Il “mea culpa” che il The New York

Times deve ancora pronunciare

Lo scrittore guatemalteco, Francisco Alvarado Godoy avrebbe preferito continuare e fare l’agente in forma anonima, come sempre aveva fatto, a favore della Rivoluzione cubana, ma disciplinatamente offerse tutte le informazioni che aveva al giornalista del The New York Times, Timothi Golden, al quale raccontò di uomini e fatti che per lui, in quel momento, costituivano sacri segreti. Godoy era testimone e partecipante ai piani d'attentati contro le installazioni turistiche di Cuba, organizzati dalla Fondazione Nazionale Cubano-Americana

 

 

 07/06/2004 - Percy Francisco Alvarado Godoy

 

 

Tutto il mondo si è commosso quando il poderoso The New York Times ha riconosciuto, pochi giorni fa, di avere mantenuto una copertura distante dalla realtà a proposito dell’esistenza di armi biologiche e di distruzione di massa in Iraq, pretesto usato dall’amministrazione di Bush per invadere la nazione araba.

 

L’ampia copertura che questo importante quotidiano ha dato al tema iracheno nei mesi precedenti l’invasione ha contribuito in grande misura a far sì che il popolo nordamericano avesse una percezione sbagliata delle cause che avevano provocato il conflitto. Inoltre il TNYT aveva favorito l’impunità della Casa Bianca nella sua campagna guerrafondaia internazionale.

 

Indipendentemente dal riconoscimento degli errori da parte della direzione del giornale e del suo “In difesa del lettore”, il mea culpa non elimina i dubbi su un possibile compromesso del quotidiano con i dettami dell’amministrazione di Bush, includendo anche la sua insubordinazione agli interessi del governo, cosa non totalmente nuova negli ultimi tempi. Molti non dimenticano la sottomissione delle principali catene TV a proposito delle notizie da divulgare sulle intimidazioni goebelsiane della legge USA Patriot, imposte ai mezzi di comunicazione nordamericani dalla Casa Bianca.

 

Il mea culpa quindi lascia seri dubbi se si considera che, salvo eccezioni, la copertura del giornale di distinti aspetti della situazione internazionale ha lasciato molto a desiderare per la sua parzialità e il suo compromesso con l’estrema destra nordamericana; va ricordato che questo giornale era stato il portavoce dei falchi della Casa Bianca durante il conflitto del Vietnam come il suo atteggiamento incondizionato per la scalata militare in Indocina. Inoltre non si deve dimenticare che il TNYT aveva santificato l’aggressione a Panama e a Granada, così come aveva fatto con i bombardamenti sterminatori in Yugoslavia.

 

Un altro fattore riprovevole che vincola il giornale ai loschi maneggiamenti della realtà e allo spargimento del veleno mediatico, è stata la pubblicazione, il 5 gennaio del 2003 di un articolo su Cuba firmato da Timothi Golden. Il The New York Times aveva lanciato serie accuse contro l’Isola che non differiscono per niente dagli stessi perversi argomenti che hanno sempre usato i reazionari del governo nordamericano.

 

Se le “escrescenze” dell’articolo di Golden su Cuba erano infami, ancora più schifose sono state le calunnie che si riferivano ai Cinque Eroi cubani prigionieri politici dell’impero. Con argomenti contorti, Golden aveva cercato di presentare questi combattenti contro il terrorismo come volgari criminali e spie, senza citare le vere motivazioni della presenza dei Cinque negli USA, che stavano affrontando il più crudele terrorismo esercitato contro la loro Patria. In quell’occasione il giornale di New York ha commesso uno dei più atroci errori pubblicando le menzogne e lasciando da parte tutta la giustizia e la ragione.

 

 

Il The New York Times,

Posada Carriles e la FNCA

 

 

Uno dei pochi momenti nei quali il TNYT ha parlato con serietà del tema Cuba è stato con una pubblicazione, nel luglio del 1998, nella quale i due giornalisti Ann Louise Bardach e Larry Rother avevano fatto conoscere le dichiarazioni del noto terrorista Luis Posada Carriles, nella quale costui accusava la FNCA di finanziare gli attentati commessi contro gli alberghi di Cuba.

 

Non era stato omesso un solo dettaglio sulla fuga di Posada dal Venezuela, quando stava scontando una condanna per aver fatto saltare un aereo commerciale cubano con una bomba: un fatto criminale che era costato la vita a 73 persone innocenti! Quello fu un’azione voluta dalla stessa FNCA e Posada lo dichiarò senza problemi.

 

I due giornalisti segnalarono anche il tacito riconoscimento di Posada Carriles sulla sua partecipazione agli attentati di terrorismo contro gli alberghi, discoteche e ristoranti dell’Avana e di Varadero, fatti che provocarono la morte del giovane italiano Fabio di Celmo, feriti e danni incalcolabili. Il reclutamento dei mercenari centro americani da parte di Posada Carriles per eseguire quelle azioni rispondeva, stando alle sue dichiarazioni, a un piano organizzato e finanziato da Miami da parte della Fondazione Nazionale Cubano - Americana, FNCA.

 

La FNCA, dopo aver ricevuto la prima stoccata e aver superato la sorpresa, cercò di passare all’offensiva annunciando che avrebbe citato il TNYT per diffamazione. Stando a Posada non esistevano elementi che potessero porre la FNCA in una situazione di svantaggio di fronte al quotidiano, ma si dimenticavano, lui e la FNCA, che io, Francisco Alvarado Godoy, ero stato testimone e partecipante di quei piani di attentati contro le installazioni turistiche cubane e avevo ricevuto da parte dei dirigenti della FNCA il denaro e le indicazioni per eseguirli. Si erano dimenticati che Pepe Hernndez, il presidente e due dirigenti, Arnaldo Monzn Plasencia e Horacio Salvador Garca, erano coinvolti direttamente nella pianificazione, finanziamento e organizzazione degli attentati. Si dimenticavano anche che erano stati loro a mettermi in contatto con Luis Posada Carriles per far sì che mi addestrasse e mi insegnasse ad usare gli esplosivi per far saltare il famoso Cabaret Tropicana.

 

 

Per noi mai è stato

pronunciato un mea culpa!

 

 

Il TNYT apparentemente interessato ad approfondire il tema del terrorismo, oggi, ha continuato a proteggersi dalle minacce della FNCA di fare una causa per diffamazione. Per questo aveva inviato a Cuba uno dei suoi miglior reporter, Timothi Golden, per due settimane. Questo giornalista aveva lavorato con la totale cooperazione delle autorità cubane, ricevendo le più ampie informazioni sulla partecipazione della FNCA e di altri gruppi terroristi alle aggressioni contro l’Isola. Golden aveva incontrato cinque centro americani detenuti all’Avana e vari ufficiali della sicurezza di stato di Cuba che riferirono le più minuziose informazioni.

 

Il 12 giugno del 1998 Golden era stato ricevuto anche da Fidel Castro, Presidente di Cuba, con il quale aveva conversato lungamente; inoltre era stato ricevuto da Ricardo Alarcn, presidente del Parlamento. Non c’erano dubbi che il TNYT contava su prove sufficienti per affrontare la FNCA in una possibile causa e di abbondanti informazioni per realizzare un serio e profondo lavoro sul tema in questione.

 

Nel mio caso particolare ero sempre un collaboratore segreto della sicurezza cubana e stavo a Miami, infiltrato nell’ala terrorista della FNCA e di altri gruppi di similari condizioni, come “Cuba indipendente e democratica” CID. Io sono stato chiamato all’Avana il 5 agosto del 1998, poiché era stata presa la decisione di “bruciarmi”, per poter denunciare il permanente terrorismo contro l’Isola, la nostra Patria.

 

Il 13 agosto del 1998 avevo incontrato Timothi Golden in una casa a Siboney; avevo ricevuto istruzioni di essere franco e aperto e di riferire quello che avevo vissuto nei giorni della mia vita di combattente contro il terrorismo. Nei suoi occhi e nei suoi gesti, non lo nego, vidi un profondo interesse per conoscere al dettaglio i miei vincoli con la FNCA e con Posada Carriles. Mi era sembrato, perché negarlo, un giornalista serio e diligente.

 

Riconosco che per me era difficile essere sincero e aperto davanti a un giornalista nordamericano sconosciuto ed essere davvero io, che avevo mantenuta segreta per anni la mia partecipazione nella battaglia anonima. L’invito a dirgli nomi e fatti che per me erano segreti sacri sino a quel momento era stato difficile da eseguire, ma lo feci e dissi la verità e gli narrai tutto senza nascondere dettagli.

 

Furono tre lunghe ore di registrazione da parte di Golden che prese anche appunti. Fumavamo tutti e due e finimmo un pacchetto di sigarette; lui guardò bene tutti i miei documenti di identificazione e poi ci salutammo con una stretta di mano. Golden, i miei compagni ed io lo sapevamo: Cuba aveva fatto conoscere al TNYT uno dei suoi più vecchi collaboratori nella lotta contro il terrorismo e quello era stato un grande sacrificio nel nome della verità.

 

I mesi passarono in un silenzio sospetto e il giornale non si degnava di pubblicare una nota o un riferimento alcuno sulle molte prove che Cuba aveva riferito.

 

Con nostra sorpresa, trenta giorni dopo la mia intervista con Golden, vennero arrestati i nostri Cinque Fratelli a Miami, che ricevettero odio e scherno dal gruppo intollerante dell’estrema destra di Miami. La stampa e gli altri mezzi di comunicazione erano al servizio di quegli sporchi interessi.

 

In molte occasioni mi sono chiesto: “il processo contro i nostri Cinque Eroi a Miami si sarebbe svolto se Timothi Golden e il The New York Times avessero pubblicato tutta la verità sul terrorismo contro Cuba? I 5 avrebbero avuto le stesse condanne e sarebbe stata la stessa la percezione del pubblico nordamericano? Avrebbero trionfato con la stessa facilità, come era successo, solo l’odio e l’intolleranza contro Cuba? Non si potevano evitare altri fatti di terrorismo avvenuti dopo, come il tentativo di omicidio contro Fidel a Panama o le infiltrazioni di terroristi nell’aprile del 2001, con l’obiettivo di far saltare il Tropicana?

 

Non ci sono dubbi: il The New York Times ha un forte debito con Cuba e con me in particolare, un gran debito con la verità, che ha tradito per ignobili omissioni o per un dubbio compromesso con la destra reazionaria di Miami o dell’amministrazione nordamericana.

 

Ma il debito più forte quello del giornale con i suoi stessi lettori, che ha tradito e ha privato di un’importante verità!

 

Se questo giornale dichiara di essere capace di riparare ai propri errori, io credo che sia giunto il momento di fare un sincero mea culpa per aver nascosto la verità a proposito del terrorismo contro Cuba. Non si può negare che ha ragione il Prof. Juan Maria Alponte, della facoltà di Scienze Politiche e Sociali della UNAM del Messico, che ha dichiarato in un articolo del 31 maggio apparso sul Universal del Messico, che "Il TNYT che rettifica e chiarisce con una grande coraggio etico molte delle sue informazioni sull’Iraq, sicuramente dopo questa ammirabile autocritica potrà osservare i problemi mondiali cubani e latino americani da una prospettiva storica che non da sicuramente ragione a George W. Bush!"