Néstor Baguer

 

 

Chi  crede alla favola del

 

 giornalismo indipendente?

 

 

 11 aprile 2003 - www.granma.cu

 

 

"Giornalismo? Indipendente? Sentimi, né una cosa né l'altra. Questo è un racconto insostenibile". Non c'è la minore ombra di dubbio sul viso di Néstor Baguer, un antico collega che i lettori di Juventud Rebelde, negli anni ottanta del passato secolo, conoscevano dalla sua colonna "In difesa della lingua". 


E non c'è chi sa meglio di lui questo "racconto". 

 

Agente sotto copertura degli Organi della Sicurezza dello Stato dal 1960, attualmente 81enne, molto lucido, ricevette all'inizio degli anni novanta la missione di prendere l'iniziativa su questo tema, dopo che un connotato capoccia controrivoluzionario gli suggerì la possibilità di fomentare un flusso d'informazioni tendenziose verso i mezzi stampa nordamericani, come la stazione radio, che col suo nome offende José Martí, o la lucrosa industria anticastrista radicata in Florida. 


"Questo uomo che parla con me - narra in modo prolisso Baguer - lo fa in uno di quei giorni in cui io andavo a casa sua per sapere come andavano le attività degli attivisti dei diritti umani. Io andavo col pretesto di mangiare e bere le copiose provviste che un diplomatico europeo, allineato con la politica sovversiva nordamericana, forniva all'individuo. Appena si propagò la notizia della fondazione dell'Associazione di Giornalisti Indipendenti di Cuba, cominciarono ad apparire i primi volontari". 

 

Erano giornalisti? 


"Guarda, quello è uno dei tanti miti che permeano la storia della presunta opposizione interna. Giornalisti, quelli che si chiamano giornalisti, erano appena cinque, includendomi. Gli altri erano alcuni estranei, molti di essi senza la più minima preparazione culturale. Perfino conosco il caso di uno di essi che parlava, se potesse qualificarsi così, con mancanze di ortografia." 


Erano indipendenti? 


"Vediamo, un'analisi seria, alla quale non sono capaci di sottoporsi coloro che proclamano la pretesa libertà di espressione, sa perfettamente che non c'è stampa alcuna nel mondo che non prenda partito, sia per idee o per imposizione degli imperativi commerciali. Sanno che se un giornalista si distanzia dalla linea editoriale dei padroni, rimane fuori dal gioco, deve andare con le sue idee da un'altra parte. Ma nel caso che ci occupa, la dipendenza è manifesta. Dipendenza, subordinazione, genuflessione davanti agli interessi politici nordamericani o della gente forte di Miami che è la stessa cosa: tutto questo è così. Lo dissi nella mia deposizione ai giudici: l'Ufficio di Interessi degli Stati Uniti, tanto alla mia come alle altre agenzie e gruppi, ci consigliavano temi. E posso dirti di più: conosco alcuni che prima di inviare fuori i loro lavori, la consultavano anche per i minimi aspetti della redazione."


Perché c'erano tante "agenzie"? 


"Quando certa gente senza scrupoli vede la possibilità di fare denaro o guadagnare meriti in maniera facile, o la possibilità di trovare una via per andare via dal paese, diventano pazzi. Chiunque fondava un'agenzia, si moltiplicarono come funghi." 


Con tanto denaro che correva, ci fu corruzione? 


"Certo. Tanto dentro come fuori. Si fregano l'uno con l'altro. Una signora che inventò il portale Cubanet, a Miami, cominciò ricevendo le informazioni che gli inviavamo, da un telefono ubicato nella cucina della sua casa. In meno di due anni, si trasferì in un quartiere chic, si stabilì in un signore appartamento e ne ottenne un altro per l'ufficio. E acquistò un auto di 90 000 dollari." 


Chi metteva i soldi? 


"Quasi sempre la catena partiva dalla
National Endowment for Democracy. Da lì cominciavano le perdite." 


Relazioni con l'Ufficio d' Interessi USA?

 
"Di tutta fiducia. Io avevo un pass permanente. Arrivai a diventare amico intimo con capi dell'Ufficio e responsabili di Stampa e Cultura. Il più aggressivo di tutti era James Casón. Quello si crede un proconsole, un imperatore. Tanto egli come l'attuale capo di Stampa e Cultura, Gonzalo Galiziani, il cui cuore non vuole essere ispano, ci disprezzano." 


Crede che questi giudizi contro individui che si muovevano nell'orbita dell'Ufficio di Interessi siano diretti contro l'intellighenzia ed il pensiero cubani? 


"Questa gente nulla ha a che vedere con le idee né con la cultura cubana. Lo dissi già in giudizio: sono mercenari. Per una paga fanno qualunque cosa e dicono qualunque sproposito. Un caso deplorevole è quello di Raúl Rivero che sì era giornalista ed aveva molto talento nella sua poesia. Ma si rovinò moralmente, si mise alla stessa bassezza degli altri. Precisamente, tra le cose che mi sento orgoglioso è di avere apportato qualcosa alla preservazione della cultura della mia Patria, perché di quello che si è trattato con queste azioni sovversive che si sono giudicate è di soppiantare la nostra cultura, terminare il vecchio progetto annessionista di assorbimento di Cuba da parte degli Stati Uniti." 


Che cos'è ora la vita di Néstor Baguer ora che si sono rivelati i suoi lunghi anni di lavoro in difesa della sicurezza della nostra nazione? 


"Continuerò a scrivere, ora libero dai legacci derivati dal mio lavoro clandestino. Cominciai già a scrivere un libro che si chiamerà "Octavio", memorie del mio lavoro nell'ombra. E vedere se posso pubblicare una selezione di poemi di un mio zio che fu un personaggio leggendario della bohémien cubana, Gustavo Sánchez Galarraga."