Ciò che l'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) non
ha potuto ottenere durante la sua recente riunione a Washington, é stato
ottenuto dal XX Vertice del Gruppo di Rio, tenutosi nella Repubblica Dominicana,
mettendo fine alla crisi sorta dopo l'aggressione militare al territorio
ecuadoriano da parte dell'Esercito della Colombia che
bombardò un accampamento delle
FARC, in cui morì il leader guerrigliero Raúl
Reyes ed altre 23 persone.
La Dichiarazione della XX Vertice del Gruppo di Rio ha espresso il suo rifiuto a
questa "violazione all'integrità territoriale dell'Ecuador, e quindi
riaffermiamo il principio che il territorio di uno Stato è inviolabile e non può
essere oggetto di occupazione militare né di altre misure di forza prese da un
altro Stato, diretta o indirettamente, qualunque fosse il motivo" precisa il
testo del documento.
Il presidente colombiano, Álvaro Uribe, si é impegnato a non ripetere un fatto
simile, ed il mandatario ecuadoriano, Rafael Correa, ha abbandonato la richiesta
di sanzione contro Bogotà. In questo modo si superata la crisi tra i due paesi,
che implicava anche il Venezuela.
Dando per risolta la controversia con la Colombia, Correa ha segnalato che sono
sufficienti le scuse, le garanzie ed i documenti presentati da Bogotà. "Con
l'impegno di non aggredire mai più un paese fratello e la richiesta di scuse,
possiamo dare per superato questo grave incidente", ha detto, benché
successivamente ha chiarito che "dal punto di vista personale morrò indignato
per l'aggressione alla mia patria".
"Questo non si risolve con un abbraccio, il problema segue latente, il problema
di fondo sono i gravi conflitti colombiani che stanno colpendo altri paesi, come
l'Ecuador", ha detto Correa dopo i saluti.
Per questo motivo, ha richiesto ad Uribe che accettasse una "forza
internazionale" dal lato colombiano, affinché custodisca le frontiere e ottenga
che il conflitto interno colombiano non si trasferisca in altre nazioni.
LA PACE, NON LA GUERRA
Nel corso della riunione, il presidente del Venezuela, Hugo Chávez, si é
appellato ad un cammino di pace e non di guerra, così come ha desiderato che
l'appuntamento contribuisse ad un'uscita razionale del contenzioso. In questo
senso notò che la dottrina difesa dal suo pari colombiano, Álvaro Uribe, solo
può condurre ad una pericolosa regionalizzazione ed internazionalizzazione di
questo conflitto.
Ha segnalato che "ciò che più mi preoccupa è che Uribe ha chiesto scuse, per
l'incursione militare, ma sta qui rivendicando un principio di sovranità che
essi inventarono. Stanno rivendicando il diritto di combattere il terrorismo là
dove sta, questa è la dottrina di (George W.) Bush".
Chávez ha chiesto al suo collega colombiano che riveda questa dottrina, perché
"può portarci ad un'ecatombe e lì è il gran interessato: gli Stati Uniti". Ha
sottolineato che dietro sta il petrolio e le maggiori grandi riserve del mondo,
che sono in Venezuela.
Ha avvertito che il prolungato conflitto colombiano non ha uscita militare e
reiterò la disposizione del suo Governo di contribuire nello scambio umanitario
tra le forze belligeranti di quella nazione.
Ugualmente, il Presidente venezuelano ha affermato che ha ricevuto prove che
sono in vita 10 ostaggi delle Forze armate Rivoluzionarie della Colombia,
FARC,
tra essi il soldato Carlos Moncayo.
Il mandatario ha chiesto che entrassero nella sala la senatrice colombiana
Piedad Córdova e Yolanda Pulecio — madre dell'ex candidata presidenziale Ingrid
Betancourt, rapita nel 2002 — chi arrivarono a Santo Domingo per esprimere la
necessità di aumentare gli sforzi in favore del lavoro umanitario.
Da parte sua il capo di Stato nicaraguense, Daniel Ortega, che mercoledì aveva
deciso di rompere i legami diplomatici con Bogotà,
in solidarietà con Quito, ha espresso che in corrispondenza con la diminuzione
delle tensioni "dava per superata la rottura delle relazioni". Nel frattempo
Uribe ha confermato che rispetterà qualunque sia la decisione del Tribunale de
L'Aia rispetto al conflitto territoriale tra Nicaragua e Colombia.
Allo stesso tempo il presidente della Bolivia, Evo Morales, ha difeso il
processo di integrazione latinoamericana e pronunciato per l'uscita negoziata.
"Non dobbiamo permettere che i conflitti pregiudichino l'integrazione
latinoamericana", ha segnalato Evo, che chiamò i suoi omologo a cercare uscite
mediante il dialogo.
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