Cuba: collaborazionismo e post verità

José Manzaneda, coordinatore di Cubainformación

Il collaborazionismo è una forma di tradimento basata sulla cooperazione con le forze nemiche durante una guerra o un’occupazione (1).

Cuba subisce forme specifiche di entrambe le aggressioni (guerra e occupazione), da parte della più grande potenza militare e finanziaria del mondo: gli USA. La guerra è non convenzionale e principalmente economica, attraverso un blocco che ferma le entrate, i crediti e gli investimenti del Paese, con una minaccia costante di intervento militare (2). Per quanto riguarda l’occupazione, questa è in atto in una parte del territorio cubano: la Baia di Guantánamo (3).

Pertanto, i cubani che appoggiano pubblicamente questa politica USA contro il loro Paese e, inoltre, ricevono risorse economiche dal nemico, possono essere definiti, senza il minimo dubbio, collaborazionisti. Di fatto autori di un grave crimine a Cuba, negli USA e in qualsiasi altro Paese del mondo (4).

Tuttavia, la stampa corporativa preferisce riferirsi a queste persone come “dissidenti”, “oppositori” o “perseguitati politici” (5).

Collaborazionismo

È il caso di José Daniel Ferrer che, dopo la sua recente liberazione dal carcere cubano, è stato esaltato da decine di media come “leader dell’opposizione” imprigionato “per motivi politici” (6). Davvero? Vogliamo fornire alcuni elementi informativi che non sono passati attraverso il filtro della censura.

Ferrer collabora con la politica di aggressione degli USA contro il suo Paese. Pochi giorni fa ha partecipato, online, ad una manifestazione a Washington, indetta (ascoltate bene) “per chiedere ‘azioni concrete’ da parte del nuovo governo statunitense contro il regime dell’isola”, tra cui la totale asfissia economica oltre a dichiarare “Cuba come ‘pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti’”, che potrebbe preludere ad un intervento militare. Una richiesta, tra l’altro, che è stata ribadita in coro durante tutta la manifestazione (7).

In una recente intervista, Ferrer ha dato il suo pieno appoggio alla politica di guerra economica contro Cuba di Donald Trump e Marco Rubio. Li ha invitati ad essere “fermi con il regime” (8) e ha sostenuto l’inclusione di Cuba nella “lista dei Paesi che promuovono il terrorismo”, la cui rimozione farebbe solo “un grande favore alle sue finanze” (9). Ricordiamo che l’inclusione in questa lista e le 243 sanzioni applicate da Trump cinque anni fa hanno polverizzato l’economia cubana e causato l’impoverimento di milioni di persone sull’isola.

Infatti, una delle prime persone a parlare con Ferrer dopo il suo rilascio dal carcere è stato il senatore repubblicano della Florida Rick Scott (10) che, giorni dopo, ha invitato Trump a inasprire le sanzioni economiche e a “chiudere il flusso di denaro” verso Cuba (11).

Mercenarismo

L’attività di José Daniel Ferrer e del suo gruppo UNPACU è stata finanziata per anni dal governo statunitense. Il canale principale è la Fondazione nazionale cubano-americana di Miami, che riceve ingenti fondi governativi, oltre 30 milioni di dollari all’anno, per la “democrazia a Cuba” (12). Ferrer non è quindi solo un collaborazionista. È anche un mercenario.

Fonti esperte

È curioso come, organizzazioni che sono anche, in modo provato, sostenute da questi fondi della Casa Bianca, come l’Osservatorio cubano per i diritti umani (13), e altre che, secondo numerosi analisti, lo fanno in modo nascosto e triangolato, come Prisoners Defenders (14), siano le “fonti esperte” utilizzate dai media mainstream per avvicinarci al caso Ferrer (15).

Sequestri e bugie

Ma ricordiamo che José Daniel Ferrer è stato condannato, nel 2020, non per mercenarismo, ma per il sequestro, la tortura e l’aggressione fisica di un suo ex collaboratore, che lo aveva denunciato alle autorità (16). Questo “tenace difensore della lotta non violenta” (17) (così lo descrive una delle tante note) ha una lunga storia di violenza maschilista, contro tre delle sue ex compagne (18). Nel 2016, Ferrer ha rivendicato con orgoglio uno dei tanti attacchi contro la dissidenza nella sua stessa organizzazione: “Ho affrontato il diffamatore e calunniatore Roberto Ayala, e siccome non mi piace – né voglio – essere un politico tradizionale, l’ho preso a pugni. Ho assunto il problema personalmente e l’ho buttato fuori a pugni” (19).

Stranamente, nulla di tutto ciò appare nella stampa corporativa, che invece dà credibilità alle sue accuse di presunte torture in carcere (20). Nemmeno il fatto che, nel 2019, un video mostri Ferrer che si autolesiona in carcere sbattendo la testa contro un tavolo (21), ha messo in dubbio l’onestà di questo personaggio nelle redazioni.

Vi immaginate se i collaborazionisti, condannati in Francia nel 1945, fossero oggi presentati dalla stampa come perseguitati politici (22)? Nell’era della post-verità, non dobbiamo più stupirci di nulla.

Cuba: colaboracionismo y posverdad

José Manzaneda, coordinador de Cubainformación.-

El colaboracionismo es una forma de traición basada en la cooperación con las fuerzas enemigas durante una guerra o una ocupación (1).

Cuba sufre formas específicas de ambas agresiones (guerra y ocupación), por parte de la mayor potencia militar y financiera del mundo: EEUU. La guerra es de tipo no convencional y principalmente económica, mediante un bloqueo que tapona los ingresos, créditos e inversiones del país, con una amenaza de intervención militar siempre presente (2). En cuanto a la ocupación, esta se da en una parte del territorio cubano: la bahía de Guantánamo (3).

Por ello, a aquellos cubanos o cubanas que apoyan públicamente esta política de EEUU contra su país y, además, reciben recursos económicos del enemigo, se les puede denominar, sin la menor duda, colaboracionistas. Autores de un grave delito en Cuba, en EEUU y en cualquier otro país del mundo (4).

Sin embargo, la prensa corporativa prefiere referirse a estas personas como “disidentes”, “opositores” o “perseguidos políticos” (5).

Colaboracionismo

Es el caso de José Daniel Ferrer quien, tras su reciente salida de la cárcel en Cuba, ha sido ensalzado, en decenas de medios, como un “líder opositor” encarcelado “por motivos políticos” (6). ¿De verdad? Aportemos algunos elementos informativos que no han pasado el filtro de la censura.

Ferrer colabora con la política de agresión de EEUU a su país. Hace unos días, intervenía, vía on line, en una concentración en Washington, convocada (oigan bien) “para demandar al nuevo Gobierno de EEUU `acciones concretas´ contra el régimen de la Isla”, entre ellas la asfixia económica total y la declaración de “Cuba como `un peligro para la seguridad nacional de EEUU´”, lo que podría ser la antesala de una intervención militar. Reclamo, por cierto, que fue repetidamente coreado durante todo el acto (7).

En una entrevista reciente, Ferrer daba su apoyo total a la política de guerra económica contra Cuba de Donald Trump y Marco Rubio. Les pedía mostrarse “firmes ante el régimen” (8) y apoyaba la inclusión de Cuba en “la lista de países promotores del terrorismo”, cuya salida solo le haría “un gran favor a sus finanzas” (9). Recordemos: la inclusión en esta lista y las 243 sanciones aplicadas por Trump hace cinco años han pulverizado la economía cubana y provocado el empobrecimiento de millones de personas en la Isla.

De hecho, una de las primeras personas que habló con Ferrer tras su excarcelación fue el senador republicano de Florida Rick Scott (10) quien, días después, pedía a Trump endurecer las sanciones económicas y “cerrar el flujo de dinero” a Cuba (11).

Mercenarismo

La actividad de José Daniel Ferrer y de su grupo UNPACU está financiada, desde hace años, por el Gobierno de EEUU. La principal vía es la Fundación Nacional Cubano-Americana de Miami, que recibe cuantiosos fondos gubernamentales de la partida de más de 30 millones de dólares anuales para la “democracia en Cuba” (12). Por tanto, Ferrer no solo es un colaboracionista. Además, es un mercenario.

Fuentes expertas

Curiosamente, organizaciones que también son sostenidas, de manera probada, por dichos fondos de la Casa Blanca, como el Observatorio Cubano de Derechos Humanos (13), y otras que, según numerosos analistas, lo hacen de forma oculta y triangulada, como Prisoners Defenders (14), son las “fuentes expertas” que utilizan los grandes medios para acercarnos al caso Ferrer (15).

Secuestros y mentiras

Pero recordemos: José Daniel Ferrer fue condenado, en 2020, no por mercenarismo, sino por el secuestro, tortura y agresión física a uno de sus excolaboradores, que lo denunció a las autoridades (16). Este “tenaz defensor de la lucha no violenta” (17) (así lo describe una de tantas notas) tiene un amplio historial de violencia machista, contra tres de sus exparejas (18). En 2016, Ferrer reivindicaba, orgulloso, una de tantas agresiones contra la disidencia en su propia organización: “Enfrenté al difamador y calumniador Roberto Ayala, y como no me gusta -ni quiero- ser político a lo tradicional, lo saqué de aquí a puñetazos. Me tomé el problema para mí y lo saqué de aquí a puñetazos” (19).

Curiosamente, nada de esto aparece en la prensa corporativa, que sí otorga credibilidad a sus acusaciones sobre supuestas torturas en prisión (20). Que, en 2019, un video mostrara a Ferrer autolesionándose en prisión, dándose cabezazos contra una mesa (21), tampoco ha puesto en duda, en las redacciones, la honestidad de este personaje.

¿Se imaginan que los colaboracionistas, condenados en Francia en 1945, fueran hoy presentados en la prensa como perseguidos políticos (22)? En la era de la posverdad, no nos extrañemos ya de nada.

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Cuba: colaboracionismo y posverdad

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