L’America Latina ha vissuto profonde trasformazioni nelle ultime due decadi del XX secolo. Uno dei fenomeni più rilevanti è stato la significativa crescita delle Chiese evangeliche, in particolare di orientamento pentecostale e neopentecostale. Sebbene diversi fattori interni — crisi sociali, svuotamento della Chiesa cattolica e la ricerca di esperienze religiose più personali — abbiano contribuito a questo processo, ci furono anche influenze esterne, di natura politica e strategica, che giocarono un ruolo cruciale.
In questo contesto spiccano i Documenti di Santa Fe I (1980) e Santa Fe II (1988), redatti da settori conservatori della politica e dei servizi di intelligence USA con l’obiettivo di orientare la politica estera del paese nei confronti dell’America Latina durante la Guerra Fredda. Tali documenti furono elaborati in incontri svoltisi nella città di Santa Fe, nel Nuovo Messico (USA), e non solo contengono una critica feroce alla Teologia della Liberazione, ma anche una proposta di azioni pratiche che finirono per rafforzare i movimenti evangelici nella regione.
Santa Fe I e II
Nel maggio del 1980, il governo USA, allora presieduto da Jimmy Carter, pubblicò il Documento di Santa Fe I, intitolato Una nuova politica interamericana per gli anni Ottanta. Durante l’amministrazione di Ronald Reagan fu pubblicato il Documento di Santa Fe II, con il titolo Una strategia per l’America Latina negli anni Novanta.
I firmatari dei due documenti affermano che “il regime democratico è quello in cui il governo ha la responsabilità di preservare la società vigente da attacchi esterni o dall’intromissione permanente dell’apparato statale”. In altre parole, ridurre al minimo l’intervento dello Stato nell’economia. In pratica: privatizzare, privatizzare, privatizzare. Ciò che il capitalismo tenta di nascondere è che la maggior parte delle privatizzazioni viene finanziata con denaro pubblico.
Nel contesto della Guerra Fredda, i documenti mettevano in guardia contro l’ “offensiva culturale marxista”, affermando che “per i teorici marxisti, il metodo più promettente per creare un regime statalista in un ambiente democratico consiste nella conquista della cultura della nazione. Secondo tale modello, tutti i movimenti marxisti in America Latina sono stati guidati da intellettuali e studenti, e non da lavoratori”.
Ciò spiega l’orrore che la destra prova nei confronti degli intellettuali e degli scienziati. Preferisce le persone analfabete o semi-analfabete, più facili da manipolare.
Il Documento di Santa Fe II sottolinea che, in tale contesto, “la Teologia della Liberazione deve essere intesa come una dottrina politica mascherata da credenza religiosa, con un significato anti-papale e contraria alla libera impresa, il cui scopo è indebolire l’indipendenza della società”.
All’epoca, il papa era Giovanni Paolo II, un polacco anticomunista, alleato di Reagan. Oggi, senza dubbio, non si parlerebbe più di “significato anti-papale”, dato che anche alcuni vescovi statunitensi considerano papa Francesco “comunista”.
Il contesto della Guerra Fredda e la preoccupazione yankee
Durante la Guerra Fredda, gli USA vedevano l’America Latina come una regione strategica per contenere l’espansione del socialismo. Dopo la Rivoluzione cubana del 1959, aumentò il timore che altri paesi latinoamericani seguissero lo stesso percorso e instaurassero regimi socialisti. L’ascesa della Teologia della Liberazione negli anni ’60 e ’70 — un movimento interno al cattolicesimo che combina la fede cristiana con analisi marxiste della società e difende la lotta contro l’oppressione e l’ingiustizia sociale — cominciò a destare crescente preoccupazione tra i settori conservatori USA, sia del governo che dei centri studi e settori religiosi.
Il primo documento, noto come Santa Fe I, fu redatto nel 1980 da un gruppo di consulenti conservatori di politica estera legati a Ronald Reagan. L’obiettivo era fornire linee guida per l’azione degli USA in America Latina di fronte all’avanzata del marxismo e dei movimenti rivoluzionari. Il testo contiene una critica diretta alla Teologia della Liberazione, definendola uno strumento ideologico del marxismo infiltrato nella Chiesa cattolica. Gli autori sostenevano che sacerdoti e vescovi progressisti, ispirati a tale teologia, incentivassero la lotta di classe, la disobbedienza civile e la rivoluzione armata.
Il documento difende la necessità di contenere tali influenze ideologiche attraverso una “ristrutturazione culturale” che includesse l’incentivazione di forme alternative di cristianesimo. Sebbene il testo non menzioni esplicitamente il sostegno alle Chiese evangeliche, la logica sottesa è chiara: era necessario promuovere forme di religiosità anticomuniste, individualiste, “apolitiche” e allineate ai valori del “mondo libero” capitalista. Le Chiese evangeliche pentecostali si adattavano perfettamente a tale profilo, poiché enfatizzano la salvezza personale, la prosperità individuale, l’autorità biblica e il rifiuto di ideologie politiche considerate sovversive.
Santa Fe II, pubblicato nel 1988, in pieno governo Reagan, riafferma e approfondisce queste direttive. Il nuovo documento torna a criticare la Teologia della Liberazione, definendola una minaccia alla stabilità politica e all’influenza degli USA in America Latina. Inoltre, mette in guardia sul ruolo delle università cattoliche, delle ONG e di altre istituzioni legate alla Chiesa nella diffusione di idee “marxiste”. La soluzione proposta segue la stessa linea: indebolire l’influenza di tali correnti attraverso il rafforzamento della “guerra culturale”, promuovendo valori tradizionali, religiosi e filo-occidentali.
Sebbene i Documenti di Santa Fe non sostengano esplicitamente il finanziamento o l’impianto di Chiese evangeliche, nella pratica tali direttive furono interpretate e rese operative da varie agenzie e gruppi di azione diretta. Missioni evangeliche USA come il Summer Institute of Linguistics (Istituto Linguistico d’Estate) e organizzazioni pentecostali come le Asambleas de Dios (Assemblee di Dio) ricevettero incentivi diretti e indiretti per espandere la propria attività in America Latina, soprattutto in aree indigene e povere, tradizionalmente trascurate dalla Chiesa cattolica.
Il sostegno includeva esenzioni fiscali, visti per i missionari e finanziamenti da parte di fondazioni conservatrici USA. Tali Chiese e missioni erano considerate alleate ideologiche, poiché promuovevano valori come la disciplina, l’obbedienza, la morale conservatrice e l’anticomunismo. E la loro penetrazione nelle comunità carenti contribuiva a smobilitare i movimenti di base influenzati dalla Teologia della Liberazione, spostando il centro della lotta politica verso questioni spirituali ed individuali.
L’attacco alla Teologia della Liberazione
La strategia delineata nei Documenti di Santa Fe si rivelò efficace nel medio e lungo periodo. A partire dagli anni ’80, diversi fattori contribuirono all’indebolimento della Teologia della Liberazione: la repressione dei regimi autoritari, la censura del Vaticano sotto il pontificato di Giovanni Paolo II e l’ascesa di dirigenti ecclesiastici conservatori in diverse diocesi. Anche la pressione USA, sia diretta che indiretta, giocò un ruolo importante. Al contempo, la crescita esponenziale delle Chiese evangeliche trasformò il panorama religioso latinoamericano.
Il discorso di queste Chiese, incentrato sull’esperienza personale di conversione, sulla promessa di prosperità e sul rifiuto delle ideologie politiche, contrasta con la proposta di trasformazione strutturale della Teologia della Liberazione. Molti fedeli vi trovarono un’alternativa più immediata ed emozionale alle proprie angosce, allontanandosi dai discorsi sulla lotta di classe e sulla mobilitazione politica.
L’impatto dei Documenti di Santa Fe e della strategia da essi ispirata continua ad essere evidente. L’America Latina, che fino a metà del XX secolo era a maggioranza cattolica, è passata ad avere una presenza evangelica sempre più forte. Molti paesi hanno visto l’ascesa di dirigenti politici legati a Chiese evangeliche, portatori di una visione del mondo fortemente conservatrice e allineata ai valori tradizionali.
Inoltre, il declino della Teologia della Liberazione ha lasciato spazio a una nuova configurazione religiosa e politica, caratterizzata da una minore presenza delle Comunità Ecclesiali di Base e da un maggiore protagonismo di Chiese con discorsi incentrati sulla prosperità, sul combattimento ai “nemici spirituali” e sulla negazione della politica come strumento di trasformazione sociale.
Conclusione
I Documenti di Santa Fe I e II sono più che semplici rapporti di analisi politica. Sono strumenti strategici che hanno contribuito a modellare il panorama religioso e ideologico dell’America Latina nelle ultime decadi del XX secolo e all’inizio del XXI. Identificando la Teologia della Liberazione come nemica e promuovendo una ristrutturazione culturale della regione, hanno contribuito direttamente all’ascesa delle Chiese evangeliche come alternativa ideologica e spirituale.
Pur non essendone l’unica causa, hanno svolto un ruolo decisivo nel mettere insieme interessi geopolitici, religiosi e culturali in un fronte comune contro quella che veniva percepita come la “minaccia del marxismo teologico”. Il risultato è stata una profonda trasformazione del tessuto religioso latinoamericano, i cui effetti si fanno sentire ancora oggi.
Los Documentos de Santa Fe y el perfil religioso de la América Latina
Frei Betto
La América Latina experimentó profundas transformaciones en las dos últimas décadas del siglo XX. Uno de los fenómenos más notables fue el significativo crecimiento de las Iglesias evangélicas, especialmente las de orientación pentecostal y neopentecostal. Aunque diversos factores internos –crisis sociales, vaciamiento de la Iglesia Católica y la búsqueda de experiencias religiosas más personales— contribuyeron con ese proceso, también tuvo influencias externas, políticas y estratégicas que desempeñaron un papel crucial.
En ese sentido se destacan los Documentos de Santa Fe I (1980) y Santa Fe II (1988), producidos por sectores conservadores de la política y los servicios de inteligencia de los Estados Unidos, con el objetivo de orientar la política exterior del país con respecto a la América Latina durante la Guerra Fría. Esos documentos fueron elaborados en reuniones celebradas en la ciudad de Santa Fe, Nuevo México (EE.UU.) y no solo contienen una crítica contundente a la Teología de la Liberación, sino también una propuesta de acciones prácticas que terminaron fortaleciendo los movimientos evangélicos en la región.
Los documentos pueden encontrarse aquí.
Santa Fe I y II
En mayo de 1980 el gobierno de los Estados Unidos, entonces presidido por Jimmy Carter, emitió el Documento de Santa Fe I, con el título de Una nueva política interamericana para los años ochenta. Y durante el gobierno de Ronald Reagan se publicó el Documento de Santa Fe II, titulado Una estrategia para la América Latina en los años noventa.
Los signatarios de los dos documentos afirman que “el régimen democrático es aquel en el que el gobierno tiene la responsabilidad de preservar la sociedad vigente de ataques externos o de la intromisión permanente del aparato estatal”. O sea, reducir al máximo la intervención del Estado en la economía. En la práctica, privatizar, privatizar, privatizar. Lo que el capitalismo intenta esconder es que la mayoría de las privatizaciones se financia con dinero público.
En el contexto de la Guerra Fría, los documentos alertaban sobre la “ofensiva cultural marxista”, al afirmar que “para los teóricos marxistas, el método más prometedor para crear un régimen estatista en un ambiente democrático consiste en la conquista de la cultura de la nación. De acuerdo con ese modelo, todos los movimientos marxistas en la América Latina han estado encabezados por intelectuales y estudiantes, y no por trabajadores”.
Eso explica el horror que siente la derecha por los intelectuales y los científicos. Prefiere a las personas analfabetas o semianalfabetas, más fáciles de manipular.
El Documento de Santa Fe II señala que, en ese contexto, “la Teología de la Liberación debe entenderse como una doctrina política disfrazada de creencia religiosa con un significado antipapal y contraria a la libre empresa, cuyo propósito es debilitar la independencia de la sociedad”.
En esa época, el papa era Juan Pablo II, un polaco anticomunista, aliado de Reagan. Hoy, sin dudas, no aparecería lo del “significado antipapal”, ya que al papa Francisco hasta algunos obispos estadounidenses lo consideran “comunista”.
El contexto de la Guerra Fría y la preocupación yanqui
Durante la Guerra Fría los Estados Unidos veían a la América Latina como una región estratégica para la contención de la expansión del socialismo. Después de la Revolución Cubana en 1959 aumentó el temor de que otros países latinoamericanos siguieran el mismo camino e instauraran regímenes socialistas. El auge de la Teología de la Liberación en las décadas de 1960 y 1970 –un movimiento al interior del catolicismo que combina la fe cristiana con análisis marxistas de la sociedad y defiende la lucha contra la opresión y la injusticia social— comenzó a ser visto con una creciente preocupación por sectores conservadores de los Estados Unidos, tanto del gobierno como de think tanks y sectores religiosos.
El primer documento, conocido como Santa Fe I, fue elaborado en 1980 por un grupo de asesores conservadores de política exterior vinculados a Ronald Reagan. Su objetivo era brindar directrices para la actuación norteamericana en la América Latina ante el avance del marxismo y de movimientos revolucionarios. El texto contiene una crítica directa a la Teología de la liberación, a la que califica de herramienta ideológica del marxismo infiltrada en la Iglesia Católica. Los autores alegaban que sacerdotes y obispos progresistas, inspirados en esa teología, incentivaban la lucha de clases, la desobediencia civil y la revolución armada.
El documento defiende la necesidad de contener esas influencias ideológicas mediante una “reorientación cultural” que incluya un incentivo a formas alternativas del cristianismo. Aunque el texto no menciona explícitamente el apoyo a Iglesias evangélicas, la lógica subyacente es clara: era neesario promover formas de religiosidad anticomunistas, individualistas, “apolíticas” y alineadas con los valores del “mundo libre” capitalista. Las Iglesias evangélicas pentecostales se ajustaban perfectamente a ese perfil., dado que enfatizan la salvación personal, la prosperidad individual, la autoridad bíblica y el rechazo a ideologías políticas consideradas subversivas.
Santa Fe II, publicado en 1988, en pleno gobierno Reagan, reafirma y profundiza esas directrices. El nuevo documento vuelve a criticar la Teología de la Liberación, calificándola de amenaza a la estabilidad política y a la influencia de los Estados Unidos en la América Latina. Además, alerta sobre el papel de las universidades católicas, las ONG y otras instituciones vinculadas a la Iglesia en la difusión de ideas “marxistas”. La solución propuesta sigue en la misma línea: debilitar la influencia de esas corrientes mediante un reforzamiento de la “guerra cultural”, promoviendo valores tradicionales, religiosos y proccidentales.
Aunque los Documentos de Santa Fe no defienden explícitamente el financiamiento o la implantación de Iglesias evangélicas, en la práctica esas directrices las interpretan y operacionalizan diversas agencias y grupos de acción directa. Misiones evangélicas norteamericanas como el Instituto Lingüístico de Verano (Summer Institute of Linguistics) y organizaciones pentecostales como las Asambleas de Dios recibieron incentivos directos e indirectos para expandir su actividad en la América Latina, especialmente en regiones indígenas y pobres, tradicionalmente abandonadas por la Iglesia Católica.
El apoyo incluía desde exenciones fiscales y visas para los misioneros hasta financiamientos por parte de fundaciones conservadoras estadounidenses. Esas Iglesias y misiones eran consideradas aliadas ideológicas, porque promovían valores como la disciplina, la obediencia, la moral conservadora y el anticomunismo. Y su penetración en comunidades carenciales contribuía a desmovilizar a movimientos de base influenciados por la Teología de la Liberación, al desviar el centro de la lucha política hacia cuestiones espirituales e individuales.
El ataque a la Teología de la Liberación
La estrategia delineada en los documentos de Santa Fe demostró ser eficaz a mediano y largo plazos. A partir de la década de 1980, diversos factores contribuyeron al debilitamiento de la Teología de la Liberación: la represión de regímenes autoritarios, la censura del Vaticano bajo el pontificado de Juan Pablo II y el ascenso de líderes eclesiásticos conservadores en varias diócesis. La presión estadounidense, tanto directa como indirecta, también desempeñó un papel importante. Al mismo tiempo, el crecimiento exponencial de las Iglesias evangélicas transformó el panorama religioso latinoamericano.
El discurso de esas Iglesias, centrado en la experiencia personal de conversión, la promesa de prosperidad y el rechazo a las ideologías políticas, contrasta con la propuesta de transformación estructural de la Teología de la Liberación. Muchos fieles encontraron en ellas una alternativa más inmediata y emocional a sus angustias, a la vez que se apartaban de los discursos de lucha de clases y movilización política.
El impacto de los Documentos de Santa Fe y de la estrategia que inspiraron sigue siendo eficaz. La América Latina, que hasta mediados del siglo XX era mayoritariamente católica, pasó a tener una presencia evangélica cada vez más fuerte. Muchos países asistieron al ascenso de líderes políticos vinculados a Iglesias evangélicas, que expresaban una visión del mundo fuertemente conservadora y alienada con los valores tradicionales.
Además, la declinación de la Teología de la Liberación le abrió espacio a una nueva configuración religiosa y política, marcada por una menor presencia de las Comunidades Eclesiales de Base y un mayor protagonismo de Iglesias con discursos centrados en la prosperidad, el combate a los “enemigos espirituales” y la negación de la política como instrumento de transformación social.
Conclusión
Los Documentos de Santa Fe I y II son más que simples informes de análisis político. Son instrumentos estratégicos que ayudaron a amoldar el panorama religioso e ideológico de la América Latina en las últimas décadas del siglo XX e inicios del XXI. Al identificar a la Teología de la Liberación como enemiga y defender una reorientación cultural en la región, contribuyeron directamente al auge de las Iglesias evangélicas como alternativa ideológica y espiritual.
Aunque no fueron la única causa de ese fenómeno, desempeñaron un papel decisivo al reunir intereses geopolíticos, religiosos y culturales en un frente común contra lo que se percibía como la “amenaza del marxismo teológico”. El resultado fue una profunda transformación del tejido religioso latinoamericano, cuyos efectos siguen reverberando hasta hoy.