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Il generale James Hill,
Comandante del Comando Sud delle forze armate
degli Stati Uniti, quella cioè che ha come teatro di operazioni l'America
latina, non ha affatto le stimmate del diplomatico. In una recente
dichiarazione a proposito della situazione dell'area, ha ritenuto di dover
precisare che "il Venezuela e la Bolivia rappresentano una minaccia emergente
in America latina, in quanto al narcotraffico e alle guerriglie si unisce ora
il populismo radicale". Il generale ha dunque aggiunto che la minaccia
rappresentata da questo insieme di elementi è espressamente rivolta agli
"interessi degli Stati Uniti". Si potrebbe obiettare che il generale Hill non
è un diplomatico ed addebitare a questo la carenza di prudenza e tatto nel
linguaggio. Cosa avrebbe detto un diplomatico o un politico al suo posto? E
come avrebbero preso le sue parole, certo imprudenti, i suoi vertici politici?
A riassettare pensieri e parole del generale è dunque intervenuto il suo capo,
il Segretario di Stato alla Difesa, Donald Rumsfield, che invece di smentire
il suo generale ha equiparato il Presidente del Venezuela Hugo Chavez ad
Hitler. Così, anche per sfoggiare i suoi studi e
l'alto livello raggiunto in storia. Del resto basta ascoltare una delle sue
conferenze stampa per capire la ricchezza delle argomentazioni e la finezza
espositiva. Ma in questo caso la chiarezza emerge con forza: l'uomo di Abu
Ghraib e del fosforo di Falluja, quando parla di Hitler, sa perfettamente di
cosa sta parlando. Dunque l'alto militare statunitense ha espresso in concetti
quello che il vertice politico statunitense esprime in grugniti.
Da parte sua, il Generale James Hill è, per l'appunto, un generale e non un
diplomatico, si può dunque pensare che, nell'affanno di tenere sotto controllo
quello che non riesce a controllare, possa spingersi ad identificarlo quale
nemico. A West Point non insegnano il rispetto per chi la pensa diversamente,
semmai come schiacciarlo. E la fulgida carriera di questo man of war si è
giovata di un intenso quanto istruttivo passaggio alla "Escuela de las
Americas", in apparenza scuola militare Usa a Panama, in realtà una palestra
per torturatori dove i militari statunitensi insegnavano alle loro truppe e ad
i loro amici latinoamericani, le tecniche di ogni tempo per la tortura,
l'assassinio e il terrore.
Mica una casa chiusa di perversi stranamore: solo un efficace quanto barbaro
laboratorio di sperimentazione e formazione. In quella scuola si formarono due
generazioni di assassini; militari con aspirazioni da politici e presunti
politici con disposizione d'animo militare.
Ma le esternazioni di Hill e i grugniti di Rumsfield non hanno nulla di
estemporaneo, Né sono il frutto di una verbosità incontinente messa a dura
prova da microfoni insistenti. Si va disegnando così, la futura aggressione
alla "minaccia emergente"? Se per quanto riguarda il nuovo governo boliviano è
ancora presto per implementare una strategia sovversiva, per quanto riguarda
il Venezuela, che gli Stati Uniti stiano tentando con ogni mezzo di rovesciare
il legittimo governo di Caracas è ormai un dato che trova conferme quotidiane:
da ultima quella della settimana scorsa in ordine alle rivelazioni di fonte
statunitense che informano sulla presenza
d'incursori della marina militare Usa in alcune zone del Venezuela:
militari clandestini con l'incarico di procedere ad azioni clandestine contro
uomini ed installazioni chaviste.
L'espulsione di un diplomatico statunitense dal
Venezuela, decisa da Chavez pochi giorni or sono, mirava esattamente ad
avvisare Washington e Langley: le covert action statunitensi sono già state
abbondantemente scoperte. Non è difficile immaginare quali siano i compiti di
queste pattuglie nascoste nella selva amazzonica o in qualche altro pertugio
confindustriale dall'animo avventuroso. Quello che invece è ancora da
stabilire è se la strategia statunitense prevede l'innesco di un conflitto
interno al Venezuela attraverso una serie di atti terroristici, magari utili a
forzare la mano al governo in termini di controllo poliziesco nel paese.
Oppure se si tratta di una strategia destinata ad innalzare lo scontro
politico-diplomatico con annessa escalation di minacce militari. E' realistico
ipotizzare che le due strade possano unirsi in un'unica performance: se è
difficile prevedere nell'immediato un'azione militare diretta da parte di
Washington, si può certamente intuire il tentativo di creare un clima di
ostilità su tutta la regione che preluda ad un isolamento venezuelano,
elemento indispensabile per qualunque azione di forza eventualmente
eseguibile.
In questo senso, le prossime elezioni in Colombia ed il conseguente
dispiegarsi militare a garantire la rielezione di Uribe con la scusa di
garantire la sicurezza delle operazioni di voto, trasformeranno la frontiera
in un teatro particolarmente delicato, dove potrebbero trovare spazio
provocazioni ad arte costruite. Si tratta di vedere se Caracas vorrà farsi
sorprendere.