o vestigio, en el otro, el socialismo que, en definitiva, aún no ha rebasado en ninguna parte, el período de tránsito del capitalismo al socialismo y de construcción del socialismo.

Otra arista del discurso de la afroderecha es cimentar como real el concepto de raza y por decantación, los de identidad racial y conciencia racial, partiendo del hecho de reivindicar la construcción sociocultural de la existencia de razas en la especie humana en detrimento de la esencia biológica que la niega. Plantea que, si en definitiva, el ser humano ha adoptado el concepto como válido, debe respetarse y fundamentarse. Nada de emancipatorio tiene tal planteamiento. Nuestra especie tiene grupos de individuos diferenciados naturalmente por el fenotipo y el genotipo. 110 tonos de piel en el primer caso y diversidad de rasgos diferentes en su morfología externa en cuanto a los músculos faciales, las extremidades u otras partes del cuerpo, la textura capilar y en fin… somos diversos ojos vista y en el segundo caso, los ADN mitocondriales y cromosómicos nos diferencian internamente.

En el orden espiritual, aparece la tercera diferenciación de los grupos humanos: la etnia, en tanto hábitos, habilidades, costumbres y tradiciones culturales de todo tipo, pero nada de eso nos hace diferenciarnos en cualidades y capacidades, si bien a la personalidad, única e irrepetible, se le atribuye o se niega la inteligencia, la vocación y el talento, no es posible, atribuirles esas cosas a las grupalidades humanas. Eso hizo la burguesía europea y americana entre los siglos XVI y XIX y ha sobrevivido en el XX y el XXI. Definitivamente, hay razas en otras especies, pero en la humana no las hay y lejos de reivindicar tal concepto, el deber moral y científico, nos obliga a deconstruirlo.

Si no hay razas, no puede haber identidad racial, los grupos humanos tienen identidad étnica, nacional, regional, territorial, local, gremial, sexual, genérica, religiosa y por el color de la piel, pero no racial y la conciencia social en sus diez formas reconocidas, formadas por la ideología y la psicología social, se corresponde con esas identidades, pero no debe existir conciencia racial. Racializar al ser humano culturalmente, es otra violencia a la madre naturaleza.

Con esos presupuestos teóricos, la afroderecha trata de abanderar la lucha por las reparaciones a las personas afrodescendientes, a la llamada diáspora africana, a los pueblos afroamericanos, afrolatinos y afrocaribeños. Es legítima la exigencia de reparaciones y más aún la lucha por ella, pero del lado de la derecha no es creíble. Si estás a la derecha defenderás los valores del libre mercado sobre la sociedad, el egoísmo de la libre competencia y concurrencia a ese mercado, la eficiencia económica sobre la base de recortes al presupuesto social y la mayor productividad basada en despidos masivos y mayor explotación del que se queda. Si estás a la derecha en este continente, defenderás el bloqueo económico, comercial y financiero de los Estados Unidos hacia Cuba con efectos extraterritoriales y universales, las agresiones económicas y de todo tipo contra las revoluciones sandinista y bolivariana y en fin, contra todo lo que esté del lado contrario: la izquierda.

No puede ser emancipadora la afroderecha

En última instancia, la afroderecha termina limitándose a defender los afroemprendimientos que no alcanzan a empoderar a todos los afrodescendientes, las cuotas en universidades, espectáculos artísticos, productos audiovisuales… que no es el todo del pastel sino solo cuñas del mismo. Esas propuestas son válidas, necesarias y legítimas, no desestimables, pero no son masivas ni extensivas. En el socialismo criollo, seguiremos defendiendo que la mujer emprendedora continúe creciendo, que se empodere a la mujer en ese campo económico y que se coloree cada vez más, con todos los matices de los 105 tonos de piel de la mujer cubana y estaremos vigilantes en eso.

Igual, con la mujer creadora, lo fomentaremos y seguiremos preocupados porque las universidades, preuniversitarios y los de ciencias exactas, los tecnológicos y los politécnicos se coloreen cada vez más, que sean los menos los que se queden al concluir el 9no grado sin seguir estudiando, que todos tengan continuidad de estudios hacia todos los tipos de enseñanza y que inunden con su colorido epidérmico todas las carreras superiores y que después, ejerzan en Cuba y que contribuyan con su creatividad a construir un socialismo ferozmente bloqueado, pero que debemos hacerlo próspero y sostenible. Nada de eso es compatible si la persona se sitúa a la derecha como en los Estados Generales de la Francia prerrevolucionaria que dio origen a esa clasificación política.

Cuba, es un pueblo afrodescendiente por definición más allá de los tonos de piel de sus componentes individuales, es genéticamente mestizo, fenotípicamente diverso, culturalmente un etnos-nación y un solo pueblo y en su proyecto político y social, una sola patria, desde Aponte, Varela y Céspedes, desde Martí y Maceo hasta Fidel. Las reparaciones a los afrodescendientes cubanos comenzaron el 1ro. de enero de 1959 con una revolución democrático-popular devenida socialista y que en los últimos cinco años ha tomado la forma de Programa Nacional contra el racismo y la discriminación racial con los símbolos espirituales del “color cubano” de Nicolás Guillén y el “ajiaco” de Fernando Ortiz. Los once subprogramas de este programa, son las reparaciones por las que otros luchan en otra geografía.

A mí me preocupan los cubanos y cubanas que ¿ingenuamente? asumen los discursos de la afroderecha ¿involuntariamente, inconscientemente, sin proponérselo? Nuestro activismo social ciudadano antirracista que constituye el subprograma 5 del Programa Nacional Color Cubano, tiene que, irremediablemente, sentarse del lado izquierdo del escenario, si no, no es legítimo.

Yo concluyo contando que en cierta ocasión nos visitó una líder de la afroderecha procedente de un país latinoamericano que dijo muchas cosas, dijo todo lo que se le ocurrió y hasta hizo una presentación de su currículum político, pero lamentablemente tuvo lagunas en su discurso, se le olvidó decir que en el país donde fue subjefa de Estado, las comunidades originarias están aisladas, los afrodescendientes siguen esperando por esas cacareadas reparaciones y en el orden global, esa persona fue vocera del ultra reaccionario y conservador Grupo de Lima, por demás, desprestigiado, y hasta esa persona solicitó, en no pocas ocasiones, la intervención militar de otra entidad desprestigiada: la Organización de Estados Americanos (OEA) en la República Bolivariana de Venezuela, que sí está haciendo reparaciones históricas hacia sus pueblos originarios y las masas afrodescendientes.

En aquella ocasión escuché algunos aplausos complacientes, incluso intervenciones de beneplácito, pero, después de una respuesta patriótica de alguien que vive la Revolución en sus venas, no me percaté en qué momento se marchó la disertante del cónclave, se fue tan clandestinamente que no dejó huellas físicas como tampoco su intrascendente discurso y es que, en la Isla de la Libertad, la afroderecha no puede dar recetas, consumimos otros medicamentos, autóctonos, para resolver los males por vencer

(Tomado de El Periódico Cubarte)

 

 

 

 

 

 

 

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.