La crescente conflittualità pubblica tra Henrique Capriles e Julio Borges, dirigenti di Primero Justicia (PJ), mette in evidenza la grave e profonda crisi interna che sta attraversando il partito, che ufficialmente non esiste come entità politica riconosciuta.
Lo scorso 22 aprile, la Sala Costituzionale del Tribunale Supremo di Giustizia ha nominato José Brito come presidente del consiglio direttivo ad hoc di PJ, decisione che lo autorizza a “utilizzare la scheda elettorale, il logo, i simboli, gli stemmi, i colori e qualsiasi altro concetto proprio di detto partito politico”.
Questo scontro si svolge in un contesto di crisi più ampio che riguarda l’opposizione venezuelana legata alla PUD, caratterizzata dall’uscita dal paese di Edmundo González Urrutia e dall’evanescenza della dirigenza di María Corina Machado.
Cosa è successo in PJ? Breve riepilogo
–Henrique Capriles si è dimesso dal consiglio direttivo di PJ, il 23 settembre, ma ha mantenuto la sua militanza. Nel suo comunicato ha affermato che il consiglio ha “perso visione, unità interna e una guida collegiale”.
–La sua critica si è concentrata sull’assenza di un “piano chiaro o di una politica solida che apra strade democratiche al paese”, denunciando che il partito è stato influenzato dall’imposizione degli interessi di un gruppo interno alla direzione.
–La sua decisione è arrivata dopo l’annuncio di PJ dell'”autoesclusione” dell’ex deputato Eudoro González Dellán, accusato di aver agito ‘unilateralmente’ per facilitare l’uscita di González Urrutia in Spagna.
Accuse incrociate
Le accuse tra le correnti di Borges e Capriles, riportate in un articolo della giornalista Celina Carquez, complicano ulteriormente il panorama politico del partito di opposizione.
In una dichiarazione via WhatsApp, Borges ha affermato che il conflitto interno si basa tra chi “pensa che bisogna voltare pagina dopo il 28 luglio” e chi, come lui, ritiene che “in Venezuela oggi è il 28 luglio e non sarà il 29 luglio o il 2025 finché non si farà valere il voto di 8 milioni di venezuelani”.
Con questo Borges si riferisce sia a Capriles che ad altri membri di PJ, come Juan Requesens, Ángel Medina e Alfonso Marquina, ed altri, accusandoli di cercare di “normalizzare” il governo di Nicolás Maduro, con l’intenzione di far partecipare il partito alle elezioni legislative, regionali e locali del 2025, secondo il testo di Carquez.
Dall’altra parte, nella corrente di Julio Borges, più vicina alla strategia di pressione di María Corina Machado, ci sono Juan Pablo Guanipa, Carlos Ocariz, Juan Carlos Caldera, María Beatriz Martínez e Paola Bautista.
Consultato dalla giornalista, l’ex governatore dello stato Miranda ha accusato Borges di una gestione opaca e priva di trasparenza in PJ.
“Borges si rifiuta di informare il partito su come e in che modo utilizza il denaro per finanziare le attività, così come sulla gestione dei fondi congelati del paese”, ha dichiarato Capriles.
Inoltre, lo ha accusato di utilizzare risorse per campagne di diffamazione sulle reti sociali contro altri membri di PJ: “Borges utilizza ‘vigliaccamente’ pagine a pagamento e influencer per screditare membri del ‘partito’”.
Capriles ha anche rivolto le sue critiche a Juan Carlos Caldera, accusandolo di aver “passato informazioni al Sebin su Edmundo González durante la campagna”.
Juan Pablo Guanipa ha criticato Capriles per aver reso pubblica la sua dimissione dal Consiglio Direttivo Nazionale di PJ sulle reti sociali prima di discutere internamente le differenze di visione all’interno del partito, una discussione che, secondo Guanipa, era stata concordata per dopo il 28 luglio.
Juan Requesens, da parte sua, ha descritto il conflitto come una questione di “intolleranza” e “mancanza di rispetto per la diversità”.
“Quando si identifica chi la pensa diversamente da te -all’interno dell’organo collegiale- come una persona che contraddice i valori e viene vista come un ‘nemico’, e si pone un conflitto morale all’interno del corpo collegiale, dove tutti siamo insieme, le differenza si acutizzano”.
Così, entrambe le fazioni si accusano a vicenda in un contesto generale in cui le basi dell’opposizione vedono i loro dirigenti distanziarsi da María Corina Machado e dalla sua agenda.
28Luglio: punto di rottura
Una crisi che si trascina da vari anni prima del culmine del 28L ha raggiunto il suo apice ora.
Non va dimenticato che Julio Borges è un noto rappresentante dell’agenda antipolitica che ha abbandonato la via elettorale e il dialogo istituzionale, a favore delle sanzioni e della promozione di azioni di forza contro il paese, ciò che, alla fine, ha portato al “progetto Guaidó” in cui, dall’estero, ha funto come ‘ministro degli esteri’ del falso governo. Ha partecipato al blocco e al sequestro degli attivi venezuelani all’estero.
I rancori accumulati tra i gruppi esclusi da questa operazione e danneggiati dall’adesione alla linea di autoesclusione dalla vita politica nazionale si sono acuiti intorno a ciò che doveva essere, ipoteticamente, un tentativo di coesione assoluta verso la candidatura di Edmundo González.
Di fronte alla mancanza di consenso su una dirigenza unitaria, l’opposizione ha deciso di convocare elezioni primarie per partecipare alle presidenziali. Tuttavia, durante questa fase, che si presentava come un esercizio di unità, sono emersi evidenti scontri tra i settori dell’opposizione e una notevole disorganizzazione di fronte all’evento.
In questo contesto si è consolidata l’idea di considerare candidati inabilitati, come María Corina Machado, con il suo approccio più radicale, che è emersa come figura predominante dentro questa corrente. Così ha vinto le primarie in un processo carico di controversie.
Cosciente dell’impossibilità di portare avanti la sua candidatura, Machado ha deciso di agire unilateralmente sul suo rimpiazzo, peggiorando ulteriormente i rapporti con i partiti tradizionali dell’opposizione.
Lo stesso Capriles è stato ignorato da Machado quando ha cercato più volte di discutere altre opzioni per designare un candidato, inclusi quelli che avevano partecipato alle primarie.
Le sue accuse (di Machado ndt) di “tradimento” riguardo alla candidatura di Manuel Rosales e di Edmundo González come candidato “provvisorio” hanno messo in evidenza la sua volontà di esercitare un controllo unilaterale sul processo.
Ha inoltre preso il controllo della campagna di González e si è proiettata come la vera candidata, intensificando i conflitti non solo all’interno della PUD ma anche di PJ ed ha attizzato divisioni riguardo la sua figura.
Secondo Juan Requesens, citato da Carquez, la campagna del 28 luglio è stata segnata da tensioni interne di questo tipo. Racconta che un evento a Petare, organizzato insieme a González, è stato sabotato da María Beatriz Martínez che, secondo lui, ha provocato uno scandalo per aver registrato un video e pubblicato sulle reti sociali.
Requesens afferma anche che Martínez, insieme a Tomás Guanipa, si è opposta a che altri dirigenti del partito, come Capriles, Alfonso Marquina e lui stesso, partecipassero alle attività con María Corina Machado e Edmundo González, sostenendo che loro facevano parte del “circolo intimo” di Machado.
Decisioni critiche per la sopravvivenza
Esiste una tendenza diffusa nei partiti che hanno sostenuto Machado e González Urrutia a mettere da parte la sua agenda dato che, dopo il breve episodio di violenza politica seguito al 28 luglio, ha avuto luogo una smobilitazione delle piazze e si è disarticolato l’operazione di violenza criminale -con tratti terroristici- che cercava di concretizzare il cambio di regime,.
L’incertezza riguardo alle conseguenze di continuare con questa agenda, simile al “progetto Guaidó”, sta intensificando i conflitti, in particolare all’interno di PJ, dove coesistono fazioni che ancora difendono questa linea e quindi alimenta la lotta interna.
L’indecisione della dirigenza dell’opposizione di fronte alla strategia di Machado di installarsi come capo indiscutibile nel contesto post-elettorale, sfruttando l’attenzione pubblica ricevuta, li ha portati all’attuale bivio.
Ora, con il declino della narrativa del “Fino alla fine”, riemergono i calcoli elettorali e di accordo con il governo venezuelano. Questo si riflette chiaramente nella crisi di PJ, dove María Corina Machado è il fulcro centrale, poiché la sua agenda estremista ha alimentato le divisioni e i conflitti interni del partito.
Per PJ, sia la sua sopravvivenza che la sua rilevanza politica sono in gioco. Lo stesso vale per il resto della PUD. Si trovano di fronte al dilemma di esplorare la prospettiva elettorale e negoziale o cedere davanti alle pressioni dei settori più radicali, di fronte ad una dinamica che va in controtendenza rispetto alle sue promesse di una presunta imminente ‘transizione’.
María Corina Machado provoca el colapso de Primero Justicia | Misión Verdad
María Corina Machado provoca el colapso de Primero Justicia
La creciente confrontación pública entre Henrique Capriles y Julio Borges, dirigentes de Primero Justicia (PJ), pone de manifiesto la grave y profunda crisis interna que atraviesa el partido, que oficialmente no existe como entidad política reconocida.
El pasado 22 de abril la Sala Constitucional del Tribunal Supremo de Justicia designó a José Brito como presidente de la junta directiva ad hoc de PJ, decisión que lo autorizó a “utilizar la tarjeta electoral, el logo, los símbolos, los emblemas, los colores y cualquier otro concepto propio de dicho partido político”.
Este enfrentamiento se desarrolla en un marco de crisis más amplio que afecta a la oposición venezolana ligada a la PUD, marcado por la salida del país de Edmundo González Urrutia y el desdibujamiento del liderazgo de María Corina Machado.
¿Qué pasó en PJ? BREVE REPASO
Henrique Capriles renunció a la junta directiva de PJ el 23 de septiembre, pero mantiene su militancia. En su comunicado, alegó que la junta ha “perdido visión, unidad interna y una conducción colegiada”.
Su crítica se enfocó en la ausencia de un “plan claro o una política sólida que abra caminos democráticos al país”, y denunció que el partido se ve afectado por la imposición de intereses de un grupo dentro de la propia directiva.
Su decisión prosiguió al anunció de PJ de la “autoexclusión” del exdiputado Eudoro González Dellán, que lo señala de haber actuado de forma “unilateral” para conseguir la salida de González Urrutia a España.
acusaciones cruzadas
Acusaciones entre las corrientes de Borges y Capriles, recogidas en un artículo de la periodista Celina Carquez, complican aun más el panorama político del partido opositor.
En una declaración a través de WhatsApp, Borges comentó a la periodista que la pugna interna se centra en quienes “piensan que hay que pasar la página del 28 de julio” y “quienes pensamos que en Venezuela hoy es 28 de julio y no será 29 de julio o 2025 hasta hacer valer el voto de 8 millones de venezolanos”.
Con esto apunta tanto a Capriles como a otros representantes de PJ, como Juan Requesens, Ángel Medina, Alfonso Marquina, entre otros, a quienes se acusa de intentar “normalizar” el gobierno del presidente Nicolás Maduro al aspirar a que el partido participe en las elecciones legislativas, regionales y locales de 2025, según el texto de Carquez.
Por otro lado, en la corriente de Julio Borges, más próxima a la estrategia de presión de María Corina Machado, se encuentran Juan Pablo Guanipa, Carlos Ocariz, Juan Carlos Caldera, María Beatriz Martínez y Paola Bautista.
Consultado por la periodista, el exgobernador del estado Miranda acusa a Borges de una gestión opaca y falta de transparencia en PJ.
“Borges se niega a informar al partido cómo y en qué usa el dinero para la financiación de las actividades, así como sobre el manejo de fondos congelados del país”, dice Capriles.
Además, lo señala de utilizar recursos para campañas de desprestigio en redes sociales contra otros miembros de PJ: “Borges utiliza ‘cobardemente’ páginas pagadas e influencers para desacreditar a miembros del ‘partido'”.
Capriles también dirige sus comentarios a Juan Carlos Caldera, señalándolo por “filtrar información al Sebin sobre Edmundo González durante la campaña”.
Juan Pablo Guanipa critica que Capriles haya hecho pública su renuncia a la Junta Directiva Nacional de PJ en redes sociales antes de dar un tratamiento interno a las diferencias de visión dentro del partido, una discusión que, según Guanipa, se había acordado para después del 28 de julio.
Juan Requesens, por su parte, describe el conflicto desde una perspectiva de “intolerancia” y “falta de respeto a la diversidad”.
“Cuando se identifica al que piensa distinto a ti —en el seno del cuerpo colegiado— como una persona que contraría los valores y es un ‘enemigo’, y se plantea un conflicto moral en el seno de un cuerpo colegiado, donde todos estamos juntos, las diferencias se agudizan”.
De este modo, ambas facciones se señalan mutuamente en un contexto más general en el que las bases de la oposición observan a sus dirigentes distanciarse de María Corina Machado y su agenda.
28J: punto de quiebre
Una crisis que se ha arrastrado durante varios años antes del desenlace del 28 de julio ha alcanzado su punto álgido ahora.
No hay que perder de vista que Julio Borges es un representante destacado de la agenda antipolítica que desechó la vía electoral y el diálogo institucional para inclinarse en favor de las sanciones y la promoción de acciones de fuerza contra el país, lo que finalmente derivó en el “proyecto Guaidó” en el que él, desde el extranjero, fungió como “canciller” del falso gobierno. Participó en el bloqueo y robo de los activos venezolanos en el exterior.
Las rencillas acumuladas entre los grupos excluidos de esa operación y perjudicados por acatar la línea de autoexclusión de la vida política nacional no hicieron sino exacerbarse en torno a lo que supuestamente fue un intento de cohesión absoluta hacia la candidatura de Edmundo González.
Ante la falta de consenso sobre un liderazgo unitario, la oposición decidió convocar elecciones primarias para participar en los comicios presidenciales. Sin embargo, durante esta etapa, que se presentaba como un ejercicio de unidad, surgieron evidentes choques entre los sectores opositores, así como una notable desorganización de cara al evento.
En este panorama se consolidó la idea de considerar a candidatos inhabilitados, siendo María Corina Machado, con su enfoque más radical, quien emergió como la figura predominante dentro de esta corriente. De esta manera ganó las primarias en un proceso cargado de controversias.
Consciente de la imposibilidad de viabilizar su postulación, Machado asumió la prerrogativa de decidir de manera unilateral sobre su reemplazo, decisión que deterioró más la relación entre ella y los partidos tradicionales de la oposición.
El propio Capriles fue ignorado por Machado cuando planteó en varias ocasiones debatir otras opciones para designar a un candidato, incluidos tanto los que habían estado en las primarias como los que no.
Sus denuncias de “traición” ante la inscripción de Manuel Rosales y de Edmundo González como candidato “provisional” también pusieron de manifiesto su intención de ejercer un control unilateral sobre el proceso.
Asimismo, tomó las riendas de la campaña de González y se proyectó a sí misma como la verdadera candidata, lo que intensificó las pugnas no solo dentro de la PUD sino dentro de PJ y atizó divisiones con respecto a su figura.
Según Juan Requesens, citado por Carquez, la campaña del 28 de julio estuvo marcada por tensiones internas de este tipo. Relata que un acto en Petare, que organizó junto a González, fue saboteado por María Beatriz Martínez, quien, según él, le armó un escándalo por grabar un video y publicarlo en redes sociales.
Requesens también asegura que Martínez, junto a Tomás Guanipa, se opuso a que otros dirigentes del partido como Capriles, Alfonso Marquina y él mismo participaran en las actividades con María Corina Machado y Edmundo González, bajo el argumento de que ellos formaban parte del “círculo íntimo” de Machado.
Decisiones críticas para la supervivencia
Existe una tendencia generalizada en los partidos que apoyaron a Machado y González Urrutia a dejar de lado su agenda dado que, desde el breve episodio de violencia política que siguió al 28 de julio, se consumó la desmovilización en las calles y se desarticuló la operación de violencia criminal —con ribetes terroristas— que buscaba concretar el cambio de régimen.
La incertidumbre respecto a las consecuencias de continuar con dicha agenda, que presenta similitudes con el “proyecto Guaidó”, intensifica esta tendencia. En particular en el caso de PJ, donde coexisten facciones que aun defienden este planteamiento y, por tanto, se agudiza la lucha interna.
La falta de determinación en la dirigencia opositora frente a la estrategia de Machado de instalarse como la líder indiscutible en el contexto postelectoral, aprovechando la atención pública que recibió, los ha llevado a la encrucijada actual.
Ahora, con la pérdida de impulso de la narrativa del “Hasta el final”, reaparecen los cálculos electorales y de pacto con el gobierno venezolano. Esto se refleja claramente en la crisis que atraviesa PJ, en la que María Corina Machado figura como su núcleo central en vista de que su agenda extremista ha atizado divisiones y conflictos internos en el partido.
Para PJ, tanto su supervivencia como relevancia política están en juego. Lo que también aplica para el resto de la PUD. Se enfrentan a la disyuntiva de explorar la perspectiva electoral y de negociación o ceder ante las presiones de los sectores más radicales, frente a una dinámica que va a contrarreloj con respecto a sus propias promesas de una supuesta “transición” inminente.