Gli ultimi giorni del Che

Il 1° settembre 1967, il Che arrivò a casa di Honorato Rojas, l’uomo che aveva venduto il comandante Vilo Acuña e il suo distaccamento; il guerrigliero era all’oscuro di quanto era accaduto il 31 del mese precedente. Solo il 2 avrebbe appreso la spiacevole notizia trasmessa dalla stazione radio “Voz de las Américas”. Il 17 aprile la retroguardia guidata da Joaquín (nella guerriglia) si era separata dal gruppo principale.

Per più di quattro mesi cercarono di riunirsi, senza riuscirci. Il contingente di Vilo fu condotto in un’imboscata tesa dall’esercito boliviano sul Rio Grande, in una località nota come Vado de Puerto Mauricio, l’ultimo giorno di agosto. Quando tutti entrarono nel fiume, iniziò la sparatoria che si concluse con il massacro della truppa guerrigliera; anche Tamara Bunke Bider (Tania), che si era unita al gruppo, fu uccisa.

Il Che decise di continuare la marcia estenuante verso Valle Grande nel tentativo di uscire dall’accerchiamento del nemico, strisciando come un esercito di ombre doloranti. La notizia della morte dei compagni che avevano combattuto tante battaglie lo fece sprofondare nella più profonda tristezza e desolazione. Solo ventidue compagni erano ancora vivi in quel momento nel movimento di guerriglia. Il Che soffriva di un terribile esaurimento fisico aggravato da attacchi d’asma. Quando arrivavano, i suoi compagni cercavano di alleviarli massaggiandogli il petto e la schiena, e altre volte chiedeva di salire su un albero per rilassare i polmoni esausti. Anche con tutte queste sofferenze fisiche e spirituali rimase saldo fino alla fine.

Il 21 settembre raggiunsero il villaggio di Alto Seco, a 1900 metri di altitudine. Il corregidor del villaggio corse ad avvisare i soldati della presenza dei guerriglieri in questo luogo. Erano così esausti che dormirono nel campo senza curarsi che i vicini li vedessero. I loro piedi, coperti da semplici sandali, erano lacerati dalle spine, il resto dei loro corpi subiva la stessa sorte. Era una vera Via Crucis! Solo il rispetto e la fedeltà che i suoi uomini avevano per lui li fece andare avanti. Nelle prime ore del mattino tra il 7 e l’8 ottobre, furono avvistati dal contadino Pedro Peña che, senza esitare, corse a informare Aníbal Quiroga, il corregidor di La Higuera, che passò l’informazione al sottotenente di La Higuera. Quest’ultimo passò l’informazione al sottotenente Carlos Pérez, che a sua volta avvertì il capitano Gary Prado, di stanza a tre chilometri di distanza ad Abra del Picacho. Il capitano Prado si mosse rapidamente con quaranta ranger e organizzò un dispositivo militare per avanzare contemporaneamente lungo entrambi i burroni che convergono nella valle e sfociano nel Río Grande. Il Che si rese conto che si trovava di fronte alla sua ultima resistenza, senza alcuna possibilità di uscirne vivo. E come il generale romano Giulio Cesare, quando attraversò il Rubicone, si ricordò della famosa frase “Alea jacta est”, “Il dado è tratto” e decise di combattere fino alla fine.

Distribuì i suoi uomini in due e inviò tre pattuglie di esplorazione per individuare il luogo più adatto per sfuggire alla trappola che la Quebrada del Churo o Yuro era diventata. Pensava di poter aspettare la notte per raggiungere il loro obiettivo. Le pattuglie rilevarono che l’intera zona era piena di soldati. Il Che diede l’ordine di non sparare per primi, in modo da non far scoprire le loro posizioni. Ma il combattimento impari iniziò nelle ore di mezzogiorno. Il Comandante Guevara fu ferito nella parte inferiore della gamba destra, un proiettile spaccò la canna del suo fucile e un altro gli attraversò il berretto. Accompagnato da Simón Cuba (Willy), avanzò lungo una parete rocciosa, due soldati li aspettavano in cima, puntando i loro fucili contro di loro.

Gli ultimi momenti degli eroi sono sempre tragici, il mondo sembra fermarsi nell’attesa!

Quanto dolore avrebbe provato quando si sarebbe reso conto che il suo sogno bolivariano di liberare l’America Latina da avvoltoi peggiori dei conquistadores spagnoli stava per finire! Quanti pensieri gli sarebbero passati per la testa mentre aspettava la morte certa che aveva così spesso deriso!

Gary Prado trasmise rapidamente un messaggio a Pucará da inviare al comandante di Vallegrande per informarlo della cattura del Che e di Willy, leggermente feriti. Furono portati nel piccolo villaggio di La Higuera, a circa due chilometri di distanza. Il Che zoppicava, con le braccia appoggiate sulle spalle di due soldati, e furono rinchiusi nelle aule della piccola e povera scuola di adobe, insieme ai cadaveri di due guerriglieri cubani, Orlando Pantoja Tamayo (Olo) e René Martínez Tamayo (Arturo), suoi fedeli compagni della Colonna 4 della Sierra Maestra e dell’Invasora 8 di Las Villas.

Che immenso dolore sarebbe stato per lui condividere quella notte luttuosa con i suoi fratelli caduti!

Lunedì 9 ottobre i militari di Vallegrande attendono che a La Paz si decida la sorte del Che. Il capo dell’8ª Divisione, il colonnello Zenteno, arriva in mattinata in compagnia del controrivoluzionario cubano Felix Rodriguez (Ramos), agente della CIA, che cerca di interrogarlo. Guevara rispose bruscamente: “Non ho parlato con i traditori” e gli sputò in faccia. Era una risposta virile e, anche nelle condizioni in cui si trovava, non smise di essere quello che era.

Alle undici del mattino arrivò il triste ordine: “niente prigionieri”, Guevara e Simón Cuba dovevano essere giustiziati. Félix Rodríguez cercò invano di farsi consegnare vivo per essere portato a Panama dove sarebbe stato interrogato dai servizi segreti della CIA. Ma il governo boliviano fu irremovibile: il Che era troppo pericoloso anche da prigioniero!

Per portare a termine la macabra missione chiesero dei volontari e si presentarono due individui, il sergente Bernardino Huanca che avrebbe avuto la missione di giustiziare Willy e il Warrant Officer First Class Mario Terán Ortuño che sarebbe stato il boia assegnato al Comandante Guevara.

Gli ultimi minuti di vita del Che, secondo la testimonianza del suo assassino: “Non ho osato sparare. In quel momento vidi il Che grande, molto grande, enorme, i suoi occhi brillavano. Sentivo che era sopra di me e quando mi fissava mi sentivo stordito. Il Che mi disse: “Stai calmo. Prendi bene la mira. Stai per uccidere un uomo”, ha continuato Terán, ”ho fatto un passo indietro, verso l’ingresso. Ho chiuso gli occhi e ho sparato il primo colpo. Il Che, con le gambe in frantumi, cadde a terra. Si contorceva e cominciava a sprizzare molto sangue. Ripresi coraggio e sparai il secondo colpo, che lo ferì al braccio, alla spalla e al cuore.

Verso le tre del pomeriggio il Che fu colpito a morte da una raffica di mitra M-2; il suo corpo fu colpito da nove proiettili, nessuno in faccia. In seguito avrebbero rivelato che era caduto in combattimento, non ferocemente assassinato mentre era prigioniero di guerra, violando così le disposizioni del diritto internazionale umanitario [4]. Si potrebbe parafrasare ciò che disse Fidel quando seppe dell’assassinio di Frank País Che mostri!

Verso le quattro del pomeriggio, il suo corpo fu legato al carrello di un elicottero che lo portò a Vallegrande, prima che il sacerdote di Pucará, Roger Schaller, lo benedicesse e gli chiudesse gli occhi. È stato trasferito all’ospedale Señor de Malta o San Juan de Dios. I suoi occhi erano di nuovo aperti come se volesse abbracciare nella sua ultima ora tutta la miseria e la povertà che lo circondava. Il suo volto sereno mostrava un mezzo sorriso, come se si prendesse gioco della viltà dei suoi assassini e delle marionette militari che governavano la Bolivia in quel periodo.

Lo depositarono nel lavatoio di cemento dell’ospedale. Le mani caritatevoli di due suore tedesche lavarono il suo corpo insanguinato e districarono i suoi capelli arruffati. Un medico iniettò della formalina nell’arteria aortica per rallentare la decomposizione del cadavere. Solo allora è stato consentito l’accesso a giornalisti e cameraman. Poi lasciarono sfilare gli abitanti del villaggio, che in soggezione e silenzio non osarono toccarlo. Iniziò così per quegli umili abitanti del villaggio la trasformazione del guerrigliero Che in San Ernesto de La Higuera, che lo videro come un nuovo redentore, come un Cristo, l’uomo che ha dato la vita per la libertà dei poveri della Terra. Tanto era impressionante il suo aspetto!

Poi il suo cadavere e quello dei suoi compagni furono fatti sparire, ma non prima che le mani del Che fossero mutilate. La Rivoluzione cubana, in primis il Comandante in capo Fidel Castro, non smise di impegnarsi per ritrovare i suoi resti e onorarlo come tutti i cubani desideravano. Finalmente, nel 1995, il generale Mario Vargas Salinas rivelò la posizione approssimativa del luogo di sepoltura segreto dei guerriglieri, vicino alla pista dell’aeroporto di Vallegrande.

Il 12 luglio 1997, i resti del Che e dei suoi compagni furono trasferiti a Cuba, cosa che Fidel considerò come il ritorno di un “distaccamento di rinforzo”. Il 17 ottobre dello stesso anno furono trasferite nel mausoleo eretto nella città di Santa Clara, nelle cui strade combatté la sua ultima battaglia a Cuba, dove il popolo gli rende il tributo che un uomo così glorioso merita, realizzando ciò che aveva chiesto nel suo poema “Canto a Fidel”:

E se il ferro ci ostacola,
chiediamo un sudario di lacrime cubane
per ricoprire le ossa dei guerriglieri
nel passaggio alla storia americana.

A Cuba il Che raggiunse il vertice del suo pensiero politico e della sua pratica rivoluzionaria, completò la sua visione del mondo e sviluppò la sua padronanza politica e militare. Qui salì al gradino più alto della specie umana, come lui stesso lo definì. Raggiungere lo status di rivoluzionario.

Il Che non ha solo sconfitto i suoi nemici, ha sconfitto la morte. È caduto per immortalarsi, diventando un simbolo per i giovani eroici che ovunque nel mondo lottano contro l’ingiustizia e per la libertà. Il suo esempio ci ispira ad andare avanti senza rinunciare ai nostri principi. Il Che vive e vivrà per sempre, e come scrisse Jean Paul Sartre: “Che Guevara è uno dei grandi miti di questo secolo; la sua vita è la storia dell’uomo più perfetto del nostro tempo”.

¡Hasta la victoria siempre, comandante Che Guevara!

Bibliografía consultada:

Libros:

  1. Diario del Che en Bolivia. Editorial Siglo XXI. Argentina, 1967
  1. Pombo, un hombre de la guerrilla del Che. Editora Política, La Habana 1996
  1. Béquer Céspedes, Adelaida: Iconografía del comandante Ernesto Guevara de la Serna

Publicaciones seriadas:

  • Revista Bohemia del 1º de mayo de 1960, página 58

Otras publicaciones:

  1. Derecho Internacional Humanitario y las Convenciones de Ginebra

Otros documentos:

  1. Documentos del Fondo Ernesto Guevara. Archivo Oficina de Asuntos Históricos de la Presidencia de la República

CF ®  MSC. Adelaida Béquer Céspedes, Investigadora Auxiliar Oficina de Asuntos Históricos de la Presidencia de la República, 14 de junio 2022.

[1] La albarca o abarca es un tipo de calzado rústico elaborado en cuero crudo, que cubre solamente la planta de los pies, y se asegura con cuerdas o correas sobre el empeine y el tobillo.[

[2] César  desafió las órdenes del senado romano  y cruzó el Rubicón, donde al parecer pronunció la inmortal frase “Alea iacta est” (la suerte está echada) iniciando así un conflicto conocido como la Segunda Guerra Civil de la República de Roma

[3] Confesión de Mario Terán Ortuño. Documento inédito. Archivo de la Oficina de Asuntos Históricos de la Presidencia de la República

[4] El Derecho Internacional Humanitario se encuentra esencialmente contenido en los cuatro Convenios de Ginebra de 1949, de los que son parte casi todos los Estados. Establece, en particular, que está prohibido matar o herir a un adversario que haya depuesto las armas o que esté fuera de combate. Los heridos y los enfermos serán recogidos y asistidos por la parte beligerante en cuyo poder estén.

Fonte: CUBADEBATE

Traduzione: italiacuba.it


Cuba commemora la caduta del Comandante Che Guevara

 

In ogni angolo di Cuba, il popolo evoca e rende omaggio a Ernesto Guevara de la Serna oggi, nel 57° anniversario della sua cattura e del successivo assassinio in Bolivia.

Per i cubani, l’uomo conosciuto in tutto il mondo come “Che” Guevara ha lasciato in eredità un ideale di giustizia e l’esempio di lotta per il benessere di tutti, che segna gli sforzi della nazione antillana per promuovere la crescita integrale.

Considerano inoltre il suo pensiero politico antimperialista, all’interno di una concezione marxista, come uno dei fili conduttori del confronto e della resistenza della Rivoluzione cubana all’ostilità perpetrata dai governi statunitensi per più di sei decenni.

L’impronta di Che Guevara su Cuba è iniziata con l’incontro con il leader della Rivoluzione cubana, Fidel Castro, con l’amicizia con Camilo Cienfuegos e con il suo ruolo di guida nel movimento armato per il trionfo dei Barbudos.

Si cementò con l’accettazione dei suoi valori, del suo lavoro e della sua ideologia dopo il 1° gennaio 1959, soprattutto come Ministro dell’Industria e Presidente della Banca Nazionale di Cuba, e con la sua guida delle delegazioni nei forum internazionali.

E si è diffuso oltreoceano, fino a diventare un paradigma mondiale, attraverso la sua partecipazione a movimenti in altre nazioni, dove i rivoluzionari hanno copiato il suo spirito internazionalista.

Essendo diventato un paradigma per Cuba e per il mondo, ogni anno gli viene reso omaggio qui e in altre nazioni.

L’8 ottobre 1967, Che Guevara cadde nelle mani dell’esercito boliviano, colpito da un proiettile alla gamba e con l’arma disattivata, prima di essere ucciso per ordine della Central Intelligence Agency e del governo statunitense.

In questo modo, e con la sepoltura segreta dei suoi resti, hanno cercato di seppellire il suo esempio.

I suoi resti furono ritrovati e restituiti a Cuba 30 anni dopo e riposano insieme a quelli di altri guerriglieri in un monumento commemorativo a Santa Clara, una città nel centro del Paese.

Questo martedì inizia la Giornata di Camilo-Che, che si conclude il 28 ottobre, quando si commemora la scomparsa fisica in un incidente aereo nel 1959 del comandante Camilo Cienfuegos, un amico intimo di Ernesto Guevara.

Fonte: CubaSi

Traduzione: italiacuba.it


L’immortalità

Pensavano d’aver ucciso Ernesto a La Higuera, in Bolivia. Ma i suoi assassini non sapevano che le pallottole possono solo lasciare inerte la carne, la stessa che poi la terra divora. Quel giorno assassinarono un uomo e nacque un simbolo: il Che.

L’immortalità per molti radica nell’eterna esistenza di un corpo di carne, ma incorruttibile.

Senza dubbio un’altra forma di perpetuità umana nel piano dell’incorporeo: un uomo può durare tanto come le sue stesse idee. In questo senso le persone comuni sono appena ricordate, nel migliore dei casi, per tre generazioni. Poi il loro passaggio per questo mondo svanisce e giunge l’altra morte: la dimenticanza.

Pensavano d’aver ucciso Ernesto a La Higuera, in Bolivia.

Ma i suoi assassini non sapevano che le pallottole possono solo lasciare inerte la carne, la stessa che poi la terra divora. Quel giorno  assassinarono un uomo e nacque un simbolo: il Che.

Il Guerrigliero tornava moltiplicato, smetteva d’essere nostro per conquistare il mondo con lo stesso sguardo profondo dell’iconica fotografia di Korda, uno sguardo commosso tra il dolore e  l’ingiustizia, mentre si svolgeva il commiato del lutto per le vittime del sabotaggio perpetrato dalla CIA alla nave francese

La Coubre. Già da allora Guevara militava nel bando delle cause giuste.

Aveva accarezzato l’America Latina nel suo viaggio in motocicletta e dopo aver posto un piede nello yacht Granma la sua vita cambiò per sempre. A colpi di coraggio si aperse uno spazio nella storia patria.

Al disopra dei limiti che gli imponeva l’asma, divenne un rivoluzionario completo, di quelli che non conoscono la paura, facendo di Santa Clara una città libera e aiutò anche considerevolmente a conseguire la bramata libertà del paese che lo nominò suo figlio.

Per questo si mantiene vigilante, dal luogo in cui riposano i suoi resti, giusto al centro di Cuba, come un faro che illumina l’Isola dei Caraibi e che irradia il mondo. E la città ogni giorno si sveglia per vederlo, come avvenne in quell’ottobre del 1997, quando centinaia di villaclaregni portarono tra le mani un fiore per il Che.

Sua figlia, Aleida Guevara March, aveva espresso alcuni mesi prima che «i suoi resti e quelli dei suoi compagni sono tornati a Cuba, trasformati in eroi eternamente giovani, valorosi, forti e audaci.

Niente ci può togliere questo e saranno sempre vivi assieme ai loro figli, nel popolo».

Proprio tra quel popolo, quel 17 ottobre, nella fila immensa di persone che gli resero omaggio in Santa Clara, c’era una bambina con suo padre. Nelle sue piccole mani portava una rosa che pose in omaggio al combattente che tornava a casa.

Quelle stesse mani oggi scrivono del Che.

Che stupidi quelli che cercarono d’ucciderlo! Ferirono la sua carne, ma in quell’istante nacque l’eroe con la sua stella redentrice sulla fonte, baciato dall’immortalità.


Un gigante morale la cui forza e influenza si sono moltiplicate in tutto il Pianeta

Il corpo di Ernesto Che Guevara fu colpito dalle pallottole di un sottufficiale boliviano, 57 anni fa, su ordine della Central Intelligence Agency (CIA) statunitense, dopo essere stato ferito in combattimento e catturato nella Quebrada del Yuro, dopo che tutte le sue cartucce erano terminate.

Fu portato in una piccola scuola nel villaggio montano boliviano di La Higuera, da dove la sua eredità continua a diffondere il suo messaggio antimperialista in tutto il mondo.

Ogni 8 ottobre, giorno della cattura del mitico comandante guerrigliero nel 1967, persone da tutto il mondo si recano a La Higuera per rendere omaggio spontaneo all’uomo che ha incarnato, come nessun altro, l’archetipo dell’uomo nuovo.

Ad ogni anniversario della nascita o della morte del Che, come è universalmente noto, le sue idee e quell’esempio e quel coraggio senza limiti acquistano rinnovato slancio, che gli fece vincere l’asma fin da bambino, viaggiando attraverso i paesi del Sud America per conoscerli “dall’interno” , opponendosi al colpo di stato contro il presidente Jacobo Árbenz, in Guatemala, patrocinato dalla CIA, e arruolandosi in Messico nella spedizione che Fidel stava preparando per liberare Cuba da una sanguinosa tirannia, preludio delle sue successive imprese nell’esercito ribelle.

È nota la sua enorme statura come politico, statista, diplomatico e ancora come guerrigliero in Congo e in Bolivia.

Grande è il coraggio dell’uomo che, su una sedia di legno, nella piccola scuola di La Higuera, incapace di muoversi a causa delle ferite, è stato in grado di ordinare al suo tormentato assassino: “Stai venendo ad uccidermi, stai calmo e prendi bene la mira. Stai per uccidere un uomo!”.

La personalità del Che era sfaccettata. Oltre al coraggio e all’innato talento strategico come militare, era un profondo analista di questioni politiche e filosofiche, radicato nella sua concezione che, affinché un Paese possa svilupparsi, la prima cosa che deve avere è la piena indipendenza e sovranità, per poi consolidare la propria identità culturale.

Lo dimostrò dopo il difficile sbarco dallo yacht Granma, quando dovette dolorosamente abbandonare la borsa da medico per portare con sé una scatola di munizioni e un fucile per diventare per sempre un combattente. Il Che era un medico che diventava un soldato senza smettere di essere un medico per un solo minuto.

Già il 7 ottobre 1959, a pochi mesi dal trionfo rivoluzionario, il Che elaborò queste idee, affermando in una conferenza che “il compito delle potenze coloniali in tutto il mondo è sempre stato quello di soffocare la cultura indigena della nazione; di distruggere le credenze di un popolo e di inculcargli la cultura del suo paese d’origine, i suoi costumi… Si possono sempre vedere i tentativi delle potenze coloniali di trasformare tutto, di adattare tutto al loro tipo mentale, alle loro forme di vita e di organizzazione”.

Cercare di riassumere le sfaccettature della sua vita dicendo che fu uno stratega militare, un medico, un politico dal profondo senso umanista, un ideologo che promosse la formazione dell’uomo nuovo, un economista, un acuto analista, un giornalista e fondatore dell’agenzia di stampa latinoamericana Prensa Latina, uno scrittore e un diplomatico, sarebbe come schematizzare tutta la sua vita di rivoluzionario.

Ma ometterli significherebbe non cogliere la realtà di chi, nella sua breve vita di 39 anni, è stato comandante della guerriglia a Cuba, ha portato la Rivoluzione al centro dell’isola, affrontando un esercito di oltre 20.000 uomini, presidente della Banca Centrale di Cuba, Ministro dell’Industria, diplomatico in importanti missioni alle Nazioni Unite, all’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) a Punta del Este, in Uruguay, e in quelle che hanno portato alla firma di accordi commerciali e militari con l’Unione Sovietica.

Ma il Che non dimenticò mai l’impegno preso con il leader della Rivoluzione cubana quando si unì al gruppo in Messico: una volta trionfata la lotta sull’isola, non avrebbe posto ostacoli per continuare i suoi sforzi di liberazione di altri Paesi. Pensava sempre alla sua patria, l’Argentina, dove il collega giornalista argentino Jorge Ricardo

Masetti, nel 1964, creò un centro di guerriglia a Salta, come Comandante in seconda, perché il Comandante in prima sarebbe stato il Che, cosa che non sarebbe mai avvenuta.

“HASTA LA VICTORIA SIEMPRE”

All’inizio del 1965, Guevara de la Serna scrisse una lettera d’addio a Fidel – che quest’ultimo lesse in occasione della costituzione del primo Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba – rinunciando a tutti i suoi incarichi, rinunciando alla nazionalità cubana che gli era stata concessa nel 1959 e annunciando la sua partenza per “nuovi campi di battaglia”. Concludeva la lettera con la frase Hasta la victoria siempre (Fino alla vittoria, sempre), che da allora è diventata una convinzione del popolo cubano.

Dopo una fallimentare esperienza africana nella lotta per la liberazione del Congo, il Che decise di concentrare i suoi sforzi sull’America Latina.

Considerava la Bolivia il Paese con il maggior sviluppo della coscienza popolare, soprattutto del movimento minerario, che si trovava nel cuore del Sudamerica, al confine con Argentina, Cile, Perù, Brasile e Paraguay.

Il 3 novembre 1966, il Comandante Guevara de la Serna arrivò in Bolivia sotto la falsa identità di Adolfo Mena González e con un passaporto uruguaiano e il 7 dello stesso mese iniziò il suo Diario della Bolivia, stabilendosi in una zona montuosa della giungla vicino al fiume Ñancahuazú, dove la Cordigliera delle Ande incontra la regione del Gran Chaco.

È nota in tutto il mondo la storia eroica del nascente Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) boliviano, composto da 47 guerriglieri (16 internazionali cubani, 26 boliviani, tre peruviani e due argentini), di cui Tania (Tamara Bunke) era l’unica donna.

Tania combatté numerose battaglie durante gli 11 mesi di guerra, contro un esercito addestrato e armato da consiglieri yankee.

È noto in tutto il mondo anche il duro lavoro di un’équipe di scienziati cubani che, dal 1995, per rispettare l’impegno preso con il Comandante in Capo Fidel Castro Ruz di non abbandonare mai un combattente, ha portato a Cuba i resti mortali del Che e del suo distaccamento di guerriglieri.

In due anni furono ritrovati alcuni dei guerriglieri, ma i resti del Che non furono trovati.

Il 28 giugno 1997, in seguito alle rivelazioni di un generale boliviano in pensione, furono ritrovati a Vallegrande, dopo 30 anni, sette corpi sepolti clandestinamente in una fossa comune e identificati, con il supporto dell’équipe di antropologia forense argentina, quelli di Ernesto Guevara e di sei dei suoi uomini.

Il 17 ottobre 1997, quando depose i resti dell’Eroico Guerrigliero a Cuba nel Mausoleo che porta il suo nome a Santa Clara, Fidel disse: “Non siamo venuti a dare l’addio al Che e ai suoi eroici compagni. Siamo venuti per riceverli. Vedo il Che e i suoi uomini come un rinforzo, come un distaccamento di combattenti invincibili, che questa volta non include solo i cubani, ma anche latinoamericani che vengono a combattere al nostro fianco e a scrivere nuove pagine di storia e di gloria. Vedo anche il Che come un gigante morale che cresce ogni giorno, la cui immagine, forza e influenza si sono moltiplicate in tutto il mondo.

Fonte: Resumen Latinoamericano

Traduzione: italiacuba.it


La città del Che, nel cuore di Cuba

Santa Clara custodisce i resti mortali del Guerrigliero Eroico ed è indissolubilmente unita alla storia politica e personale di Ernesto Guevara

Dall’alto, Ernesto Guevara de la Serna contempla la città di Santa Clara. La sua figura di bronzo spicca nel Complesso di Sculture che custodisce i suoi resti, come una specie di vigilante insonne che scorta i suoi figli, quegli stessi che lo accompagnarono nell’importante battaglia che liberò i los santaclaregni e favorì la libertà di Cuba con il trionfo della Rivoluzione.

Nel  centro della città, si possono ancora vedere nel Hotel Santa Clara Libre i buchi delle pallottole che colpirono la striscia verde di cemento che, come un grande rettangolo, rompe con l’architettura della città.

Come testimone della prodezza nel Sito-Museo Azione contro il Treno Blindato, si vedono i resti del deragliamento del treno, un’azione militare che permise la vittoria  delle  truppe ribelli e che oggi è un luogo visitato da centinaia di visitatori.

Nell’isolato vicino, il Che dei bambini dello scultore Solano, si nota davanti all’entrata del Comitato Provinciale del Partito a Villa Clara. Sempre, davanti ai piedi del Guerrigliero, si offre un fiore.

Nell’ Università Centrale «Marta Abreu» di Las Villas, Che Guevara aveva stabilito il  suo Comando. Lì, circa 65 anni fa gi consegnarono il titolo di Dottore honoris causa in Pedagogia.

Nel  suo discorso d’investitura chiamò a dipingere la casa di alti studi di negro e di mulatto, di operaio di contadino, e d’eliminare la porta.  Il popolo la romperà e dipingerà l’università con i colori che vorrà».

In conseguenza, questa Università sè diventata una delle più multi disciplinari del paese, e ogni 8 ottobre i suoi professori e gli alunni, dipinti da popolo, camminano nella rotta del Che.

Quando Ernesto Guevara cominciò a industrializzare il paese, Santa Clara accolse le grandi fabbriche che ancora oggi sono locomotrici fabbrili della provincia di Villa Clara.

Senza dubbio Che Guevara fu unito a questa città, sin dal primo momento, da una relazione tanto intima come trascendentale: l’amore.

Condivise la sua vita con una  santaclaregna, Aleida March, e da questa relazione nacquero quattro figli: Aleida, Camilo, Celia ed Ernesto.

I vincoli del Che con i figli di questa terra si fusero per sempre quando, il 17 ottobre del 1997, il popolo ricevette i suoi resti mortali per custodirli per sempre a Santa Clara, nel cuore di Cuba.

Tradizionalmente, il Complesso di Sculture Comandante Ernesto Che Guevara è stato scenario per il cambio d’attributo dei pionieri cubani.

 

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