Incontro con il presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela, Hugo Chavez, presso la Camera del lavoro di Milano (17 ottobre 2005):
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Via della Dignità
di Fabrizio Casari tratto da www.comunisti-italiani.it
Roma 20 ottobre 2005
Incontri politici, commerciali e diplomatici, persino sportivi. Il viaggio del Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chavez Frìas, ha raggiunto gli obbiettivi che Caracas si prefiggeva. Intese siglate e copertura mediatica buona, pur se con quella punta di dileggio riservata a chi non possiede Tv, giornali o pubblicità da inserirvi.
Del Presidente venezuelano in molti hanno tentato di raccontarne gli aspetti “di colore”, nei quali inseriscono a forza persino la polemica contro gli Stati Uniti. Polemica che invece, toni sopra o sotto le righe, è seria. Circostanziata. Prodotto di una strategia politica che davvero converrebbe prendere in seria considerazione.
Il Venezuela non è più quello scandito dalle Miss Universo e dai politici corrotti. Il Paese più ricco di risorse naturali del continente americano, ha sempre conservato il poco invidiabile record della percentuale di popolazione più alta al di sotto della soglia di povertà. I proventi petroliferi venivano allegramente succhiati da una classe imprenditoriale e politica tra le più voraci del mondo. Il celebre Carlos Andrès Perez, un tempo ai vertici dell’Internazionale Democratico-Cristiana, è riuscito a caratterizzare il suo periodo feudale come quello con il maggior tasso di corruzione e di povertà nella storia del Paese di Simon Bolivar. Idrovora di consensi e mazzette, la cosca politico-sindacal-imprenditoriale del Venezuela aveva portato infatti all’80% della popolazione i militanti permanenti dell’indigenza. Per loro la storia era ovviamente diversa… risiedevano abitualmente presso il 3% della popolazione con redditi da capogiro. Nei quartieri alti abbondavano chirurghi plastici per rassodare, nelle favelas si moriva per assenza di medici e medicine.
Chavez è in primo luogo il ribaltamento del tavolo. E’ la distribuzione in opere sociali, assistenza e occupazione dei proventi del petrolio. E’ la volontà di archiviare la dimensione di cantina delle riserve energetiche statunitensi per negoziare equilibri diversi nel contesto regionale e di utilizzare le sue risorse anche sullo scacchiere politico internazionale.
La stampa miliziana dell’Occidente lo dipinge come un tribuno a cavallo, evitando accuratamente di disegnare i dinosauri del monetarismo con frac e bombetta. L’ironia è per gli avversari, ai mèntori tocca il rispetto. Le penne convertite preferiscono parlare di caudillismo e peronismo, populismo e demagogia: tutte categorie che si evocano quando i numeri cozzano contro i desideri. Perché di numeri Chavez ne sa qualcosa: elezioni e referendum vinti con percentuali ogni volta maggiori.
La destra in questi anni ha visto crescere il numero dei partiti e diminuire quello dei consensi. Ha provato a tirarlo giù con le serrate, le manifestazioni, persino un colpo di Stato diretto dalla locale ambasciata Usa. Niente da fare. Molto ascoltata nelle cancellerie e nei partiti europei, molto meno tra gli elettori venezuelani. Ha collezionato fiaschi.
A Chavez dovranno rassegnarsi per un bel pezzo. Sostenuto all’interno dal suo popolo, gode di spazio politico anche all’estero. L’alleanza con la Cuba di Fidel e con il Brasile di Lula, con l’Argentina di Kirchner, l’Uruguay di Tabarè, la Panama di Torrijos, consente al Venezuela bolivariano di giocare un ruolo straordinario nel contesto regionale.
Sullo scacchiere più ampio, l’intensificazione dei rapporti con la Cina, l’Iran, il Sudafrica e l’Indonesia tra gli altri, attraverso il Gruppo dei 22, proietta Caracas nello scenario dei Paesi che hanno smesso di elemosinare il diritto all’esistenza. Nell’ambito latinoamericano è di particolare importanza la relazione economica e commerciale con il Brasile di Lula, che registra già venti protocolli di accordo bilaterale, quattordici dei quali legati alla produzione, raffinazione e distribuzione petrolifera, più altri sei concernenti infrastrutture, scienza e tecnologia militare. Una intesa definita da entrambi” strategica”.
E’ un trand positivo rappresentato dall’incremento degli scambi tra i due paesi, aumentato di 880 milioni di dollari nel 2003, di 1600 nel 2004 e che, secondo stime attendibili, arriverà ai 3000 milioni di dollari entro la fine dell’anno in corso. In attesa dell’eventuale allargamento a Messico, Ecuador e Bolivia. Già, perché i prossimi mesi vedranno lo svolgimento di elezioni in Bolivia, Perù, Ecuador, Brasile, Messico, Nicaragua.
Se Lopez Obrador vincerà in Messico ed Evo Morales in Bolivia, il controllo energetico del continente vedrebbe per la prima volta la sinistra con le mani sui rubinetti del greggio e del gas. E’ convincimento diffuso che la sinistra si affermerà nella maggior parte di essi e che comunque rafforzerà ovunque il suo ruolo ed il suo peso politico. Per gli Usa non sarebbe certo una bella notizia.
L’impossibilità di dare il via all’ALCA, strumento fondamentale per il controllo statunitense sulle economie latinoamericane, è già stato un grave colpo per i sogni egemonici di Washington. Averlo ricondotto al ben più misero Dr-Cafta nell’area centroamericana è il segno tangibile delle difficoltà del gigante Usa.
Allo stesso tempo, la fine dell’era del saccheggio impunito e permanente delle risorse latinoamericane, il riequilibrio delle condizioni di accesso ai suoi mercati, fino ad ora considerati solo sub-mercati da penetrare massicciamente e sui quali scaricare eccedenze ed ottenere dazi, cambierebbe sostanzialmente il contesto. Il venir meno del comando politico sul continente, presenterebbe un quadro complessivo molto diverso, dal quale emergerebbe la forte riduzione di peso politico ed economico della superpotenza in quello che ha sempre ritenuto “el patio trasero”. E l’arretramento della sua influenza nel subcontinente, obbligherebbe Washington ad un serio riposizionamento politico ed economico globale.
L’integrazione latinoamericana, fatta di scambi sud-sud e di alleanze politiche, ha già sepolto le strategie ed i piani a medio-lungo termine per il Cono sud. Di ALCA, Plan Puebla-Panama, Plan Colombia, si parla ormai con la riservatezza destinata agli assenti. Il dominio statunitense sul continente ha fatto conoscenza con la dignità latinoamericana. E’ di turno la democrazia.
Ue
e Venezuela ora più vicini
La prima cosa che ha fatto Ugo Chávez
quando è arrivato a Roma domenica scorsa, è stata quella di andare
nel quartiere di Montesacro, dove nel 1805 Simòn Bolìvar giurò che
avrebbe dedicato la sua vita alla lotta per l’indipendenza dei
popoli dell’America Latina. Quest’agosto l’amministrazione comunale
della capitale eresse un monumento all’eroe latinoamericano, in
occasione della visita del presidente venezuelano, visita che poi
sfumò. Monte Sacro è stato un simbolo nella lotta contro la
repressione sin dal 5° secolo dopo cristo (nel 494 vi fu la ‘rivolta
della plebe’ guidata da Sicinio). Chávez, ripercorrendo le gesta e
le parole di Bolìvar ha parlato da quel luogo dicendo che fino a
quando non saranno state spezzate le catene dell’impero nord
americano che opprimono il popolo venezuelano, non ci sarà libertà.
Il presidente ha inoltre detto che ora è necessario più che mai
rompere con il capitalismo. Chávez, dopo
il discorso tenuto alla Fao si
è poi diretto a Milano per la seconda conferenza nazionale
sull’America Latina, a Palazzo Mezzanotte. “Ho sempre detto che non
bisogna lasciarci travolgere, ma bisogna accelerare piuttosto
l’integrazione del Sud America, purtroppo gli Usa sono sempre
presenti dovunque come una minaccia. Ma il mondo deve salvarsi dalle
loro ambizioni imperialiste”. Con questo duro attacco agli Stati
Uniti il presidente della Repubblica del Venezuela, Hugo Chávez, ha
aperto il suo intervento davanti ad una folta platea. Secondo Chávez,
con gli Stati Uniti “non c’è nessuna possibilità di discussione e
una volta realizzata l’integrazione dei popoli sudamericani,
soltanto in quel momento si potrà negoziare con il Governo più
potente del mondo, contro l’impero più grande di tutti i secoli che
non è stato eguagliato neppure dal grande Impero Romano”. Nel
rivendicare la sua politica di autonomia dagli Stati Uniti, ha
ribadito che “gli Usa sono una vera minaccia per il mondo: un
governo che impone, non chiede, non discute. Hanno preteso di
imporci l’Alca (Area di libero scambio) per il 1 gennaio 2005 e non
ci sono riusciti. L’Alca è una proposta imperialista, una proposta
neo coloniale, una proposta anche contro l’Europa”. Chávez ha
concluso ricordando che il Venezuela ha la più grande riserva di
petrolio del mondo e “gli Usa vogliono il nostro petrolio e noi non
vogliamo più regalarglielo come è accaduto per un secolo. Vogliamo
usarlo per il popolo, dividerlo con l’Europa, con l’Asia: stiamo
vendendo petrolio alla Cina, abbiamo aperto delle relazioni con
l’India”. Il presidente venezuelano si è poi incontrato con il
Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, con il quale ha
discusso della possibilità di aumentare le relazioni commerciali tra
i due Paesi. Berlusconi in una intervista rilasciata ad un
quotidiano italiano, ha definito Chávez un “tipo pragmatico. Con gli
Usa fa affari, ne fa tanti. Ha inviato aiuti per l’uragano Katrina.
Poi certo ci sono delle distanze ideologiche, ma alla fine i
rapporti commerciali sono buoni. Io lo conosco da tempo. Anche io ho
dei buoni rapporti con lui. L’ho trovato bene”, dice il Presidente
del Consiglio. (((-)))
L'impero
nordamericano minaccia il pianeta
| Martedì 18 Ottobre 2005 - 14:14 | Cristiano Tinazzi |
Il discorso del presidente venezuelano è stato,
insieme a quello di Lula e Mugabe, uno dei discorsi più attesi all’incontro
tenutosi a Roma per commemorare i sessant’anni di attività dell’agenzia ONU.
Chávez, che ha parlato per più di mezz’ora, ha esposto con la massima sincerità
e con la chiarezza che da sempre lo contraddistingue i vari problemi che
impediscono ai popoli di tutto il mondo di sollevarsi dall’indigenza e dal
sottosviluppo. Ma ha anche lanciato un messaggio di speranza: “Il pianeta può
essere salvato, io sono ottimista, soprattutto se si guarda ai giovani, che
potranno guidare la rivoluzione morale per un nuovo socialismo nel XXI secolo”.
Dalla tribuna della FAO, il presidente del Venezuela accusa senza mezzi termini
“l’egemonia capitalista, colonialista e imperialista” di voler uccidere il
pianeta: “stiamo uccidendo questo pianeta e l’impero nordamericano è la
principale minaccia alla sua sopravvivenza. Con i ritmi attuali, quell’obiettivo
lo raggiungeremo tra 200 anni, sempre che la specie umana riesca a
sopravvivere”, denuncia il presidente venezuelano, che fa sua la tesi
dell’intellettuale radicale americano, Noam Chomsky, sulla strategia
imperialista dopo l’11 settembre per cui l’alternativa è “Egemonia o
sopravvivenza”, citando il titolo del suo ultimo libro. “La sopravvivenza della
specie umana è in pericolo, già vediamo gli effetti del disastro”, ripete Chávez,
che parla di “uragani indemoniati, che hanno la potenza di cento, mille bombe
atomiche”. Ma, grazie “alla passione e alla purezza che la gioventù ha e che
sono necessarie per fare la rivoluzione”, si potrà guidare il mondo verso “un
socialismo fresco, nuovo e dinamico”, tuona Chávez, che rivendica il suo essere
“cristiano e cattolico” e invoca Cristo “in questa città eterna perché annunci
il regno dell’eguaglianza e della libertà. Quanto è distante però l’essere
cattolico di Chávez e la figura del Cristo da lui evocata da quello che la
chiesa in realtà rappresenta! “è l’egemonia del sistema capitalistico e
imperialistico che dobbiamo smontare e distruggere se vogliamo mettere veramente
fine alla fame” attacca ancora Chávez. |