F. Casari tratto da Luci e ombre su Kazan
[…] Il veto che ha suscitato maggiore opposizione è senza dubbio quello del Brasile nei confronti del Venezuela. La decisione di Lula appare sbagliata e grave. Lo è sia nella palese ostilità politica nei confronti di Caracas, sia in quelle occulte, che vedono il Brasile cercare di imporsi come Paese-guida del continente e unico punto di riferimento per i grandi attori della politica internazionale, sia in Occidente che nel Sud e nell’Est globale.
Il Venezuela, come tutti i Paesi dell’ALBA, ha tutto il diritto, oltre che la necessità, di entrare a far parte di un’organizzazione multilaterale che potrebbe essere un elemento decisivo per rompere l’assedio imperiale alla democrazia e allo sviluppo del Paese bolivariano. Il veto del Brasile all’ingresso di Caracas nei BRICS è un avallo delle politiche statunitensi ed evidenzia una perniciosa continuità con quanto fatto dal governo Bolsonaro sullo stesso tema.
Purtroppo, viene ribadita l’ostilità politica di Lula nei confronti del Venezuela e degli altri Paesi dell’ALBA-TCP, così come si è espressa in diverse occasioni negli ultimi 20 anni, quando Brasilia si è opposta in modo significativo al rafforzamento della struttura finanziaria e militare latinoamericana ideata da Chávez.
È chiaro che non c’è più traccia del Lula che diede il colpo di grazia all’ALCA, così come contribuì in modo decisivo alla nascita del Forum di San Paolo e della stessa CELAC. Il Lula di oggi sembra molto più preoccupato di assecondare Washington nelle politiche di contenimento dell’ALBA e anche della sua prossima ed ennesima candidatura alla presidenza del Brasile.
Da Brasilia si esercita una sostanziale opposizione allo sviluppo del ruolo politico del Venezuela in particolare e dell’ALBA-PTC in generale. Probabilmente si tratta di un’idea egemonica dello sviluppo del subcontinente basata sull’asse BAC (Brasile, Argentina e Cile) come fondamento della centralità politica ed economica dell’America Latina.
Ma è un asse, quello del Cono Sud, che ha sempre contemplato la preminenza del rapporto con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, i quali nei confronti del Venezuela chiedono una politica di non riconoscimento del suo status istituzionale e spingono in direzione del suo isolamento. Una richiesta che, purtroppo, trova orecchie pronte in alcune capitali latinoamericane troppo attente all’obbedienza verso il Nord e poco alla ribellione del Sud.
E così il Brasile di Lula si unisce oggettivamente alla setta dei presunti progressisti come Fernández, Boric, Arévalo e Lenin Moreno. Associandosi ai governi latinoamericani di ultradestra e di finta sinistra, si aggiunge alla persecuzione politica dei governi rivoluzionari del continente. Soprattutto, dal punto di vista dell’etica politica, segna una pagina vergognosa nei confronti di chi, durante la sua prigionia e dopo le sfide al voto che lo hanno riportato al Planalto, si è schierato senza esitazione dalla sua parte pur non avendo alcuna prova che confermasse la veridicità delle tesi in difesa di Lula, sia nel processo che nel voto.
Questo gesto pone fine a ogni possibile vicinanza con un presidente che, sebbene il suo attuale mandato contraddica a parole e nelle opzioni tutte le sue promesse elettorali, aveva finora goduto di tolleranza e comprensione. Aveva ragione chi sottolineava l’incompatibilità tra gli annunciati ideali di liberazione ed emancipazione latinoamericana e le politiche di asservimento all’impero monroista a cui Brasilia si è legata, evidentemente con più convenienza che disagio.
L’atteggiamento di Lula conferma quanto già visto negli ultimi anni, ovvero la tendenza a passare da oppositore dell’ingerenza statunitense in America Latina a suo fedele interprete. In questo modo si chiude una storia di decenni, si rompe ogni legame di solidarietà con essa e si mettono negli archivi della memoria le battaglie comuni della sinistra latinoamericana. Ideali e battaglie oggi sacrificati sull’altare di un disegno egemonico condiviso con il Nord e di un ego personale fuori tempo massimo e certamente degno di miglior causa.