V.A. Fernandez https://lapupilainsomne.wordpress.com
Secondo il dizionario della Real Academia Española della Lingua, per la definizione del termine “dialogo” possono leggersi questi tre significati:
1. Conversazione tra due o più persone che alternativamente esprimono le loro idee o emozioni.
2. Opera letteraria, in prosa o in versi, in cui si finge una discussione o controversia tra due o più personaggi.
3. Discussione o trattamento alla ricerca di un accordo.
Soprattutto, desidero fare riferimento alla prima e alla terza, poiché credo, sono le varianti che, negli ultimi tempi, sono andati segnando l’interscambio tra i rappresentanti di Cuba e le loro controparti negli USA.
E’ importante che molte persone non dimentichino queste varianti, poiché se si leggono molti mezzi stampa, sembrerebbe che in queste conversazioni, solo la parte settentrionale ha qualcosa da dire, qualcosa da rivendicare e qualcosa per cui suggerire un cambiamento.
Lo scorso 26 gennaio, ho pubblicato proprio qui l’articolo “Cuba-USA: Una domanda diversa per Roberta Jacobson” motivato dal dal fatto che ogni momento usciva la domanda su come si aveva affrontato la questione della violazione dei diritti umani a Cuba. Gli articoli di stampa che giravano sul tema condannavano implicitamente Cuba come se gli aggrediti dalla polizia USA o le maltrattate minoranze sociali o gli immigrati ai confini di muri e fili spinati, al di là della divisione naturale che offre il Rio Bravo, non fossero umani o non avessero diritti.
E torno al tema, perché a proposito dell’apertura dell’Ambasciata di Cuba, lo scorso 20 luglio e le attività che deve svolgere il Segretario di Stato, John Kerry, sull’isola, con simile scopo il prossimo 14 agosto, quasi tutti i giorni escono avvertenze circa l’impossibilità di miglioramento delle relazioni, se in precedenza non si soddisfano i reclami sui beni espropriati in Cuba dalle leggi del Governo Rivoluzionario.
Ad esempio, un articolo del per nulla edificante “El Nuevo Herald”, l’affronta con questo particolare ed esprimere la richiesta al Congresso di risolvere, come primo elemento, le richieste pendenti su queste confische. Giungono a suggerire, anche, che non deve essere accettato nientemeno che il cento per cento del reclamato.
Da lì, cominciano ad offrire numeri di alto livello. Parlano di quasi di seimila reclami ritenuti validi e un importo di base di 1,8 miliardi di dollari, a cui viene applicato un tasso del 6% di crescita annuale e poi arrotondato la cifra a 8000 milioni di dollari. Con accento per uno dei più grandi polpi, la Cuban Electric Company.
Un altro tema registrato, è quando si arriva a dire, da parte dei reclamanti del nord, che loro non parlano di proprietà, ma delle loro vite, che furono danneggiate da queste decisioni, o più, quindi lasciano tutta la soluzione nelle mani del governo cubano, apparentemente, l’unico colpevole per tutto quello che è successo.
Dunque, giunti in particolare a quest’ultimo punto, sarò coerente con il titolo e darò voce alla controparte, perché sia, in realtà, un dialogo.
Non possiamo dimenticare che le decisioni del 6 agosto 1960, quando in una cerimonia pubblica si annunciarono, da Fidel, i contenuti dei regolamenti di espropriazione, queste si riferivano non come attacco ma come difesa contro azioni o aperte aggressioni alla sovranità cubana.
Forse non danneggiavano, Cuba, la sospensione della quota di zucchero, o l’ordine di rifiutare di raffinare il petrolio sovietico? In altre parole, noi dovevamo obbedire agli ordini dell’impero o attenerci alle conseguenze. Realmente, con tutto l’onore che ci obbligava (e ancora ci obbliga) la storia di Cuba, optiamo per la seconda durante questo più di mezzo secolo. Ma quei “piccoli” dettagli sembrano essere dimenticati quando si realizzano le analisi attuali.
Si parla di perdite monetarie, si parla addirittura di vite. Vale la pena ricordare le parole di Raul, dove rifletteva su quando si aveva visto che i cosiddetti terroristi, come apparivamo nominati nella famosa lista, erano quelli che avevano messo i morti.
Ma come loro tirano fuori i conti, noi traiamo i nostri.
Se un giorno, in ambiente di vero dialogo,fossero sul tavolo delle conversazioni, i reclami, solo desidero ricordare alcuni elementi della Domanda del Popolo di Cuba, datata a Città dell’Avana il 31 maggio 1999, che nella sua intestazione PRETESA CONCRETA, si legge testualmente:
“Che sia disposta dal Tribunale la condanna al convenuto, nella condizione di debitore civilmente responsabile, di risarcimento del danno materiale mediante il pagamento, per il valore della vita di 3 478 persone, bene che risulta impossibile da sostituire ed è inoltre di incalcolabile valore, di una cifra pari ad una media di trenta (30) milioni di dollari statunitensi per ognuna delle persone morte, equivalente ad un totale di 104 340 milioni di dollari statunitensi, ed il pagamento, per il valore dell’integrità fisica illecitamente infranta di 2 099 persone, bene ugualmente insostituibile in integrum, di una cifra equivalente ad una media di 15 milioni di dollari per ognuno dei minorati, che raggiunge la cifra totale di 31 485 milioni di dollari statunitensi.
Che sia disposto ugualmente l’indennizzo dei pregiudizi, come compenso delle prestazioni che ha dovuto assumere la società cubana e delle entrate che non hanno potuto ricevere i parenti e le vittime dei fatti citati ut supra, mediante il pagamento di 34 780 milioni di dollari, equivalenti ad una media di 10 milioni di dollari statunitensi per ogni persona morta, e di 10 495 milioni di dollari statunitensi, equivalenti ad una media di 5 milioni di dollari per ognuno dei minorati.
In virtù di quanto esposto si domanda il pagamento unico della somma di 181100 milioni di dollari statunitensi”.
Le cifre si rinnovano e crescono ogni anno. Possono essere consultate le attualizzazioni in ciascuno delle oltre venti relazioni sui danni provocati a Cuba dal blocco, che sono state presentate alle Nazioni Unite e approvate in forma schiacciante dal mondo.
Qui ci sono dati in abbondanza per fare una domanda diversa a Mr Kerry: cosa ne pensa dei reclami cubani, che, secondo i dati del 1999, erano 22 volte superiori ai correnti di coloro che si considerano danneggiati negli USA? Aspetto per la conferenza stampa.
En los diálogos, habla más de uno
Víctor Angel Fernández
De acuerdo con el diccionario de la Real Academia Española de la Lengua, para la definición del término “diálogo”, pueden leerse estas tres acepciones:
1. Plática entre dos o más personas, que alternativamente manifiestan sus ideas o afectos.
2. Obra literaria, en prosa o en verso, en que se finge una plática o controversia entre dos o más personajes.
3. Discusión o trato en busca de avenencia.
Sobre todo, deseo referirme a la primera y la tercera, pues creo, son las variantes que, en tiempos recientes, han ido marcando el intercambio entre los representantes de Cuba y sus similares de Estados Unidos.
Es importante que muchas personas no olviden estas variantes, pues, si se leen muchos medios de prensa, parecería que en estas conversaciones, sólo la parte norteña tiene algo para decir, algo para reclamar y algo para sugerir que se cambie.
El pasado 26 de enero, publiqué aquí mismo el trabajo “Cuba-EE.UU.: Una pregunta diferente para Roberta Jacobson”, motivado porque a cada momento salía la pregunta sobre cómo se había tratado el tema de la violación de los derechos humanos en Cuba. Los artículos de prensa que giraban sobre el tema condenaban implícitamente a Cuba, como si los agredidos por los policías norteamericanos o las maltratadas minorías sociales o los inmigrantes en las fronteras de muros y alambres de púas, más allá de la división natural que ofrece el Río Bravo, no fueran humanos o no tuvieran derechos.
Y regreso con el tema, pues a propósito de la apertura de la Embajada de Cuba, el pasado 20 de julio y las actividades que debe realizar el Secretario de Estado John Kerry en la Isla, con similar propósito el próximo 14 de agosto, casi todos los días salen recordatorios sobre la imposibilidad de mejorar las relaciones, si previamente no se atienden las reclamaciones sobre los bienes expropiados en Cuba por leyes del Gobierno Revolucionario.
Por ejemplo, un artículo del nada edificante “El Nuevo Herald”, la emprende con este particular y expresan la solicitud al Congreso de solucionar, como primer elemento, las demandas pendientes sobre estas confiscaciones. Llegan a plantear, incluso, que no debe ser aceptado nada menos que el ciento por ciento de lo reclamado.
A partir de ahí, comienzan a ofrecer números de alto rango. Hablan de casi seis mil reclamaciones consideradas válidas y un monto básico de 1800 millones de USD, a los cuales se les aplica una tasa del seis por ciento de crecimiento anual y entonces redondean la cifra en 8000 millones de USD. Con destaque para uno de los grandes pulpos, la Cuban Electric Company.
Otro tema destacado, es cuando llega a decirse, por parte de los reclamantes norteños, que ellos no hablan de propiedades, sino de sus vidas, que fueron afectadas por estas decisiones, o más, pues dejan toda la solución en las manos del gobierno cubano, al parecer, único culpable de todo lo sucedido.
Entonces, llegados sobre todo a este último punto, seré consecuente con el título y le voy a dar la voz a la otra parte, para que de verdad sea un diálogo.
No es posible olvidar que las decisiones del 6 de agosto de 1960, cuando en acto público se anunciaron por Fidel los contenidos de las regulaciones de expropiación, estas se referían no como ataque, sino como defensa frente a acciones o agresiones abiertas a la soberanía cubana.
¿Acaso no afectaban a Cuba la suspensión de la cuota azucarera, o la orden de negarse a refinar petróleo soviético? O sea, nosotros debíamos acatar los mandatos del imperio o atenernos a las consecuencias. Realmente, con todo el honor al que nos obligaba (y nos sigue obligando) la historia de Cuba, optamos por lo segundo durante este más de medio siglo. Pero esos “pequeños” detalles parecen ser olvidados al realizar los análisis actuales.
Se habla de pérdidas monetarias, incluso se habla de vidas. Vale la pena recordar las palabras de Raúl, donde reflexionaba sobre cuándo se había visto que los llamados terroristas, como aparecíamos nominados en la famosa lista, eran los que poníamos los muertos.
Pero como ellos sacan sus cuentas, nosotros sacamos las nuestras.
Si algún día, en ambiente de real diálogo, estuvieran sobre la mesa de conversaciones, las reclamaciones, sólo deseo recordar algunos elementos de la Demanda del Pueblo de Cuba, fechada en la Ciudad de La Habana el 31 de mayo de 1999, donde en su acápite PRETENSIÓN CONCRETA, expresa textualmente:
“Que se disponga por el Tribunal la condena al demandado, en su condición de deudor civilmente responsable, por concepto de reparación del daño material, al pago por el valor de la vida de 3.478 personas, bien que resulta imposible de sustituir y, es además invalorable, de una cifra equivalente a un promedio de 30 millones de dólares estadounidenses por cada uno de los fallecidos, lo que asciende a un total de 104.340 millones de dólares estadounidenses, y al pago por el valor de la integridad física ilícitamente quebrantada de 2.099 personas, bien igualmente insustituible in integrum, de una cifra equivalente a un promedio de 15 millones de dólares por cada uno de los incapacitados, lo que asciende a un total de 31.485 millones de dólares estadounidenses.
“Que se disponga igualmente por concepto de indemnización de perjuicios, como retribución de las prestaciones que ha tenido que asumir la sociedad cubana y demás ingresos dejados de percibir por víctimas y familiares de los hechos narrados ut supra, al pago de 34.780 millones de dólares, equivalente a un promedio de 10 millones de dólares estadounidenses por cada uno de los fallecidos, y de 10.495 millones de dólares estadounidenses, equivalente a un promedio de 5 millones de dólares por cada uno de los incapacitados.
“En correspondencia con lo anterior se demanda la condena al pago único de la suma de 181.100 millones de dólares estadounidenses”.
Las cifras se renuevan y crecen cada año. Pueden ser consultadas las actualizaciones con cada uno de los más de veinte informes sobre los daños ocasionados a Cuba por el bloqueo, que han sido presentados en Naciones Unidas y aprobados de forma aplastante por el mundo.
Aquí hay datos en abundancia para realizar una pregunta diferente al Señor Kerry: ¿qué opina sobre las reclamaciones cubanas, las cuales, según los datos de 1999, eran 22 veces superiores a las actuales de los que se consideran afectados en Estados Unidos? Espero por la rueda de prensa.