“La
continua aggressione mediatica contro Cuba, purtroppo, fa presa anche
sulle persone più accorte e sensibili, compresi i miei amici, che mi hanno
segnalato l’inclusione di Cuba nella solita lista nera dei Paesi
considerati nemici di Internet (vedi articolo "Sono dodici gli
Stati canaglia dell'Internet", di cui al link
http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/internet/news/2009-03-12_112357397.html),
basata sulle asserzioni di 'Reporters sans Frontières', fonte della pseudo
notizia.
Perciò, nell’esposizione che segue cercherò di correggere questa stortura
indotta dal sistema (dis)informativo ‘main stream’. A tale scopo,
basandomi su alcuni miei appunti di qualche tempo fa, vorrei fare alcune
considerazioni.
Innanzi tutto va osservato che a Cuba esistono migliaia di computer a
disposizione dei cittadini, in biblioteche, scuole, università, centri
sociali, che possono essere consultati gratuitamente e liberamente. Il
loro uso è insegnato gratuitamente a giovani, adulti e anziani in tutta
l’Isola. Chiunque abbia girato per le città cubane ed abbia occhi per
vedere può confermare la presenza pressoché capillare nel Paese dei “Club
de Computación”.
Il fatto è che IL GOVERNO CUBANO, FINORA, HA DOVUTO
LIMITARE L’USO DI INTERNET AI PRIVATI A CAUSA DEL BLOCCO USA CHE IMPEDISCE
A CUBA DI COLLEGARSI AI CAVI SOTTOMARINI AD ALTA VELOCITÀ CHE UNISCONO LA
FLORIDA CON IL MESSICO.
Per questa ragione, la rete informatica cubana deve dipendere dalle
connessioni via satellite che sono molto più lente, costose e precarie.
Quindi le connessioni sono riservate, in primo luogo, ai servizi di
primaria necessità, come ospedali, scuole, ecc.
In pratica, gli Stati Uniti bloccano l'accesso di Cuba alla banda di
Internet e poi accusano l'Isola di restringere l'uso di questo servizio a
pochi privilegiati. Le restrizioni imposte a Cuba impediscono all’Isola di
usufruire di velocità di connessione alla Rete addirittura persino
disponibili, invece, per un qualsiasi utente privato, in altre nazioni.
Per via delle leggi dell’illegale
Blocco
economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti nei
suoi confronti (puntualmente condannato ogni anno all’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite), Cuba non può collegarsi ai canali
internazionali di fibra ottica che passano vicino alle sue coste ed è
obbligata a farlo via satellite, ossia con un metodo più costoso e che
limita di molto l'uso di questa risorsa.
Cuba, in effetti, ha avuto accesso ad Internet dal 1996 e solo via
satellite. La connessione via cavo, invece, sarebbe più rapida, di miglior
qualità e tra il 15 e il 25% più economica che via satellite. Secondo
quanto riportato dal Ministero dell’Informatica e delle Comunicazioni di
Cuba (MIC), nel 2005 Cuba ha pagato più di 4 milioni di dollari per poter
accedere ad Internet via satellite.
Oggi, dopo 13 anni, in conseguenza del suddetto ‘bloqueo’ USA, Cuba non ha
ancora ottenuto accesso ai cavi di fibre ottiche che passano proprio
vicino alle sue coste. Ogni volta che Cuba voglia aggiungere un nuovo
canale ad Internet, la controparte statunitense deve ottenere la licenza
appropriata dal Dipartimento del Tesoro USA. Parimenti, se una compagnia
nordamericana vuole aprire un nuovo canale a Cuba o decide di aumentare la
velocità della connessione, ugualmente deve farsi rilasciare un’apposita
licenza dal Dipartimento del Tesoro USA.
L’autorizzazione dell’ampiezza di banda via satellite di cui Cuba dispone
è di soli 65 Megabyte al secondo (MB/s) in uscita e 124 MB/s in entrata,
vale a dire inferiore a quello di molte aziende e persino di alcuni utenti
privati con connessioni a fibre ottiche ad alta velocità (ADSL) in altri
Paesi (in Australia, Bangladesh, Regno Unito, Italia o negli Stati Uniti,
ad esempio, una persona può accedere all’alta velocità con un servizio
ADSL e con la possibilità di download fino a 24 MB/s e in Norvegia o in
Giappone si superano addirittura i 100 MB/s).
Ciò, ovviamente, non è sufficiente per le necessità di sviluppo di Cuba. I
suoi costi d’acceso ad Internet, inoltre, sono molto più elevati. Tra
l’altro, sino a soli pochi anni fa, la stessa telefonia non era riuscita
ad avanzare verso la digitalizzazione e l’installazione di fibre ottiche
su tutto il territorio nazionale, e questo limite infrastrutturale ha
rappresentato un enorme ostacolo.
Sempre a causa del ‘bloqueo’, a Cuba l’acquisto di hardware (come Intel,
Hewlett Packard, IBM e Macintosh) e software (es. la sola Microsoft, che
con Windows domina oltre il 90% del mercato dei sistemi operativi
installati nei PC) non può avvenire direttamente dagli Stati Uniti, che
sono l’emporio mondiale della tecnologia informatica, e avviene perciò da
Paesi terzi, con maggiori costi di trasporto e rincari anche del 30%.
Oltretutto, gli Stati Uniti esercitano un controllo egemonico sui server,
di cui i principali del mondo si trovano proprio in territorio
statunitense.
Stanti tali limitazioni, la diffusione di Internet a Cuba procede secondo
un modello di appropriazione sociale delle tecnologie informatiche e delle
comunicazioni, vale a dire seguendo criteri di priorità sociale,
privilegiando, ad es., la diffusione dell'informazione medica (attraverso
la rete di salute "Infomed" appositamente dedicata ai medici cubani), i
portali informativi per gli intellettuali e gli artisti (“Cubarte”), la
ricerca scientifica e universitaria nei vari rami del sapere, della
produzione e dei servizi.
Le autorità cubane, perciò, hanno deciso di dare la priorità della
connessione alla Rete in maniera organizzata, per garantire il suo uso
‘sociale’ in forma adeguata a medici, scienziati, studenti,
professionisti, personalità della cultura, centri di ricerca, ecc. Così,
pur con gli scarsi mezzi economici e tecnologici di cui dispone, le
possibilità offerte da Internet e, in generale, dalle nuove tecnologie
sono messe a disposizione degli interessi vitali di tutta la popolazione
del Paese, non solo a chi è connesso in rete.
Questa strategia è riconosciuta da istituzioni internazionali come un
esempio positivo per i Paesi poveri che vogliono superare il 'digital
divide' esistente con i Paesi ricchi, un modello da seguire per i Paesi in
via di sviluppo. Tutte le scuole, anche quelle più remote di campagna
(incluse quelle ove non giunge la rete elettrica nazionale), sono dotate
di computer, TV e videoregistratori alimentati all'occorrenza da pannelli
fotovoltaici (come del resto anche i consultori medici di campagna,
presenti anche nelle località più sperdute). In ogni comune del Paese,
inoltre, si può trovare un "Joven Club de Computación" per le persone di
qualsiasi età che vogliano apprendere l'uso del computer e farne pratica.
In base ai dati risalenti a 3 anni fa (2006), a Cuba esistono oltre 1.370
domini registrati <.cu> e circa 2.500 siti web, di cui 135 appartenenti ad
organi di stampa, ci sono 940.000 utenti di posta elettronica ed altri
219.000 di Internet, che diventano centinaia di migliaia tenendo conto del
carattere ‘sociale’ che permette che uno stesso punto di connessione sia
utilizzato da varie persone.
Con circa 377.000 PC usati per scopi di pubblica utilità ed una
proporzione di 3,4 PC ogni 100 abitanti, si può affermare che oggi Cuba
sta estendendo la socializzazione delle nuove tecnologie
dell’informazione. La media aumenta però considerevolmente se si considera
che, in effetti, queste macchine si trovano in centri di studio,
culturali, industriali e sanitari, oltre che nelle banche e negli uffici
postali.
Il 100% dei centri d’insegnamento, per esempio, utilizza le nuove
tecnologie come appoggio ai programmi scolastici, assieme a televisori e
video, a vantaggio dei 2.230.658 studenti delle 12.784 scuole esistenti.
Tutti gli istituti di studio del Paese impiegano computer nel processo
educativo, comprese 2.368 scuole rurali con pannelli solari fotovoltaici,
93 delle quali hanno un numero d’iscritti pari ad un solo alunno (uno!).
Perciò, la domanda che dovrebbe porsi una persona dotata di semplice buon
senso sarebbe, allora: MA SE LO STATO CUBANO VOLESSE
DAVVERO IMPEDIRE L’ACCESSO AD INTERNET ALLA POPOLAZIONE, PERCHÉ MAI
SPENDEREBBE COSÌ INGENTI RISORSE PER CURARNE LA FORMAZIONE INFORMATICA?
Dalla nascita di Internet, gli Stati Uniti hanno bloccato Cuba
nell’utilizzo della rete informatica mondiale e contemporaneamente hanno
cominciato una feroce campagna accusando l’Isola di negare la libertà di
connessione. E se i detrattori di Cuba considerano che il Governo cubano,
per giustificare il suo presunto fallimento, invocherebbe a pretesto il
cosiddetto ‘embargo’, perché il Governo degli Stati Uniti non toglie ai
cubani il pretesto, eliminando il ‘bloqueo’?
Fortunatamente, il blocco di Cuba all’accesso alla rete delle reti
potrebbe terminare nel 2010. Infatti, sta per essere collocato un grosso
cavo sottomarino a fibre ottiche che unirà Cuba al Venezuela, risolvendo
così definitivamente il problema.
La limitazione alla diffusione di Internet a Cuba, quindi, va
correttamente posta in relazione in primo luogo al ‘bloqueo’ e alle
carenze tecnologiche che necessariamente la supportano, in particolare
alla rete telefonica nazionale, che non raggiunge le abitazioni private se
non in una percentuale piuttosto bassa (inferiore al 7%) rispetto agli
standard europei e, per lo più, con una diffusione concentrata
essenzialmente nella capitale.
Da un punto di vista tecnico, avendo poca banda a disposizione, Cuba non
può permettersi un alto volume di utenti. Per motivi non certo imputabili
alla volontà dei Paesi del Terzo Mondo, infatti, esiste un divario
incolmabile tra l’accesso alle tecnologie dei Paesi più poveri ed i Paesi
a più alto sviluppo economico. E’ dunque assolutamente privo di senso fare
un paragone tra queste realtà ben diverse senza tenerne debitamente conto.
Pertanto, la diffusione di Internet a Cuba procede secondo criteri di
priorità sociale e di progressiva gradualità, privilegiando, ad es., la
diffusione dell'informazione medica (attraverso la rete "Infomed"
appositamente dedicata), la ricerca universitaria, il sistema bancario e
finanziario, quello postale e delle telecomunicazioni, le imprese
economico-commerciali e le strutture turistiche (hotel, aeroporti
internazionali, Internet Points, ecc.).
Ove non esistano gli Internet Points per l'accesso pubblico ad Internet,
sono quasi sempre gli uffici postali (presenti in tutte le città) che
forniscono un apposito servizio d'invio della posta elettronica, più
limitato ma anche molto più economico rispetto all'accesso ad Internet
vero e proprio.
In quasi tutti i principali hotel, oltre ai turisti stranieri, è altresì
possibile incontrare cittadini cubani connessi ad Internet e persino
collegati in chat con i loro amici all'estero (in questo caso a pagamento,
ovviamente, più o meno agli stessi prezzi che qui da noi in Italia).
Certo che le autorità cubane esercitano un controllo su Internet. Del
resto, le nostre autorità lo fanno anche da noi. Evidenzio, tra l’altro,
che il decreto Pisanu in materia di anti terrorismo prevede l'obbligo per
gli utenti di fornire le generalità ed esibire un documento d'identità in
qualsiasi punto pubblico di accesso ad Internet nel territorio italico.
Per non parlare delle limitazioni personali in vigore negli Stati Uniti
conseguenti al "Patrioct Act", ivi compresi la sorveglianza, la violazione
della privacy e lo spionaggio nelle comunicazioni, anche senza le dovute
autorizzazioni giudiziarie, imposte ai cittadini statunitensi dopo la
tragedia dell'11 Settembre, violazioni di cui l’Amministrazione Bush è
oggetto di uno scandalo.
Al riguardo, va altresì detto che Cuba è un Paese che ha pagato al
terrorismo un pesante tributo di sangue. E’ inoltre un dato inconfutabile
che, nel continente americano, la CIA ne è da sempre il principale sponsor
ed artefice, con tutti i più avanzati mezzi tecnologici possibili, in
virtù delle immense dotazioni finanziarie e dello strapotere economico,
politico e militare degli Stati Uniti.
Chiarito ciò, cerchiamo anche di capire perché si mettono in giro queste
fandonie. Una seria informazione, infatti, non può prescindere dalla
verifica dell'attendibilità delle fonti, in questo caso l’organizzazione "Reporters
sans frontières" (RSF) che proclama di promuovere e difendere la
libertà di stampa. Come hanno osservato, giustamente, altri commentatori
ben più autorevoli di me, quella dei "reporter senza frontiere morali" è
un vero e proprio esempio d'informazione a comando. In effetti, RSF riceve
appositamente denaro per "satanizzare" l'uso di Internet a Cuba. Perciò,
nella lista nera dei Paesi definiti "nemici di Internet" che stila ogni
anno, Cuba non può certo mancare.
Vale la pena osservare che questi grandi comunicatori sono regolarmente
retribuiti dall’USAID (United
States Agency for International Development), organismo del Dipartimento
di Stato di Washington con cui gli Stati Uniti concedono i finanziamenti
ai Paesi in via di sviluppo, attraverso l'intermediazione del CFC (Center
for a Free Cuba), diretta espressione dei gruppi ultra reazionari ed
eversivi di Miami. Inoltre, mediante il
NED (National Endowment for
Democracy), altro organismo che a sua volta dipende dal Congresso degli
Stati Uniti e che è incaricato di promuovere la politica estera
statunitense, sono finanziati una serie di siti web e presunte agenzie di
stampa satelliti di RSF, responsabili di continue aggressioni contro Cuba,
purtroppo non solo mediatiche.
Il pensiero di questi professionisti della disinformazione è indubbiamente
ispirato dalla regola aurea coniata dall’indiscusso talento propagandista
del Terzo Reich, Paul Joseph Goebbels: "Una bugia ripetuta mille volte si
converte in una verità". La menzogna, infatti, da sempre è una componente
organica del potere egemonico per fabbricare il consenso, come ampiamente
dimostrato, ad esempio, con l’invasione dell’Iraq alla ricerca delle
famose armi di distruzione di massa, mai rinvenute.
RSF sarebbe di certo moralmente più credibile se, tra le priorità di cui
potrebbe invece occuparsi, considerasse che proprio il governo degli Stati
Uniti, loro finanziatore (e che si dovrebbe pertanto presumere aver a
cuore la libertà d'informazione), la prima cosa che ha fatto
nell'intervento militare a Belgrado è stata quella di bombardare la sede
della TV serba. Lo stesso ha fatto a Baghdad con la TV irachena. In Iraq
si sono portati al seguito soltanto i più fedeli giornalisti "embedded",
quindi hanno deliberatamente bombardato l'Hotel Palestine ove erano
ospitati i giornalisti internazionali, causando tra l'altro la morte del
cameraman spagnolo José Couso. In proposito RSF si era distinta escludendo
categoricamente la responsabilità USA, nonostante le flagranti prove
dimostrate.
Poi le autorità d'occupazione statunitensi hanno espulso dall'Iraq "Al
Jazeera", colpevole di riferire sugli effetti sulla popolazione civile dei
bombardamenti USA che hanno completamente raso al suolo la città di
Fallujah. La catena araba, in quella parte del mondo, era l'unico network
diverso dalla CNN che poteva coprire le notizie sui crimini contro
l’umanità perpetrati “esportando la democrazia”, in nome della lotta
contro il terrorismo.
Perciò l’Amministrazione Bush è arrivata persino a pianificare il
bombardamento della sua sede in Qatar, nel Golfo Persico. Nel frattempo
hanno deportato a Guantánamo il loro corrispondente in Afghanistan, il
sudanese Sami al Hajj, sottoponendolo a torture e a maltrattamenti
inumani. Il suo caso è stato oggetto di precisi rapporti di "Amnesty
Internacional", ma RSF ha ritenuto di non doversene occupare.
E’ quanto mai significativo l’assordante silenzio in proposito di
"Reporter sans Frontières”. Evidentemente, la proclamata difesa della
libertà di stampa non è il vero fine delle proprie campagne
giornalistiche. Per RSF, alias Robert Ménard, è indubbiamente molto più
interessante cercare qualche pretesto per attaccare la terribile
"dittatura" cubana. Proprio per questo, infatti, viene pagato.
Domando: cos’ha da dire l'organizzazione per la libertà di stampa
"Reporter sans Frontières" su come la libertà d'informazione è garantita
nell'Iraq occupato dal Paese presumibilmente più libero del mondo, gli
Stati Uniti d’America? Per RSF, bombardare le TV, imprigionare, torturare
e uccidere i giornalisti scomodi per raccontare una verità sulla guerra
d'aggressione illegale che non sia quella riportata dalla CNN e dagli
altri giornalisti “embedded”, significa forse “esportare la democrazia” e
“difendere la libertà di stampa”?
La (presunta) tutela della libertà di stampa e d’informazione da parte di
RSF non è che un mero pretesto per operazioni politiche di bassa lega,
funzionali al padrone che la paga.
Per questi motivi ritengo un dovere morale evitare di prestarsi alle
solite, squallide, avvilenti, pretestuose e strumentali campagne
mediatiche anticubane, posto che nessun Paese è perfetto e che
naturalmente anche Cuba è suscettibile di miglioramenti, che però
sarebbero di certo molto più facilmente realizzabili qualora il cosiddetto
autoproclamato "mondo libero" si decidesse a lasciarla vivere in pace e a
rispettarne la sovranità.
Aldo Garuti
Riferimenti su Internet a Cuba e su RSF (fonti dei dati da me riportati)
- Cómo utiliza Cuba la Internet:
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=40228
- Estados Unidos bloquea Internet en Cuba (1):
http://www.granma.cu/espanol/2006/noviembre/juev2/informatica-e.html
- Estados Unidos bloquea Internet en Cuba (2):
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=40807
- Internet a Cuba: anno decimo:
http://www.granma.cu/italiano/2006/abril/jue27/internet.html
- Bloqueo de EE.UU. encarece acceso a Internet:
http://www.granma.cu/espanol/2006/junio/juev22/26internet.html
- Denunciato il blocco USA che impedisce l’accesso di Cuba ad internet:
http://www.granma.cu/italiano/2006/noviembre/mier8/bloqueo-it.html
- Reporteros Sin Fronteras recibe dinero para «satanizar» el uso de
Internet en Cuba
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=41074
- Subsidios UE de 1.300.000 euros para cubrir a Robert Ménard (Reporters
sans Frontières)
http://www.granma.cu/espanol/2006/marzo/mar21/13menard.html
- Ménard (RSF) ricorre alle minacce:
http://www.granma.cu/italiano/2006/abril/mier19/17rsf.html