L'Eni «espropriata»?
No, non pagava le
tasse
La guerra di
disinformazione contro il presidente venezuelano Chavez. Manipolazione. Il
governo venezuelano impone alle compagnie petrolifere di operare con partners
nazionali: accettano tutte meno Eni e Total. Ma sui giornali italiani la notizia
diventa «esproprio»
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domenica 9 aprile 2006 |
Il National Endowment for Democracy deve
avere avuto dalla Cia un input impellente. Perché due notizie improbabili fatte
circolare in questi giorni e pubblicate una dietro l'altra da Corriere della
Sera e Repubblica, su allarmanti decisioni che Hugo Chávez, presidente del
Venezuela, starebbe per mettere in atto, sono un vero e proprio record del mondo
di disinformazione politica.
In tre giorni il governo bolivariano di Caracas è stato accusato prima di
«espropriare» la nostra Eni dai giacimenti avuti in concessione anni fa in
Venezuela dai disinvolti presidenti come Calderas e Carlos Andrés Pérez, e poi
addirittura di preparare uno sbarco nelle Antille olandesi e in particolare ad
Aruba tanto da mettere in allarme l'aviazione e la marina del governo dell'Aja.
Io non so se nel paese dei tulipani siano in allarme, come la Gran Bretagna
della Thatcher all'epoca in cui la feroce dittatura argentina (in mano in quel
momento al generale Galtieri) decise, per trovare uno sbocco alla sua imminente
rovina, che le isole Falklands dovevano tornare a chiamarsi Malvinas, immolando
in quella follia alcuni migliaia di giovani.
Quello che mi pare chiaro invece è che l'usuale lavorio di propaganda che gli
Stati Uniti mettono in marcia, ogni volta che vogliono screditare un governo non
allineato ai loro progetti o far accettare all'opinione pubblica internazionale
una ennesima prepotenza pensata e pianificata dal Dipartimento di Stato, ha
avuto inizio nei confronti di Hugo Chávez.
Un'azione dettata dall'incidenza che le scelte economiche e politiche del ex
colonnello stanno avendo tanto nelle strategie dell'Organizzazione dei paesi
esportatori di petrolio (Opec) quanto nel nuovo vento che spira in America
Latina.
L'accordo di collaborazione ed integrazione nella politica petrolifera firmata
dalla Pdvsa (la compagnia di stato venezuelana) con la Petrobras brasiliana e la
Ypf argentina, cosi come l'appoggio prossimo all'azienda nazionale boliviana che
Evo Morales farà sorgere per la gestione degli idrocarburi sottratti al
saccheggio delle multinazionali favorito dal ex presidente Sánchez de Losada,
hanno fatto diventare Chávez un incubo per le multinazionali nordamericane e
non, abituate a disporre del greggio e delle risorse dei paesi latinoamericani,
come di una cosa propria. Per questo la resistenza delle popolazioni indigene
dell'Equador al tentativo degli Stati Uniti di costringere il presidente facente
funzione Palacio a firmare l'accordo sul'Alca , il trattato di libero commercio,
ha messo in questi giorni quel paese sulla soglia di una guerra civile.
Senza dimenticare «il cattivo esempio» che Hugo Chávez, secondo gli
impresentabili guru dell'economia e della finanza speculativa, starebbe dando,
non reinvestendo nel petrolio tutti gli enormi guadagni che il prezzo dell'oro
nero attualmente assicura, ma destinando buona parte di queste cifre ad una
capillare politica sociale di riscatto della gente dei ranchitos, quasi quattro
milioni di cittadini fino a ieri senza identità e soprannominati «gli
invisibili». Un vero scandalo ed un vero esempio disdicevole in un paese dove i
presidenti ed i politici e lo stesso sindacato corrotto della Pdvsa erano
soliti, fino alla fine degli anni 90, a vendersi privatamente le ricchezze
nazionali.
È forse per questa abitudine che l'Eni e la Total , uniche fra 18 compagnie
petrolifere (fra le quali colossi come la Repsol, la Chevron, la Shell, oltre a
Petrobras e Ypf) si sono rifiutate di firmare i nuovi accordi di concessione
proposti dal governo venezuelano che, per porre fine al saccheggio dei
giacimenti nazionali compiuto negli ultimi anni, ha deciso una nuova
regolamentazione che presuppone per lo sfruttamento dei giacimenti la nascita
d'imprese miste dove lo stato, come in qualunque paese evoluto del mondo
proprietario di risorse, abbia la maggioranza. In risposta Total ed Eni, che
pagavano somme ridicole di royalties, e avevano violato le nuove leggi eludendo
le tasse, hanno deciso di ritirarsi dal Venezuela.
Ci piacerebbe sapere quale «esproprio» o quale «sequestro» sarebbe stato
perpetrato ai danni dell'Eni. Non a caso il Corriere della Sera, il giorno dopo
aver pubblicato questa singolare interpretazione della vicenda dell'Eni in
Venezuela, ha sentito il bisogno di chiarire l'argomento con un lucido
approfondimento di Franco Venturini anch'esso onorato di un titolo in prima
pagina.
Sul Venezuela comunque siamo ormai preparati, come per anni è accaduto per Cuba
e altre nazioni latinoamericane e, più recentemente, per l'Afganistan, l'Irak e
l'Iran, a qualunque tipo d'informazione incorretta o addirittura grottesca. Però
che Chávez stia preparando una guerra d'indipendenza delle Antille olandesi, mi
pare proprio una barzelletta. Oltre tutto, per rispetto degli altri premier
latinoamericani che appoggiano l'attuale politica estera del Venezuela (anche se
in Europa molti non se ne sono accorti). Certo c'è sempre un Ned o un Reporter
sans frontières pronto a cavalcare queste panzane.
(g.mina@giannimina.it)