Conoscere il nemico: Mario Díaz-Balart

Misión Verdad

In un reportage pubblicato da Axios è stato rivelato il ruolo chiave svolto dai congressisti repubblicani del sud della Florida — Mario Díaz-Balart, Carlos Giménez e María Elvira Salazar — nel processo che ha portato alla cancellazione della Licenza Generale 41, che permetteva a Chevron di operare in Venezuela sotto determinate condizioni.

Soprannominati “i cubani pazzi” dal presidente della Camera, Mike Johnson, questi legislatori costituiscono un blocco intransigente in merito a Cuba, Nicaragua e Venezuela.

La pubblicazione ha anche evidenziato una conversazione telefonica tra Díaz-Balart e Donald Trump, nella quale il congressista ha ricordato al presidente le sue promesse elettorali riguardo all’inasprimento delle sanzioni contro il Venezuela, criticando le decisioni dell’amministrazione Biden.

Si alza il sipario

 

Mario Díaz-Balart, congressista per lo stato della Florida dal 2002, è una figura emblematica del settore più conservatore del Partito Repubblicano per quanto riguarda la politica estera verso l’America Latina. Proveniente da una famiglia cubano-statunitense con una lunga carriera politica alle spalle, la sua traiettoria è stata segnata da un discorso aggressivo contro i governi di Cuba, Nicaragua e Venezuela.

Questa posizione non è casuale. La Florida, con la sua alta concentrazione di popolazione migrante latinoamericana — in particolare di origine caraibica —, impone una logica elettorale per cui è quasi inevitabile che qualsiasi rappresentante politico ricorra a una retorica incendiaria. Si tratta di entrare in sintonia con le sensibilità di un elettorato plasmato da anni di narrazioni manipolate, dove il discorso aggressivo contro governi come quello venezuelano diventa moneta corrente per capitalizzare appoggio politico.

Infatti, nel 2013 Díaz-Balart fu uno dei promotori di una proposta bipartisan di riforma migratoria che, pur presentata come un progresso, si concentrava principalmente sul rafforzamento della sicurezza dei confini e sull’inasprimento delle leggi che storicamente hanno avuto un’impronta razzista. Queste misure, ben lontane dal favorire la popolazione latina — che rappresenta una parte fondamentale del tessuto sociale ed economico dello stato meridionale —, rafforzavano una visione punitiva e discriminatoria del fenomeno migratorio.

La sua carriera politica è incardinata in un discorso bellicoso contro i governi considerati “avversari” di Washington, nel solco del suo retaggio familiare.

“La dinastia”

 

Il congressista appartiene a una delle famiglie più influenti del cosiddetto “esilio cubano” negli USA.

La sua ascendenza è segnata da una traiettoria politica che risale alla Cuba pre-rivoluzionaria. È figlio di Rafael Díaz-Balart, figura di spicco nella dittatura di Fulgencio Batista, dove ricoprì il ruolo di capo della maggioranza alla Camera dei Rappresentanti di Cuba, dal 1954 al 1958, oltre ad essere stato vice ministro del temuto Ministero dell’Interno.

La famiglia Díaz-Balart non fu solo strettamente legata al potere politico dell’epoca, ma anche agli interessi economici USA nell’isola, come dimostra il fatto che il nonno, Rafael José Díaz-Balart, fu sindaco di Banes — località chiave per la United Fruit Company — e consulente aziendale di questa multinazionale. Fin da giovane, il nonno si affermò come dirigente di un gruppo studentesco a favore di Batista, una militanza che rafforza l’impronta autoritaria dell’epoca nella storia familiare.

Vi è però una particolarità che segna il percorso di questa dinastia: il suo legame con la Rivoluzione cubana.

Mario è nipote acquisito di Fidel Castro, poiché sua zia, Mirta Díaz-Balart, fu la prima moglie del capo rivoluzionario e madre del suo primogenito. Dunque, nonostante i legami di sangue che lo uniscono direttamente a Castro, il congressista ha adottato una posizione politica frontalmente opposta, diventando uno dei più accesi portavoce della narrativa controrivoluzionaria promossa dai settori più conservatori della diaspora cubana.

Nel contesto politico di Miami, i Díaz-Balart sono riusciti a ricostruire il loro potere politico e simbolico. Diventarono una famiglia di riferimento per la comunità cubano-statunitense della contea di Miami-Dade.

Così uno dei figli, Lincoln Díaz-Balart, fu eletto nel 1986 al Parlamento della Florida e nel 1992 al Congresso, dove restò fino al 2011. Gli subentrò il fratello Mario, nel 2002, garantendo così una presenza familiare continuativa nel panorama legislativo USA.

L’influenza di questa famiglia non si limita alla politica. Un altro figlio, Rafael Díaz-Balart Jr., ha fatto carriera nel mondo della finanza come banchiere d’investimento, mentre José Díaz-Balart è diventato una figura mediatica di riferimento, presentatore di notiziari su Telemundo e NBC.

La varietà delle loro carriere ha rafforzato il capitale simbolico del cognome Díaz-Balart nel sud della Florida.

Nel Congresso, Lincoln si distinse come uno dei più ferventi sostenitori dell’embargo contro Cuba. In alleanza con altre figure come Ileana Ros-Lehtinen, Connie Mack e Robert Torricelli, esercitò pressioni negli anni 90 sull’allora presidente Bill Clinton affinché irrigidisse le sanzioni economiche illegali contro l’isola, con il pretesto delle presunte violazioni dei diritti umani.

Suo fratello, Mario, ha ereditato questa linea politica, anche se ha mostrato talvolta un certo pragmatismo, soprattutto in materia di immigrazione.

Agenda contro il Venezuela

 

Dal suo seggio al Congresso USA, Mario Díaz-Balart è stato uno dei volti più visibili e costanti della politica di pressione sistematica contro il Venezuela.

Il suo discorso ruota attorno al sostegno all’opposizione estremista, e le sue azioni concrete sono risultate funzionali a un’agenda di destabilizzazione e sanzioni illegali.

Uno dei suoi legami più antichi e visibili è quello con la dirigente María Corina Machado. Già nel 2014, il congressista repubblicano dichiarava pubblicamente di aver ricevuto una “sentita nota” di ringraziamento da parte della Machado per il sostegno del suo ufficio ai tentativi di cambio di regime.

Il congressista colse l’occasione per dichiararsi “onorato” di parlare a suo nome e a nome del popolo venezuelano, allineandosi a una narrativa che collocava forzatamente figure come Machado e Leopoldo López come “eroi” contro quella che definiva una “tirannia”.

Quello stesso anno, dopo la inabilitazione politica della Machado, Díaz-Balart intensificò le sue dichiarazioni definendo i tribunali venezuelani una “farsa” ed esigendo dal Senato USA una maggiore celerità nell’imposizione di misure coercitive.

I suoi discorsi non erano meri gesti simbolici: facevano parte di una più ampia strategia di pressione legislativa. Díaz-Balart fu un forte promotore della Legge di Solidarietà con la Libertà e la Democrazia Venezuelana (H.R. 4229), il cui scopo era quello di istituzionalizzare sanzioni economiche e politiche contro il governo venezuelano.

L’uso del concetto di “transizione democratica” servì come giustificazione per bloccare fondi, ostacolare le operazioni finanziarie del paese e isolarne i legami internazionali.

Il suo allineamento con le frange più radicali dell’opposizione venezuelana si rafforzò con Juan Guaidó, nel 2019. Dopo l’autoproclamazione, il deputato celebrò apertamente le sanzioni imposte dall’amministrazione Trump al settore petrolifero venezuelano.

Con le sue stesse parole: “Queste sanzioni paralizzeranno il settore petrolifero statale, impedendo al regime di finanziare il terrorismo globale, il narcotraffico e la repressione del proprio popolo. Mi congratulo ancora una volta con l’amministrazione Trump per il suo audace ruolo di leadership, per essere al fianco del popolo venezuelano e opporsi agli oppressori del regime di Maduro. Il tempo sta per scadere per il regime di Chávez-Maduro”.

Sostenendo sanzioni che hanno bloccato l’accesso del paese a valuta estera, alimenti, medicinali e combustibili, Díaz-Balart ha assunto un ruolo centrale nella strategia di soffocamento economico del Venezuela all’interno dello schema di “massima pressione”.

In definitiva, le sue posizioni mostrano che fa parte di una rete politico-legislativa che, da Washington, ha promosso e sostenuto un’agenda ostile, allineata ai settori più radicali della comunità cubano-statunitense e del complesso interventista con sede a Miami.


Conociendo al enemigo: Mario Díaz-Balart

En un reportaje publicado por Axios se reveló el rol clave que desempeñaron los congresistas republicanos del sur de FloridaMario Díaz-Balart, Carlos Giménez y María Elvira Salazaen el proceso que llevó a la cancelación de la Licencia General 41, que permitía a Chevron operar en Venezuela bajo ciertas condiciones.

Apodados como “los cubanos locos” por el presidente de la Cámara, Mike Johnson, estos legisladores forman un bloque intransigente en temas vinculados con Cuba, Nicaragua y Venezuela.

La publicación también destacó una conversación telefónica entre Díaz-Balart y Donald Trump en la que el congresista recordó al presidente sus compromisos de campaña respecto al endurecimiento de las sanciones contra Venezuela, criticando las decisiones de la administración Biden.

Se abre el telón

Mario Díaz-Balart, congresista por el estado de Florida desde 2002, es una figura emblemática del sector republicano más conservador en temas de política exterior hacia América Latina. Proveniente de una familia cubano-estadounidense con una larga trayectoria política, su carrera ha estado marcada por un discurso agresivo contra los gobiernos de Cuba, Nicaragua y Venezuela.

Esta postura no es fortuita. Florida, con su alta concentración de población migrante latinoamericana —particularmente de origen caribeño—, impone una lógica electoral en la que resulta casi ineludible que cualquier representante político recurra a una retórica incendiaria. Se trata de conectar con las sensibilidades de un electorado moldeado por años de narrativas manipuladas, donde el discurso agresivo contra gobiernos como el de Venezuela se convierte en moneda común para capitalizar apoyo político.

De hecho, en 2013 Díaz-Balart fue uno de los promotores de una propuesta bipartidista de reforma migratoria que, aunque presentada como un avance, se centraba principalmente en reforzar la securitización de las fronteras y en endurecer el cumplimiento de leyes que históricamente han tenido un sesgo racial. Estas medidas, lejos de beneficiar a la población latina —que representa una parte esencial del tejido social y económico de ese estado sureño—, reforzaban una visión punitiva y discriminatoria del fenómeno migratorio.

Su trayectoria política está enmarcada en un discurso beligerante contra los gobiernos considerados “adversarios” de Washington, siguiendo su legado político-familiar.

“La dinastía”

El congresista pertenece a una de las familias influyentes del denominado “exilio cubano” en Estados Unidos.

Su ascendencia está marcada por una trayectoria política que se remonta a la Cuba prerrevolucionaria. Es hijo de Rafael Díaz-Balart, quien fue una figura prominente en la dictadura de Fulgencio Batista al ocupar el cargo de líder de la mayoría en la Cámara de Representantes de Cuba entre 1954 y 1958, además de haber sido viceministro del temido Ministerio del Interior.

La familia Díaz-Balart no solo estuvo íntimamente ligada con el poder político de la época sino también con los intereses económicos estadounidenses en la isla, como lo muestra el hecho de que el abuelo, Rafael José Díaz-Balart, fue alcalde de Banes —una localidad clave para la United Fruit Company y asesor corporativo de esta transnacional.

Desde joven el abuelo se consolidó como líder de un grupo estudiantil de apoyo a Batista, militancia que refuerza la impronta dictatorial de aquel entonces de la familia.

Ahora bien, existe una particularidad que marca la historia de este linaje: su vínculo con la Revolución Cubana.

Mario es sobrino político de Fidel Castro ya que su tía, Mirta Díaz-Balart, fue la primera esposa del líder revolucionario y madre de su hijo mayor. Así que, pese a los lazos consanguíneos que lo vinculan directamente con Castro, el congresista ha asumido una postura política frontalmente opuesta y se ha convertido en uno de los voceros más férreos de la narrativa contrarrevolucionaria impulsada por los sectores más conservadores de la diáspora cubana.

En el contexto político en Miami, los Díaz-Balart lograron reconstruir su poder político y simbólico. Se convirtieron para la comunidad cubano-estadounidense de Miami-Dade.

Así que uno de sus hijos, Lincoln Díaz-Balartfue elegido en 1986 para la legislatura estatal de Florida y en 1992 al Congreso, donde permaneció hasta 2011. Le siguió su segundo hijo, Mario, en el Congreso en 2002, con lo cual mantuvieron representación familiar en la política estadounidense desde el brazo legislativo.

La influencia de esta familia no se limita a la política. Otro de los hijos, Rafael Díaz-Balart Jr., ha hecho carrera en el mundo financiero como banquero de inversiones, mientras que José Díaz-Balart se consolidó como una figura mediática de referencia, siendo presentador de noticias en Telemundo y NBC.

La diversidad de sus trayectorias profesionales fortalece el capital simbólico del apellido Díaz-Balart en el sur de Florida.

Dentro del Congreso, Lincoln se destacó como uno de los más fervientes impulsores del embargo contra Cuba. En alianza con otras figuras como Ileana Ros-Lehtinen, Connie Mack y Robert Torricelli, presionó en los años noventa al presidente Bill Clinton para que endureciera las sanciones económicas ilegales sobre la isla, bajo el pretexto de supuestas violaciones a los derechos humanos.

Su hermano, Mario, heredó esta línea política, aunque también ha mostrado una veta pragmática, particularmente en temas de migración.

Agenda contra Venezuela

Desde su curul en el Congreso de Estados Unidos Mario Díaz-Balart ha sido uno de los rostros más visibles y constantes de la política de presión sistemática contra Venezuela.

Su discurso gira en torno al respaldo a la oposición extremista, y sus acciones concretas han sido funcionales a una agenda de desestabilización y sanciones ilegales.

Uno de los vínculos más antiguos y visibles de Díaz-Balart ha sido con la dirigente María Corina Machado. Ya en 2014 el congresista republicano reconocía públicamente haber recibido una “sentida nota” de Machado en la que agradecía el respaldo de su oficina a los intentos de cambio de régimen. 

El congresista aprovechó la ocasión para declararse “honrado” de hablar en su nombre y en el del pueblo venezolano, alineándose con una narrativa que situaba de manera forzada y predecible a figuras como Machado y Leopoldo López como “héroes” frente a lo que él denominaba una “tiranía”.

Ese mismo año, tras la inhabilitación de Machado, Díaz-Balart intensificó sus declaraciones calificando a los tribunales venezolanos de “farsa” y exigiendo al Senado estadounidense mayor celeridad en la imposición de las medidas coercitivas.

Sus discursos en ese entonces no eran simples gestos simbólicos, formaban parte de una estrategia más amplia de presión legislativa. Díaz-Balart fue un férreo promotor de la Ley de Solidaridad con la Libertad y la Democracia Venezolanas (H.R. 4229), cuyo objetivo era institucionalizar sanciones económicas y políticas contra el gobierno venezolano.

El uso de la “transición democrática” sirvió de justificación para bloquear fondos, afectar operaciones financieras del país y cercar sus vínculos internacionales.

Su alineación con las fracciones más radicales de la oposición venezolana se fortaleció con Juan Guaidó en 2019. Tras la autoproclamación, el congresista celebró abiertamente las sanciones impuestas por la administración Trump al sector petrolero venezolano.

En sus propias palabras: “Estas sanciones paralizarán el sector petrolero estatal, impidiendo que el régimen financie el terrorismo mundial, el narcotráfico y la represión contra su propio pueblo. Felicito a la Administración Trump una vez más por el audaz liderazgo de hoy al estar junto al pueblo de Venezuela y oponerse a sus opresores del régimen de Maduro. El tiempo se acaba para el régimen de Chávez-Maduro”.

Al respaldar sanciones que bloquearon el acceso del país a divisas, alimentos, medicinas y combustibles, Díaz-Balart asumió un rol central en la arquitectura de asfixia económica contra Venezuela dentro del esquema de la “máxima presión”.

En definitiva, sus posiciones revelan que forma parte de una red político-legislativa que, desde Washington, ha impulsado y sostenido una agenda hostil alineada con los sectores más radicales cubano-estadounidense y del complejo de la intervención extranjera con sede en Miami.

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