La relazione tra le risorse naturali e la sovranità delle nazioni è sempre stata una lotta costante nello scacchiere geopolitico, dove le imprese multinazionali e i governi nazionali dispiegano le loro pedine in un’arena che non solo definisce la gestione delle ricchezze di un paese, ma anche la sua autonomia politica ed economica.
In questo tipo di dispute, il Venezuela non fa eccezione, dato il suo grande potere e influenza energetica. Il 27 settembre 2024, un tribunale di Trinidad e Tobago ha approvato la richiesta della compagnia USA ConocoPhillips di confiscare beni venezuelani e riscuotere un risarcimento di 1,3 miliardi di $ sotto la giustificazione di un lodo arbitrale della Camera di Commercio Internazionale (ICC).
L’istanza giudiziaria trinidadiana ha approvato la designazione di una società contabile come beneficiaria per confiscare i pagamenti legati al progetto congiunto per lo sviluppo del campo di gas Dragón, sostenendo che esiste il rischio apparente che PDVSA trasferisca i suoi beni fuori dalla giurisdizione.
Questa decisione, emessa dal giudice Frank Seepersad, evidenzia la percezione della vulnerabilità dei beni venezuelani all’estero. Il giudice che, nel 2013, aveva aspirazioni presidenziali del paese insulare ha sostenuto che il precedente trasferimento della sede europea di PDVSA a Mosca “evidenzia una tendenza a spostare beni per eludere obblighi legali”. Quello che la sentenza ignora è che tale spostamento, oltre a essere una decisione assolutamente sovrana, viene fatto per proteggere gli interessi legali dello Stato contro qualsiasi possibile azione ingiusta di saccheggio del suo patrimonio.
In questo gioco di scacchi “legale”, ogni mossa è cruciale poiché implica sia la difesa della sovranità sia il contrasto alla strategia di ConocoPhillips, che cerca di cacciare i beni venezuelani nel mondo con il pretesto di esigere un pagamento, che considera “legittimo”, in risposta al processo di nazionalizzazione avviato in Venezuela nel 2007.
Questa agenda di spoliazione prende slancio soprattutto dopo che la compagnia USA ottenesse licenze, dal Dipartimento del Tesoro, che le permettessero di sequestrare beni legati a PDVSA, secondo un’esclusiva recente di Bloomberg.
L’AGENDA ILLEGALE TRACCIATA DA CONOCO
Questa offensiva di persecuzione e spoliazione contro il Venezuela illustra la tensione tra la difesa della sovranità venezuelana e le strategie di ConocoPhillips per garantirsi una compensazione monetaria, attaccando, al contempo, la cooperazione energetica tra Venezuela e Trinidad e Tobago.
Infatti, nel quadro della sottoscrizione dell'”Accordo Interistituzionale per la Promozione di Progetti Congiunti nel Settore degli Idrocarburi Gassosi” nel 2023, il presidente Nicolás Maduro ha sottolineato che “le grandi multinazionali esplorano e cercano campi condivisi per inimicare i paesi, ma Venezuela e Trinidad e Tobago sviluppano i campi di gas in pace”.
Il futuro del Campo Dragón diventa un termometro della capacità di entrambe le parti di bilanciare i loro interessi strategici e diplomatici in mezzo all’attacco di ConocoPhillips, che ha dimostrato la capacità di sfruttare qualsiasi spiraglio legale con l’obiettivo di ottenere compensazioni sproporzionate e lesive contro il Venezuela. Si tratta di una scommessa strategica per rallentare o complicare uno dei progetti più promettenti per lo sviluppo energetico della regione.
CONOCO NON ACCETTO’ ACCORDI
La storia di scontro tra Venezuela e ConocoPhillips non è nuova, risale alla decisione sovrana del Venezuela, nel 2007, di nazionalizzare gli accordi di associazione nella Faja Petrolífera del Orinoco.
Questa misura ha comportato che le multinazionali, che avevano goduto di condizioni particolarmente favorevoli durante l’Apertura Petrolifera, degli anni ’90, dovessero migrare a un modello di imprese miste.
Mentre società come Chevron, Total e Statoil hanno accettato queste nuove condizioni, ConocoPhillips ed ExxonMobil si sono opposte il che ha avviato una serie di dispute legali che sono sfociati in lunghi contenziosi internazionali, aprendo la strada a una lunga serie di reclami che sono giunti ai tribunali di Trinidad e Tobago.
È opportuno ricordare che il rifiuto di queste aziende di ridurre la loro partecipazione nei progetti Petrozuata, Hamaca e Corocoro, e di adeguarsi alla nuova Legge Organica sugli Idrocarburi, portò alla revoca delle loro partecipazioni a favore dello Stato venezuelano, che riassegnò queste operazioni a filiali di PDVSA per garantire la continuità della produzione.
Gli accordi di associazione sorti durante l’Apertura Petrolifera non solo limitavano la capacità dello Stato di imporre gravami ma permettevano a queste imprese di massimizzare i loro profitti a scapito delle casse pubbliche.
Come sottolinea l’esperto di diritto Muthucumaraswamy Sornarajah, tassare i profitti straordinari non può essere considerato un’espropriazione poiché si tratta di un atto legittimo di sovranità fiscale che mira a garantire che la ricchezza generata dallo sfruttamento delle risorse naturali sia equamente distribuita tra la nazione che le possiede.
L’insistenza di ConocoPhillips nell’ ignorare questo principio fondamentale di sovranità ha portato la disputa a estendersi in diversi forum globali, come il Centro Internazionale per la Risoluzione delle Dispute relative agli Investimenti (ICSID), dove un tribunale di tre giudici emise, nel 2013, una decisione che, pur riconoscendo alcuni diritti della società, sosteneva anche il diritto del Venezuela di stabilire un regime fiscale favorevole ai suoi interessi.
In questo senso, la posizione della multinazionale è stata di respingere qualsiasi tentativo di negoziazione che comportasse una riduzione del controllo che esercitava sulle risorse venezuelane durante i precedenti governi.
CITGO NEL MIRINO
La filiale venezuelana con sede negli USA, Citgo, uno degli asset più preziosi di PDVSA, è stata l’obiettivo della spoliazione più flagrante degli ultimi anni.
Questa trama è iniziata nel 2018 con la causa della compagnia mineraria canadese Crystallex presso la Corte del Delaware, presieduta dal giudice Leonard Stark, che si è ulteriormente complicata quando è emersa la figura di José Ignacio Hernández, avvocato di quella compagnia e autoproclamato “procuratore” del “progetto Guaidó”.
Il suo ruolo di lobbista in questa storia è stato fondamentale per forzare un epilogo che si orienta verso la spoliazione degli asset venezuelani. Nel 2020, il giudice Stark ha stabilito che Crystallex avrebbe potuto riscuotere il suo reclamo attraverso l’asta degli asset di Citgo, una sentenza che ha spianato la strada affinché altri creditori cercassero anch’essi di trarne vantaggio. ConocoPhillips non è stata da meno in questa agenda di embargo illecito.
Nel 2021, tale schema di pressione si è consolidato quando membri del “progetto Guaidó” hanno raggiunto un accordo illegale con ConocoPhillips e trasferito 1,287 miliardi di $ alla compagnia petrolifera USA con fondi venezuelani bloccati all’estero.
Nel 2023, come in una corsa tra avvoltoi, il giudice Stark ha concesso ad altre quattro aziende, oltre a Crystallex e ConocoPhillips, il diritto di pignorare le azioni di Citgo. Tra queste ci sono O-I Glass Inc., Huntington Ingalls Industries Inc. e ACL1 Investments Ltd.
La recente scadenza, nel giugno 2024, del termine per ricevere offerte di acquisizione di Citgo ha riacceso gli allarmi. Il governo venezuelano ha denunciato questo processo come una spogliazione orchestrata, in cui le autorità USA hanno agito in complicità con attori dell’opposizione come Juan Guaidó, Leopoldo López e Julio Borges.
Inoltre, va sottolineato che PDVSA e la sua rappresentanza legale ufficiale sono escluse dalla partecipazione al processo giudiziario, cioè sono impedite a esercitare una legittima difesa a causa delle sanzioni illegali imposte e del mancato riconoscimento del governo venezuelano da parte di Washington.
L’Office of Foreign Assets Control (OFAC) ha emesso la General License 5P, che ha sostituito la 5O, e ha esteso la “protezione” su Citgo fino al 12 novembre 2024. Questa misura temporanea ha impedito ai detentori dei bond PDVSA 2020 di prendere il controllo del 50,1% delle azioni della compagnia; tuttavia, l’azione non favorisce gli interessi venezuelani.
La vendita di Citgo implica spogliare il Venezuela di beni strategici che includono raffinerie, oleodotti e stazioni di servizio, elementi fondamentali per la sua capacità di produzione e distribuzione di idrocarburi.
La difesa di PDVSA e di Citgo, così come lo sforzo congiunto con Trinidad e Tobago nel Campo Dragón, rappresentano la volontà del governo venezuelano di non cedere alle pressioni esterne e, al contempo, di continuare a gestire il destino energetico sovrano della Repubblica Bolivariana.
ConocoPhillips redobla su ofensiva de expolio contra Venezuela | Misión Verdad
ConocoPhillips redobla su ofensiva de expolio contra Venezuela
La relación entre los recursos naturales y la soberanía de las naciones siempre ha sido una pugna constante en el tablero geopolítico, donde las empresas transnacionales y los gobiernos nacionales despliegan sus piezas en una arena que no solo define la gestión de las riquezas de un país, sino también su autonomía política y económica.
En este tipo de disputas Venezuela no es la excepción por su gran poder e influencia energética. El 27 de septiembre de 2024, un tribunal en Trinidad y Tobago aprobó la solicitud de la empresa estadounidense ConocoPhillips para la incautación de activos venezolanos y el cobro de una compensación de 1 300 millones de dólares bajo la justificación de un laudo arbitral de la Cámara de Comercio Internacional (CCI).
La instancia judicial trinitense aprobó la designación de una firma de contabilidad como beneficiaria para confiscar los pagos vinculados al proyecto gasífero conjunto para el desarrollo de Campo Dragón, alegando que existe el riesgo aparente de que PDVSA movilice sus activos fuera de la jurisdicción.
Tal decisión, dictaminada por el juez Frank Seepersad, destaca la percepción de vulnerabilidad de los activos venezolanos en el extranjero. El personaje, quien tuvo aspiraciones presidenciales en 2013 en el país isleño, argumentó que la reubicación previa de la sede europea de PDVSA a Moscú “evidencia una tendencia a mover activos para eludir obligaciones legales”. Lo que obvia la sentencia es que tal mudanza, además de ser una decisión absolutamente soberana, se hace con el fin de proteger los intereses legales del Estado ante cualquier posible acción injusta de saqueo a su patrimonio.
En este juego de ajedrez “legal” cada movimiento es crucial pues implica tanto la defensa de la soberanía como enfrentar la estrategia de ConocoPhillips por emprender la cacería de activos venezolanos en el mundo so pretexto de exigir un pago que considera “legítimo”, en respuesta al proceso de nacionalización de 2007 en Venezuela.
Esta agenda de expoliación toma vuelo especialmente después de que la empresa estadounidense obtuviera licencias del Departamento del Tesoro que le habilitarían la capacidad de secuestrar activos relacionados con PDVSA, según una exclusiva reciente de Bloomberg.
LA AGENDA ILEGAL TRAZADA POR CONOCO
Esta ofensiva de persecución y expolio contra Venezuela ilustra la tensión entre la defensa de la soberanía venezolana y las estrategias de ConocoPhillips para asegurarse una compensación monetaria, al mismo tiempo que ataca la cooperación energética entre Venezuela y Trinidad y Tobago.
De hecho, en el marco de la suscripción del “Acuerdo Interinstitucional para el Impulso de Proyectos Conjuntos en el Sector de Hidrocarburos Gaseosos” en 2023, el presidente Nicolás Maduro enfatizó que “las grandes transnacionales exploran y buscan campos compartidos para enemistar los países, pero Venezuela y Trinidad y Tobago desarrollan los campos gasíferos en paz”.
El futuro de Campo Dragón se convierte en un termómetro de la capacidad de ambas partes para equilibrar sus intereses estratégicos y diplomáticos en medio del ataque de ConocoPhillips, que ha mostrado capacidad de explotar cualquier resquicio legal con el objetivo de obtener compensaciones desproporcionadas y lesivas contra Venezuela. Se trata de una apuesta estratégica para ralentizar, o complicar, uno de los proyectos más prometedores en el desarrollo energético de la región.
Conoco no aceptó acuerdos
La historia de confrontación entre Venezuela y ConocoPhillips no es nueva, se remonta a la decisión soberana de Venezuela en 2007 de nacionalizar los convenios de asociación de la Faja Petrolífera del Orinoco.
Esta medida implicó que las empresas transnacionales, que habían disfrutado de condiciones particularmente favorables bajo la Apertura Petrolera de la década de los 90, migraran a un esquema de empresas mixtas.
Mientras compañías como Chevron, Total y Statoil aceptaron estas nuevas condiciones, ConocoPhillips y ExxonMobil se opusieron, lo que inició una serie de disputas legales que desembocarían en largos litigios internacionales, situación que abrió la puerta a una larga serie de reclamaciones que han llegado a los tribunales de Trinidad y Tobago.
Es pertinente recordar que la negativa de estas empresas a reducir su participación en los proyectos Petrozuata, Hamaca y Corocoro, y ajustarse a la nueva Ley Orgánica de Hidrocarburos, llevó a la reversión de sus participaciones al Estado venezolano, quien reasignó estas operaciones a filiales de PDVSA para asegurar la continuidad de la producción.
Los convenios de asociación que surgieron durante la Apertura Petrolera no solo limitaban la capacidad del Estado para imponer gravámenes sino que permitían a estas compañías maximizar sus ganancias a costa de las arcas públicas.
Como señala el experto en derecho Muthucumaraswamy Sornarajah, gravar las ganancias extraordinarias no puede considerarse una expropiación ya que se trata de un acto legítimo de soberanía fiscal que busca garantizar que la riqueza generada por la explotación de los recursos naturales sea distribuida de manera equitativa entre la nación que los posee.
La insistencia de ConocoPhillips en ignorar este principio básico de soberanía ha llevado a que la disputa se extienda a diferentes espacios mundiales, como el Centro Internacional de Arreglo de Diferencias Relativas a Inversiones (Ciadi), donde un tribunal de tres jueces emitió en 2013 una decisión que, si bien reconocía algunos derechos de la empresa, también respaldaba el derecho de Venezuela a establecer un régimen fiscal favorable a sus intereses.
En este sentido, la postura de la empresa transnacional ha sido rechazar cualquier intento de negociación que implique una reducción de aquel control que ostentaban sobre los recursos venezolanos en periodos gubernamentales del pasado.
CITGO EN LA MIRA
La filial venezolana con sede en Estados Unidos Citgo, uno de los activos más valiosos de PDVSA, ha sido el objetivo del despojo más flagrante de los años recientes.
Esta trama inició en 2018 con la demanda de la empresa minera canadiense Crystallex ante la Corte de Delaware, presidida por el juez Leonard Stark, que se complicó aun más cuando emergió la figura de José Ignacio Hernández, abogado de esa empresa y autodenominado “procurador” del “proyecto Guaidó”.
Su rol como lobbista en esta historia ha sido fundamental para forzar un desenlace que se inclina hacia el despojo de los activos venezolanos. En 2020, el juez Stark dictaminó que Crystallex podría cobrar su reclamo mediante la subasta de los activos de Citgo, un fallo que pavimentó el camino para que otros acreedores también buscaran sacar provecho. ConocoPhillips no se quedó atrás en esta agenda de embargo ilícito.
Para el año 2021, tal esquema de presión se consolidó cuando miembros del “proyecto Guaidó” alcanzaron un acuerdo ilegal con ConocoPhillips y transfirieron 1 287 millones de dólares a la petrolera estadounidense con fondos venezolanos retenidos en el extranjero.
En 2023, como si se tratara de una competencia entre buitres, el juez Stark otorgó a otras cuatro empresas, además de Crystallex y ConocoPhillips, el derecho a embargar las acciones de Citgo. Entre estas se encuentran O-I Glass Inc, Huntington Ingalls Industries Inc y ACL1 Investments Ltd.
El reciente vencimiento, en junio de 2024, del plazo para recibir ofertas de adquisición de Citgo encendió nuevamente las alarmas. El gobierno venezolano denunció ese proceso como un despojo orquestado, en el que las autoridades estadounidenses han actuado en complicidad con actores de la oposición como Juan Guaidó, Leopoldo López y Julio Borges.
Además, debe destacarse que PDVSA y su representación legal oficial están excluidas de participar en el proceso judicial, es decir, están impedidos de ejercer una defensa legítima debido a las sanciones ilegales impuestas y al no reconocimiento del gobierno venezolano por parte de Washington.
La Oficina de Control de Activos Extranjeros (OFAC, según siglas en inglés) emitió la Licencia General 5P, que sustituyó a la 5O, y extendió la “protección” sobre Citgo hasta el próximo 12 de noviembre de 2024. Esta medida temporal ha frenado a los tenedores de bonos PDVSA 2020 de tomar control sobre el 50,1% de las acciones de la empresa; sin embargo, la acción no favorece los intereses venezolanos.
La venta de Citgo implica despojar a Venezuela de activos estratégicos que incluyen refinerías, oleoductos y estaciones de servicio, elementos fundamentales para su capacidad de producción y distribución de hidrocarburos.
La defensa de PDVSA y de Citgo, así como el esfuerzo conjunto con Trinidad y Tobago en Campo Dragón, representan la voluntad del gobierno venezolano de no ceder ante las presiones externas y, a la vez, continuar gestionando el destino energético soberano de la República Bolivariana.