Loro si sono arrogati la potestà di ufficializzare i concetti. Dicono al mondo cosa sia dittatoriale, cosa sia giusto e cosa sbagliato. In stile Göebbels, ripetendolo in vari canali, la gente lo assimila senza porsi la domanda: perché così?
Già dalla Guerra Fredda, il paese che voleva far credere al mondo di aver sconfitto il fascismo – anche se non era così – ha iniziato a imporre una dittatura invisibile, anche se a volte non tanto, su cosa pensare, cosa fare, come ragionare, cosa consumare e, in definitiva, su come essere.
E chi non vuole obbedire a questa imposizione viene demonizzato, e la cosa più gentile che gli viene detta è chiamarlo terrorista o un suo sostenitore.
Ciò che questo impero fa al mondo non è altro che una manifestazione di neofascismo. Un fascismo che si evolve negli anni, adattandosi alle società e al contesto per perpetuarsi insieme al capitalismo, che ne è complice, usandosi a vicenda. Insieme alla mediocrità.
Con il piano Condor, hanno creato un laboratorio nei paesi dell’America Latina. Hanno formato governi fantoccio con forze armate specializzate nella repressione del popolo e nel mantenimento del potere esecutivo, ma totalmente inutili in materia di difesa. Non preparate, ad esempio, per invasioni militari. Ma se ci pensiamo un po’, chi potrebbe invadere militarmente se non gli USA? E se dovesse accadere, delle forze armate deboli in questo aspetto sarebbero sempre loro utili.
Non fanno mai nulla senza uno scopo. Il fascismo è nemico dei popoli, della gente. Non dei governi.
Cercano di perpetrare piani in altri paesi affinché, se funzionano, possano poi espanderli altrove. Il caso del Venezuela, nelle parole di Diosdado Cabello, è un esempio di questo. Ciò che cercano di fare con esso, i piani di sovversione che promuovono, la sporca macchina contro il suo governo, non è altro che una continuazione della “Scuola delle Americhe”, volendo che il popolo si uccida tra sé. Così l’hanno insegnato, e così vogliono che sia.
Prima non lo chiamavamo fascismo, ma non è forse lo stesso? Ci è toccata un’epoca in cui ci hanno insegnato cos’era il fascismo, ma non la capacità di vedere cos’è oggi. O lo identifichiamo in tempo in ogni sua manifestazione, o sarà troppo tardi in molti casi.
Dobbiamo essere pronti per il contesto attuale. Non si risolve un problema oggi con la stessa metodologia di cinquant’anni fa. I tempi cambiano, ed è così. Alcuni sventurati, persino a nome della Rivoluzione, ci hanno accusato di essere “perestroikiani” perché insistiamo sul fatto che i tempi cambiano. Questo non è altro che il famoso “senso del momento storico” nel concetto di Rivoluzione di Fidel.
Quando diciamo che i tempi cambiano, lo facciamo per affrontarli nel modo rivoluzionario che corrisponde oggi, per fare in modo che questo sistema culturale e sociale continui a essere all’avanguardia e non resti anchilosato nel tempo.
Ma noi non ci fermiamo alle voci di coloro che, incapaci di fare e trasformare qualcosa, criticano quelli che cercano di far sì che l’uomo e la donna nuova siano pronti per ciò che verrà.
Noi vogliamo incoraggiare a pensare e a riflettere su noi stessi. Vogliamo non essere dogmatici, ma attingere alle fonti che possono arricchirci. Sappiamo che, affinché le rivoluzioni possano durare, dobbiamo essere in grado di interpretare i desideri e gli interessi del popolo, anche attraverso il dialogo permanente.
Non c’è modo che abbiamo senso di appartenenza senza sentire di contare, che i nostri problemi vengono presi in considerazione.
I popoli, nonostante gli USA, non sono cavie da laboratorio. E nonostante anche coloro che si definiscono rivoluzionari ma vivono nel 1960 e non comprendono il contesto storico, i popoli sono eterogenei. E per questo devono essere guidati e condotti.
Nella cattedra sulla Rivoluzione Cubana che sto frequentando presso l’Istituto di Storia di Cuba, ho imparato una cosa: la società deve vedersi riflessa nei dirigenti. E sia Fidel sia Díaz-Canel sanno che bisogna fare spazio a tutti coloro che non siano nemici della Rivoluzione. Non solo ai rivoluzionari. Bisogna conquistare anime, leggere e vedere per poi poter credere.
Ma tutti questi compiti sono difficili perché non è facile essere un soffio di vento sano in un mondo sotto un regime dittatoriale.
Il pianeta vive una dittatura, non forse come quelle che ci hanno insegnato che esistono, ma in un sistema dove ci hanno tolto la capacità di discernere. Ci sono molte forme di dittature, così come ci sono molti modi di democrazia. Poiché è fuori dal tempo schierare carri armati per strada e invadere paesi (anche se, se necessario, lo fanno), ricorrono ad altri strumenti, come la persuasione delle menti e la colonizzazione culturale che priva uomini e donne del loro legame di appartenenza e identità.
E tutto diventa volgare e decadente. Perché la gente crede di essere viva, ma hanno il cuore e il senso morti, benché la scienza certifichi il contrario.
È la dittatura della volgarità. Quella che entra nelle case e nelle famiglie affinché i loro membri smettano di amare, affinché gli artisti smettano di creare, affinché tutti smettano di credere e seguano solo il modello che viene loro imposto. La volgarità, nemica della libertà, dell’autonomia e del desiderio di fare.
Chiede libertà solo chi non è libero. Una banda di gente schiava di un sistema capitalista che li sfrutta chiede libertà per Cuba, sapendo che Cuba è libera. Ma la libertà non è gratuita. Richiede sacrificio, sofferenza, resistenza. Richiede passione.
E i volgari non è che non siano disposti, è che non possono. Dentro la loro mancanza di libertà, persino per pensare senza imposizioni, il loro stile di vita è quello di continuare a soddisfare paesi che li trattano come immigrati, indipendentemente dalla residenza o cittadinanza che possano ottenere.
Il capitalismo è razzista e classista. E in ogni momento, chi non è nato nelle sue terre occidentali e imperiali può essere scartato e sarà guardato con disprezzo.
Mentre ti colonizzano ideologicamente e culturalmente e consumi il suo stile di vita, non scrivi, non leggi, non pensi. Parli solo e ripeti.
L’individuo libero agisce senza aspettare la gratificazione di un padrone, perché sa di non averne, sapendo che la causa superiore che difendiamo, potente, ci rende tutti liberi.
E sapendo che non abbiamo bisogno di applausi, perché la maggior parte delle volte quando ti applaudono non è perché stai facendo qualcosa di giusto, bensì perché è conveniente per chi applaude. Per chi ci conviene essere applauditi o ovazionati? Per una pattuglia di volgari la cui aspirazione è avere la libertà di scegliere tra McDonald’s o Burger King?
No, grazie. Noi lavoriamo senza ascoltare le grida degli altri, perché solo dal lavoro e dalla costanza nasce il senso della vita.
Coloro che scelgono il percorso opposto a quello del padrone imperialista sono spesso indicati e respinti dalla società, ma ciò non dice nulla del ribelle, bensì della società.
Cosa si vede nella società del cosiddetto primo mondo? Uomini con il desiderio di possedere. Ma i grandi uomini non hanno mai avuto questa morale da schiavi. L’ambizione materiale denota necessariamente una volgarità e sterilità mentale.
Il capitalismo, l’imperialismo, il fascismo e le loro varie forme oggi lottano per mantenere una supposta pace basata sull’incapacità di pensiero costruttivo e creativo, per perpetuare la volgarità delle concezioni in società che si arrendono al potere stabilito.
Ora, alle masse volgarizzate interessa il successo, la novità materiale e il non complicarsi nel pensare cosa è sbagliato e quali principi governano la vita. Per la dittatura della volgarità è facile controllare i suoi sudditi con una normalizzazione delle idee per bloccare qualsiasi progresso sociale che possa metterla in discussione.
Si avvalgono di mezzi di comunicazione altrettanto volgari, in puro stile pettegoli da villaggio in un cortile del secolo scorso. A volte non ci rendiamo conto che questo nuovo mondo affonda i geni e fa scomparire l’originalità.
Noi rivoluzionari dobbiamo generare dal nulla e costruire noi stessi, così come riflettere su noi stessi. Sappiamo che la Rivoluzione va raccontata da ogni luogo, con i principi che la fondano. La fedeltà non è solo nella parola e nel pensiero, bensì nell’atteggiamento verso la vita.
Non abbiamo bisogno di opinioni meramente esterne quando abbiamo convinzione profonda. Solo gli schiavi moralmente, gli insicuri e i deboli cercano negli altri la forza che manca loro.
La volgarità va affrontata ogni giorno
Innovando, cambiando ciò che è necessario. Il modo migliore per non risolvere nulla è parlare senza sosta. Vale più l’azione di una persona che la discussione di quaranta senza agire.
L’uomo volgare cerca di seppellire il rivoluzionario e far sparire la sua genialità. È schiavo dell’effimero e vive per premi, ricompense e gratificazioni.
Vivere senza pensare a questi ultimi e al di fuori di essi assicura che l’opera valga di per sé, senza interferenze, senza che nessuno abbia la tentazione di avvicinarsi a essa per l’etichetta del riconoscimento o per l’anno in cui è stata conferita.
Perché tanta mediocrità in questo periodo? Perché scarseggiano uomini e donne capaci di sentire di poter creare grandi opere, nuove visioni del mondo; perché abbiamo bisogno di donne e uomini che estirpino l’indifferenza e ci restituiscano la speranza. A loro, ma anche a noi. Non per nulla, bensì perché non possiamo mai smettere di averla.
Perché, così come Marx attese Lenin affinché per la prima volta fossero messi in pratica alcuni dei suoi pensieri, o genialità come Beethoven, Copernico o Galileo non videro i frutti della loro opera e pensiero in vita, noi sappiamo che i risultati quasi mai sono immediati. Forse non li vedremo come vorremmo. Ma per questo non dobbiamo smettere di pensare, fare e, infine, dire.
Solo così continueremo a essere liberi e a lottare contro la volgarità di chi ci avversa. Umilmente, lo credo.
La dictadura de la vulgaridad
Por: Ana Hurtado
Ellos se han tomado la potestad de oficializar los conceptos. Dicen al mundo qué es dictatorial, qué está bien y qué está mal. Al estilo Göebbels, de tanto repetirlo por diferentes canales, la gente lo asimila sin detenerse al planteamiento de: ¿Y por qué así?
Ya desde la Guerra Fría, el país que quiso hacerle creer al mundo que había derrotado al fascismo, – no siendo así-, empezó a imponer una dictadura invisible aunque a veces no tanto, sobre qué pensar, qué hacer, cómo razonar, qué consumir y a fin de cuentas: cómo ser.
Y aquel que no quiera obedecer a la imposición, es satanizado y lo más bello que hacen con él es llamarle terrorista o patrocinador de ello.
Lo que efectúa este imperio con el mundo es sin más una muestra de neofascismo. Un fascismo que muta con los años y se va adaptando a las sociedades y al contexto para perpetuarse junto al capitalismo que le hace el juego y se usan mutuamente. Junto a la mediocridad.
Con el plan Cóndor gestaron un laboratorio en países de Latinoamérica. Formaron gobiernos títeres con unas fuerzas armadas especializadas en la represión del pueblo y en el mantenimiento del poder del ejecutivo, pero totalmente inútiles en materia de defensa. No preparadas por ejemplo para invasiones militares, pero si lo pensamos un poco, ¿quién podría invadir militarmente sino los Estados Unidos? Y en caso de que así fuera, unas fuerzas armadas débiles en este aspecto siempre les convendrían.
Jamás darán una puntada sin hilo. El fascismo es enemigo de los pueblos, de la gente. No de los gobiernos.
Intentan perpetrar planes en otros países para que si resultan, puedan expandirlos a otras latitudes. Es Venezuela en palabras de Diosdado Cabello un ejemplo de ello. Lo que intentan hacer con ella, los planes de subversión que alientan, la maquinaria sucia contra su gobierno, no es ni más ni menos que una continuación de la “escuela de las Américas”, queriendo que el pueblo se asesine y se mate entre él. Así lo enseñaron y así siguen queriendo que sea.
Antes no le llamábamos fascismo pero ¿acaso no lo es? Nos ha tocado una época en la que nos han enseñado cómo era el fascismo pero no la capacidad para ver lo que es ahora. O lo identificamos a tiempo en cada manifestación, o acabará siendo demasiado tarde en muchos de los casos.
Debemos estar preparados para el contexto actual. No se resuelve un problema ahora con la misma metodología que hace cincuenta años. Los tiempos cambian y así es. Son algunos desdichados que incluso en nombre de la Revolución han llegado a acusarnos de “perestroikos” a aquellos que insistimos en que el tiempo cambia, que no es ni más ni menos el famoso “sentido del momento histórico” del concepto de Revolución de Fidel.
Cuando decimos que los tiempos cambian es para abordarlos en la manera revolucionaria que corresponde ahora, para hacer que este sistema cultural y social siga estando en la avanzada y no se quede anquilosado en el tiempo.
Pero nosotros no nos quedamos en las voces de aquellos que sin capacidad para hacer y transformar nada, critican a los que intentan que el hombre y la mujer nueva sigan estando preparados para lo que venga.
Nosotros queremos alentar a pensar y a pensarnos. Queremos no ser dogmáticos y beber de las fuentes que puedan enriquecernos. Sabemos que para que las revoluciones se mantengan necesitan que sepamos interpretar los deseos y los intereses del pueblo mediante, entre otras vías, la del diálogo permanente.
No hay manera de que tengamos sentido de pertenencia sin sentir que importamos, que nuestros problemas son tenidos en cuenta.
Los pueblos, muy a pesar de los Estados Unidos, no son ratones de laboratorio. Muy a pesar también de los que dicen que son revolucionarios pero que viven en 1960 y no saben lo que es el contexto histórico, los pueblos son heterogéneos. Y por lo tanto deben ser conducidos y guiados.
En la cátedra sobre la Revolución Cubana que estoy cursando en el Instituto de Historia de Cuba, aprendí algo: La sociedad debe verse reflejada en los líderes. Y tanto Fidel sabía como Díaz Canel sabe que se tiene que abrir espacio a todos los que no sean enemigos de la Revolución. No sólo a los revolucionarios. Hay que conquistar almas, hay que leer y ver para luego poder creer.
Pero todas estas tareas se dificultan porque no es fácil ser un soplo de viento sano, en un mundo bajo un régimen dictatorial.
El planeta vive una dictadura, no quizás como las que nos han enseñado que existen, pero sí en un sistema donde nos han quitado la capacidad de discernir. Hay muchas formas de dictaduras, al igual que hay muchas modos de democracia. Como está fuera de contexto sacar los tanques a la calle e invadir países (aunque si tienen que hacerlo lo hacen), recurren a otros instrumentos, como la persuasión de mentes y la colonización cultural que despoja a los hombres y mujeres de su vínculo de pertenencia e identidad.
Y todo se torna vulgar y decadente. Porque la gente cree que está viva, pero tienen el corazón y el sentido muertos, aunque la ciencia certifique lo contrario.
Es la dictadura de la vulgaridad. Aquella que entra en los hogares y en las familias para que sus miembros dejen de amar, para que los artistas dejen de crear, para que todos dejemos de creer y solo sigamos el patrón que nos ponen delante. La vulgaridad que es enemiga de la libertad, de la autonomía y del deseo de hacer.
Solo pide libertad el que no es libre. Una pandilla de gente esclava de un sistema capitalista que los usa, pide libertad para Cuba, que saben que es libre. Pero la libertad no es gratis. Lleva sacrificio, sufrimiento, lleva resistencia. Lleva pasión.
Y los vulgares no es que no estén dispuestos, es que no pueden. Dentro de su falta de libertad, hasta para pensar sin imposición, su forma de vida es la de continuar satisfaciendo a países que los tratan como inmigrantes, por mucha residencia o nacionalidad que puedan obtener.
EL capitalismo es racista y clasista. Y a la hora que sea, el que no nació en sus tierras occidentales e imperiales, puede ser desechado y será también mirado con desprecio.
Mientras te están colonizando ideológica y culturalmente y consumes su estilo de vida, ni escribes, ni lees, ni piensas. Solo hablas y repites.
El individuo libre hace sin esperar felicitación de un amo, porque sabe que no lo tiene, que la causa mayor que defendemos, poderosa, nos hace a todos libres.
Y sabiendo que no necesitamos aplausos, porque la mayoría de las veces cuando te aplauden no es porque estés haciendo algo bien, sino porque le conviene al que aplaude. ¿Por quién nos conviene ser aplaudidos u ovacionados? ¿Por una patrulla de vulgares cuya aspiración es tener la libertad de elegir entre McDonalds o Burger King?
No, gracias. Nosotros trabajamos sin escuchar los gritos de los demás, porque solo del trabajo y la constancia nace el sentido de la vida.
Los que eligen el camino contrario al del amo imperialista, suelen ser señalados y rechazados por la sociedad, pero esto no dice nada del rebelde, sino de la sociedad.
¿Qué se ve en la sociedad del llamado primer mundo? Hombres con ansias por poseer. Pero los grandes hombres nunca han tenido esta moral de esclavos. La ambición material denota obligatoriamente una vulgaridad e infertilidad mental.
El capitalismo, el imperialismo, el fascismo y sus diversas modalidades hoy, mueren por mantener una supuesta paz basada en incapacidad de pensamiento constructivo y creativo, para perpetuar la vulgaridad de concepciones en sociedades que se rinden al poder establecido.
Ahora, a las masas vulgarizadas les interesa el éxito, la novedad material y el no complicarse en pensar qué está mal y qué principios rigen la vida. Para la dictadura de lo vulgar es fácil controlar a sus súbditos con una normalización de ideas para detener cualquier progreso social que pueda cuestionarla.
Se valen de medios de comunicación también vulgares al más puro estilo viejas de pueblo en un corral el siglo pasado. A veces no nos damos cuenta de que este nuevo mundo hunde a los genios y hacen que desaparezca la originalidad.
Nosotros los revolucionarios debemos generar desde cero y hacernos a nosotros mismos, como a pensarnos también. Sabemos que la Revolución hay que contarla por cualquier sitio, con los principios que la fundan. La fidelidad no está solo en la palabra y el pensamiento sino en la actitud ante la vida.
No necesitamos opiniones meramente ajenas cuando tenemos convicción profunda. Sólo los esclavos moralmente, los inseguros y débiles buscan en la fuerza de los demás la que a ellos mismos les falta.
Para plantarle cara a lo vulgar, debe ser cada día.
Innovando, cambiando lo que sea necesario. Lo mejor para no resolver nada es hablar sin parar. Vale más la actuación de una persona que la discusión de cuarenta sin accionar.
El hombre vulgar pretende enterrar al revolucionario y que su genialidad desaparezca. Es esclavo de lo pasajero y vive por premios, recompensas y felicitaciones.
Vivir sin pensar en estos últimos y al margen de los mismos asegura que la obra valga por si misma, sin interferencias, sin que nadie tenga la tentación de acercarse a ella por la etiqueta del reconocimiento o el año en que se concedió.
¿Por qué tanta mediocridad en este período? Porque escasean los hombres y mujeres capaces de sentir que pueden crear obras grandes, nuevas miradas del mundo; porque necesitamos mujeres y hombres que arranquen la desidia y nos devuelvan la esperanza. A ellos pero también a nosotros. No por nada, sino porque nunca podemos dejar de tenerla.
Porque al igual que Marx esperó a Lenin para que por primera vez se practicaran algunos de sus pensamientos, o genialidades como Beethoven, Copérnico o Galileo no vieron los frutos de su obra y pensamiento en vida, nosotros sabemos que los resultados casi nunca son inmediatos. Quizás ni los lleguemos a ver como nos gustaría. Pero no por ello debemos dejar de pensar, hacer y en último lugar decir.
Solo así seguiremos siendo libres y luchando contra la vulgaridad de los que nos adversan. Humildemente, lo creo.