EDITORIALE

 

Un fatto veramente penoso

 

 

10 febbraio 2006

 

 

Quel che è successo in Messico come conseguenza degli ordini impartiti da Washington ad un Hotel a Città del Messico provoca sentimenti diversi, che vanno dall’indignazione alla pena.

 

I fatti sono noti: un gruppo di funzionari cubani del settore energetico si stavano riunendo in Messico con i loro colleghi statunitensi, analizzando con professionalità e serietà, tra gli altri temi, le possibilità di collaborazione nella sfera dello sfruttamento petrolifero, cosa che si sta realizzando da anni con diversi settori produttivi degli Stati Uniti interessati a futuri scambi con il nostro paese.

 

Questa riunione era stata concordata in virtù dell’espresso interesse della parte nordamericana a conoscere il potenziale della Zona Economica Esclusiva di Cuba nel Golfo del Messico e della disposizione del Governo di Cuba di non impedire la partecipazione delle imprese nordamericane in futuri negoziati sul tema. La riunione in sé è una prova in più del clima di mutuo rispetto che prevale tra il nostro paese ed i settori economici degli Stati Uniti, evidenziato da importanti acquisti di alimenti ammontanti già a più di 500 milioni di dollari annuali, che Cuba ha pagato in contanti e senza un minuto di ritardo, cosa che l’attuale Amministrazione USA vuole oggi impedire ad ogni costo.

 

Il detto evento, come in altre occasioni, si stava svolgendo in Messico, in un hotel messicano, giacché in virtù del blocco il Governo di Bush vieta ai cubani di recarsi negli USA  ed ai nordamericani a Cuba.

 

Come tutti sanno la nazionalità di una filiale, com’è il caso dell’Hotel María Isabel Sheraton, è quella del paese dov’è stata costituita, indipendentemente dalla nazionalità della sua Casa Madre. In altre parole un’entità registrata in Messico, conformemente alla legislazione messicana, è a tutti gli effetti giuridici un’entità messicana e dev’essere retta dalle leggi del Messico e non da quelle del paese al quale appartengono gli azionisti o i proprietari transnazionali. Ciò, oltre ad essere legalmente ineccepibile, ha un profondo contenuto pratico; soprattutto nell’attuale contesto di globalizzazione mondiale, dove innumerevoli azionisti stranieri possono possedere imprese in qualsiasi paese.

 

Bisognerebbe domandarsi, restando al Messico (che riceve elevate somme di investimenti stranieri diretti), cosa succederebbe se tutti i paesi pretendessero di applicare le loro leggi alle loro filiali operanti in questa nazione. È chiaro che in tal caso ad alcune imprese verrebbero applicate le leggi tedesche, ad altre le francesi, ad altre ancora le giapponesi o forse tutte queste insieme. Non ci vuole un grande sforzo d’immaginazione per dedurre che in questo modo il Messico (e qualsiasi altro paese recettore di investimenti stranieri) precipiterebbe nel caos più assoluto, poiché dovrebbe applicare sul suo territorio la legge di dieci, venti o più paesi con differenti regimi giuridici e culture corporative.

 

Ciò è ben stabilito e chiaro, chiunque lo capisce e nessuno lo violerebbe, tranne l’Amministrazione Bush che, comportandosi da padrona del mondo, ha dimostrato di non accettare alcun limite al suo arrogante potere imperiale.

 

I fatti lo confermano: venerdì scorso, una volta terminata la prima giornata delle sessioni di lavoro delle due delegazioni, quella di Cuba è stata informata dall’amministrazione dell’albergo messicano che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti aveva ordinato la sua espulsione dall’installazione.

 

C’è da supporre che il gerente dell’hotel abbia trovato molto logico e ragionevole l’accaduto. Non ha pensato nemmeno per un secondo che un governo straniero non ha la potestà giuridica per impartire quest’ordine e che qualsiasi problema che insorga al rispetto dovrebbe essere risolto in base alla Legge Messicana.

 

Non può essere data la colpa al gerente dell’albergo. Ha semplicemente agito con la logica di chi sente che non sta facendo niente di strano. Non gli è sicuramente nemmeno passato per la testa che quell’ordine era disonesto e illecito agli occhi del popolo messicano e del mondo.

 

Forse ha anche pensato che espellendo dall’hotel i funzionari cubani stava facendo un piacere al governo che con la maggior tranquillità possibile condanna veementemente Cuba a Ginevra ogni anno e che tace stranamente di fronte alle orrende torture perpetrate quotidianamente dagli USA contro indifesi prigionieri sotto la loro custodia, nel territorio cubano occupato illegalmente e con la forza dal governo che accusa l’Isola di violare i diritti umani.

 

L’impero, per rendere il fatto ancora più umiliante, non si è nemmeno disturbato ad informare le autorità messicane, trasmettendo l’ordine ad un burocrate di turno del Dipartimento del Tesoro. La sovranità di un paese è, in definitiva, un qualcosa di non significativo, che non merita il prezzo della molestia ad un funzionario di più alto livello.

 

La portavoce del Dipartimento del Tesoro Brookly Mclaughlin non avrebbe potuto essere più esplicita. La sua dichiarazione viene citata in una notizia riportata da ‘The New York Times’ il 7 febbraio: “L’hotel di Città del Messico è una filiale nordamericana e pertanto le è fatto divieto di offrire servizi a Cuba o a cittadini cubani. In questo caso abbiamo semplicemente seguito le nostre procedure abituali, applicando la legge”. Non ha chiarito, sicuramente non ritenendolo necessario, di riferirsi alla legge USA.

 

Un altro portavoce, quello del Dipartimento di Stato Sean Mc Cormack, secondo un dispaccio pubblicato in ‘Estrella Digital’ il 9 febbraio, ha dichiarato quanto segue: “La legge statunitense viene applicata alle Imprese degli Stati Uniti o alle filiali di gruppi statunitensi a prescindere dal luogo dove si trovano”. E’ impossibile citare un esempio più chiaro di disprezzo per la sovranità di altri paesi.

 

L’indignazione in seno al popolo messicano ed in molte delle sue istituzioni non si è fatta attendere. Sono state organizzate manifestazioni popolari di ripudio alla grottesca offesa. I senatori dei principali partiti politici hanno reagito con onore e decoro. Il quotidiano ‘La Jornada’ ha pubblicato nella sua edizione di martedì 7 febbraio un articolo sull’argomento, intitolato: “I senatori: l’applicazione extraterritoriale delle leggi statunitensi è inammissibile”.

 

L’articolo cominciava dicendo: “Senatori del PAN, del PRI e del PRD hanno preteso ieri dal Governo del Presidente Vicente Fox una reazione diplomatica energica all’espulsione di funzionari cubani dall’Hotel María Isabel Sheraton, per rappresentare questa una violazione degli articoli 1, 14 e 16 della Costituzione. Hanno inoltre definito ‘vergognoso’ permettere l’applicazione extraterritoriale di leggi statunitensi in Messico. Ciò è inammissibile e richiede un chiarimento immediato, hanno sottolineato”.

 

Ma in questo clima di unanime protesta contro la vessazione inflitta dal Nord alla patria di Juárez, cosa dice e fa il governo del Messico?

 

Se si analizzano le dichiarazioni del ministro degli Esteri Derbez, al quale la stampa internazionale si è rivolta per conoscere la posizione del governo messicano su uno scandalo così clamoroso, non si può fare a meno di sperimentare uno strano misto di perplessità e quasi un sentimento di pena.

 

Derbez, nelle sue prime dichiarazioni dall’Europa, dove si trovava per una serie di visite in diversi paesi ha riconosciuto, secondo un dispaccio della AFP del 7 febbraio, che la legge non può in nessun modo venire applicata extraterritorialmente, ma si è affrettato ad aggiungere: “Quello che faremmo noi, non con il governo degli USA perchè quel paese ha la sua legislazione, ma con chi la applica in maniera erronea, sarebbe applicare la sanzione corrispondente”.

 

Tradotto in soldoni si sta ammettendo con la più stupefacente indolenza che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti può dare ordini ad imprese costituite e operanti in Messico e, nel caso che il tema divenga di pubblico dominio e non resti altro rimedio che intraprendere azioni per calmare gli animi, allora si punisce l’impresa che ha eseguito quest’ordine contro l’onore e la dignità del Messico.

 

Ellen Gallo, portavoce della catena proprietaria dell’hotel, secondo lo stesso dispaccio ha contraddetto da New York il punto di vista del Signor Derbez affermando, assolutamente a ragione, che si tratta “di una questione tra due Governi”.

 

Un altro titolo del giornale messicano ‘La Jornada’ dell’8 febbraio ha pubblicato un’altra frase singolare del Segretario agli Esteri del Messico: “Lo Sheraton verrà sanzionato senza inviare nessuna protesta a Washington”.

 

L’organo di stampa ha aggiunto: “Luis Ernesto Derbez Bautista, che si trova a Londra per compiere l’ultima visita del suo giro in Europa, ha escluso che la decisione dell’Hotel María Isabel Sheraton di espellere una delegazione di funzionari cubani dall’albergo rappresenti una violazione della sovranità nazionale”.

 

Il governo messicano, di fronte al progressivo aumento dell’indignazione, si è visto spinto ad assumere una posizione più energica rispetto all’affronto alla nazione educata con l’esempio dei bambini eroi di Chapultepec e di tutti coloro che lottarono per preservare i più alti valori del glorioso popolo messicano.

 

Il segretario Derbez è stato visto insicuro e indeciso. Il giornale messicano ‘El Universal’ ha descritto le sue tribolazioni in un articolo datato 8 febbraio e intitolato: “La Segreteria agli Esteri mette a punto la sua posizione rispetto agli Stati Uniti per l’espulsione dei cubani”. Nel detto periodico è scritto:”Il governo del Messico ha analizzato l’invio di una nota diplomatica di protesta agli USA per l’espulsione di una delegazione di cubani dall’Hotel María Isabel Sheraton, ha reso noto il segretario agli Esteri Luis Ernesto Derbez, il quale ha avvertito che il Governo Federale non permetterà che nessuna legge straniera sia valida rispetto a quelle nazionali.

 

“Derbez ha detto in un’intervista radiofonica che il governo messicano, attraverso il sottosegretario per l’America del Nord Jerónimo Gutiérrez, ha contattato il governo statunitense per accertare in maniera precisa e concreta l’incidente. Il sottosegretario trarrà l’informazione che ci necessita per decidere se è necessario o no presentare una protesta al Governo degli Stati Uniti.

 

“Ma in meno di quattro ore Derbez ha cambiato la sua posizione, poiché in una conferenza stampa a Londra precedente l’intervista alla radio aveva assicurato che l’incidente non meritava l’invio di una nota diplomatica a Washington, poiché è stato l’Hotel María Isabel Sheraton a procedere mentre, aveva precisato, il Dipartimento del Tesoro ha dato solo indicazioni.

 

“Ha inoltre assicurato che gli USA, sollecitando l’Impresa all’applicazione di una legge statunitense, non hanno violato la sovranità messicana”.

 

Un titolo più recente, questa volta del quotidiano ‘La Jornada’ del 9 febbraio, ha riportato nuove ed ancor più singolari dichiarazioni: “Derbez: Petizione verbale agli Stati Uniti affinché rivedano l’applicazione extraterritoriale delle leggi”.

 

È curioso constatare come anche una timida “petizione verbale” affinché gli Stati Uniti “rivedano” l’applicazione della loro Legge in Messico venga accompagnata da una spiegazione nella quale si dice chiaramente che l’unico colpevole dell’accaduto è l’hotel e si mostra una particolare accondiscendenza con l’Amministrazione Bush sottolineando che “le relazioni con gli USA sono, in termini generali, molto positive”. Il segretario agli Esteri Derbez ha poi incolpato la stampa di “armare scandali su questo tema”. Ha aggiunto, affinché non rimanesse nessun dubbio sull’estrema delicatezza con la quale stava rivolgendo la sua “petizione verbale” a Washington: “Abbiamo fatto sapere verbalmente al Dipartimento di Stato che secondo noi dovrebbero rivedere questa territorialità (delle loro leggi)”.

 

Se qualcosa è mancato in queste dichiarazioni è stato chiedere umilmente scusa per la terribile molestia che significa per il Dipartimento di Stato dover dedicare alcuni minuti del suo occupatissimo tempo a qualcuno secondo il quale si “dovrebbe” rivedere la non applicazione delle leggi degli USA nel suo stesso paese.

 

Si è poi parlato di chiudere l’hotel, ma dev’essere chiaro che le cause addotte per minacciare l’adozione di questa misura sono di carattere meramente amministrativo, come per esempio che l’albergo ha occupato tremila metri quadrati di terreno senza autorizzazione, che due bar operano al suo interno senza autorizzazione e che non dispone delle uscite di sicurezza.

 

Come ci si può rendere conto nessuno di questi motivi ha minimamente a che fare con il problema essenziale: il fatto che i portavoce dello Stato espansionista che a suo tempo ha strappato al Messico più della metà del suo territorio, hanno dichiarato che le imprese messicane con partecipazione di imprese statunitensi devono ottemperare in Messico alle leggi degli Stati Uniti ed ha agito draconianamente in accordo con questa auto-assegnata prerogativa.

 

Le valutazioni su questo fatto possono essere varie ma, come ha detto Martí: “Esiste un cumulo di verità essenziali che stanno nell’ala di un colibrí e tuttavia costituiscono la chiave della pace pubblica, dell’elevazione spirituale e della grandezza della patria”.

 

Da questa nostra ottica martiana, proviamo un’enorme pena per tutto quel che è successo, che esprime fino a che punto gli USA si arroghino il diritto di ignorare il governo ed il popolo messicani e di agire impunemente senza il minimo rispetto per la grandezza di questa nazione sorella e imprescindibile.