Internet a Cuba e

 

 ‘Reporters sans Frontières’

 

 16 marzo 2009 - Aldo garuti

 

 

“La continua aggressione mediatica contro Cuba, purtroppo, fa presa anche sulle persone più accorte e sensibili, compresi i miei amici, che mi hanno segnalato l’inclusione di Cuba nella solita lista nera dei Paesi considerati nemici di Internet (vedi articolo "Sono dodici gli Stati canaglia dell'Internet", di cui al link http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/internet/news/2009-03-12_112357397.html), basata sulle asserzioni di 'Reporters sans Frontières', fonte della pseudo notizia.

Perciò, nell’esposizione che segue cercherò di correggere questa stortura indotta dal sistema (dis)informativo ‘main stream’. A tale scopo, basandomi su alcuni miei appunti di qualche tempo fa, vorrei fare alcune considerazioni.

Innanzi tutto va osservato che a Cuba esistono migliaia di computer a disposizione dei cittadini, in biblioteche, scuole, università, centri sociali, che possono essere consultati gratuitamente e liberamente. Il loro uso è insegnato gratuitamente a giovani, adulti e anziani in tutta l’Isola. Chiunque abbia girato per le città cubane ed abbia occhi per vedere può confermare la presenza pressoché capillare nel Paese dei “Club de Computación”.

Il fatto è che IL GOVERNO CUBANO, FINORA, HA DOVUTO LIMITARE L’USO DI INTERNET AI PRIVATI A CAUSA DEL BLOCCO USA CHE IMPEDISCE A CUBA DI COLLEGARSI AI CAVI SOTTOMARINI AD ALTA VELOCITÀ CHE UNISCONO LA FLORIDA CON IL MESSICO.

Per questa ragione, la rete informatica cubana deve dipendere dalle connessioni via satellite che sono molto più lente, costose e precarie. Quindi le connessioni sono riservate, in primo luogo, ai servizi di primaria necessità, come ospedali, scuole, ecc.

In pratica, gli Stati Uniti bloccano l'accesso di Cuba alla banda di Internet e poi accusano l'Isola di restringere l'uso di questo servizio a pochi privilegiati. Le restrizioni imposte a Cuba impediscono all’Isola di usufruire di velocità di connessione alla Rete addirittura persino disponibili, invece, per un qualsiasi utente privato, in altre nazioni.

Per via delle leggi dell’illegale
Blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti nei suoi confronti (puntualmente condannato ogni anno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite), Cuba non può collegarsi ai canali internazionali di fibra ottica che passano vicino alle sue coste ed è obbligata a farlo via satellite, ossia con un metodo più costoso e che limita di molto l'uso di questa risorsa.

Cuba, in effetti, ha avuto accesso ad Internet dal 1996 e solo via satellite. La connessione via cavo, invece, sarebbe più rapida, di miglior qualità e tra il 15 e il 25% più economica che via satellite. Secondo quanto riportato dal Ministero dell’Informatica e delle Comunicazioni di Cuba (MIC), nel 2005 Cuba ha pagato più di 4 milioni di dollari per poter accedere ad Internet via satellite.

Oggi, dopo 13 anni, in conseguenza del suddetto ‘bloqueo’ USA, Cuba non ha ancora ottenuto accesso ai cavi di fibre ottiche che passano proprio vicino alle sue coste. Ogni volta che Cuba voglia aggiungere un nuovo canale ad Internet, la controparte statunitense deve ottenere la licenza appropriata dal Dipartimento del Tesoro USA. Parimenti, se una compagnia nordamericana vuole aprire un nuovo canale a Cuba o decide di aumentare la velocità della connessione, ugualmente deve farsi rilasciare un’apposita licenza dal Dipartimento del Tesoro USA.

L’autorizzazione dell’ampiezza di banda via satellite di cui Cuba dispone è di soli 65 Megabyte al secondo (MB/s) in uscita e 124 MB/s in entrata, vale a dire inferiore a quello di molte aziende e persino di alcuni utenti privati con connessioni a fibre ottiche ad alta velocità (ADSL) in altri Paesi (in Australia, Bangladesh, Regno Unito, Italia o negli Stati Uniti, ad esempio, una persona può accedere all’alta velocità con un servizio ADSL e con la possibilità di download fino a 24 MB/s e in Norvegia o in Giappone si superano addirittura i 100 MB/s).

Ciò, ovviamente, non è sufficiente per le necessità di sviluppo di Cuba. I suoi costi d’acceso ad Internet, inoltre, sono molto più elevati. Tra l’altro, sino a soli pochi anni fa, la stessa telefonia non era riuscita ad avanzare verso la digitalizzazione e l’installazione di fibre ottiche su tutto il territorio nazionale, e questo limite infrastrutturale ha rappresentato un enorme ostacolo.

Sempre a causa del ‘bloqueo’, a Cuba l’acquisto di hardware (come Intel, Hewlett Packard, IBM e Macintosh) e software (es. la sola Microsoft, che con Windows domina oltre il 90% del mercato dei sistemi operativi installati nei PC) non può avvenire direttamente dagli Stati Uniti, che sono l’emporio mondiale della tecnologia informatica, e avviene perciò da Paesi terzi, con maggiori costi di trasporto e rincari anche del 30%. Oltretutto, gli Stati Uniti esercitano un controllo egemonico sui server, di cui i principali del mondo si trovano proprio in territorio statunitense.

Stanti tali limitazioni, la diffusione di Internet a Cuba procede secondo un modello di appropriazione sociale delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni, vale a dire seguendo criteri di priorità sociale, privilegiando, ad es., la diffusione dell'informazione medica (attraverso la rete di salute "Infomed" appositamente dedicata ai medici cubani), i portali informativi per gli intellettuali e gli artisti (“Cubarte”), la ricerca scientifica e universitaria nei vari rami del sapere, della produzione e dei servizi.

Le autorità cubane, perciò, hanno deciso di dare la priorità della connessione alla Rete in maniera organizzata, per garantire il suo uso ‘sociale’ in forma adeguata a medici, scienziati, studenti, professionisti, personalità della cultura, centri di ricerca, ecc. Così, pur con gli scarsi mezzi economici e tecnologici di cui dispone, le possibilità offerte da Internet e, in generale, dalle nuove tecnologie sono messe a disposizione degli interessi vitali di tutta la popolazione del Paese, non solo a chi è connesso in rete.

Questa strategia è riconosciuta da istituzioni internazionali come un esempio positivo per i Paesi poveri che vogliono superare il 'digital divide' esistente con i Paesi ricchi, un modello da seguire per i Paesi in via di sviluppo. Tutte le scuole, anche quelle più remote di campagna (incluse quelle ove non giunge la rete elettrica nazionale), sono dotate di computer, TV e videoregistratori alimentati all'occorrenza da pannelli fotovoltaici (come del resto anche i consultori medici di campagna, presenti anche nelle località più sperdute). In ogni comune del Paese, inoltre, si può trovare un "Joven Club de Computación" per le persone di qualsiasi età che vogliano apprendere l'uso del computer e farne pratica.

In base ai dati risalenti a 3 anni fa (2006), a Cuba esistono oltre 1.370 domini registrati <.cu> e circa 2.500 siti web, di cui 135 appartenenti ad organi di stampa, ci sono 940.000 utenti di posta elettronica ed altri 219.000 di Internet, che diventano centinaia di migliaia tenendo conto del carattere ‘sociale’ che permette che uno stesso punto di connessione sia utilizzato da varie persone.

Con circa 377.000 PC usati per scopi di pubblica utilità ed una proporzione di 3,4 PC ogni 100 abitanti, si può affermare che oggi Cuba sta estendendo la socializzazione delle nuove tecnologie dell’informazione. La media aumenta però considerevolmente se si considera che, in effetti, queste macchine si trovano in centri di studio, culturali, industriali e sanitari, oltre che nelle banche e negli uffici postali.

Il 100% dei centri d’insegnamento, per esempio, utilizza le nuove tecnologie come appoggio ai programmi scolastici, assieme a televisori e video, a vantaggio dei 2.230.658 studenti delle 12.784 scuole esistenti. Tutti gli istituti di studio del Paese impiegano computer nel processo educativo, comprese 2.368 scuole rurali con pannelli solari fotovoltaici, 93 delle quali hanno un numero d’iscritti pari ad un solo alunno (uno!).

Perciò, la domanda che dovrebbe porsi una persona dotata di semplice buon senso sarebbe, allora: MA SE LO STATO CUBANO VOLESSE DAVVERO IMPEDIRE L’ACCESSO AD INTERNET ALLA POPOLAZIONE, PERCHÉ MAI SPENDEREBBE COSÌ INGENTI RISORSE PER CURARNE LA FORMAZIONE INFORMATICA?

Dalla nascita di Internet, gli Stati Uniti hanno bloccato Cuba nell’utilizzo della rete informatica mondiale e contemporaneamente hanno cominciato una feroce campagna accusando l’Isola di negare la libertà di connessione. E se i detrattori di Cuba considerano che il Governo cubano, per giustificare il suo presunto fallimento, invocherebbe a pretesto il cosiddetto ‘embargo’, perché il Governo degli Stati Uniti non toglie ai cubani il pretesto, eliminando il ‘bloqueo’?

Fortunatamente, il blocco di Cuba all’accesso alla rete delle reti potrebbe terminare nel 2010. Infatti, sta per essere collocato un grosso cavo sottomarino a fibre ottiche che unirà Cuba al Venezuela, risolvendo così definitivamente il problema.

La limitazione alla diffusione di Internet a Cuba, quindi, va correttamente posta in relazione in primo luogo al ‘bloqueo’ e alle carenze tecnologiche che necessariamente la supportano, in particolare alla rete telefonica nazionale, che non raggiunge le abitazioni private se non in una percentuale piuttosto bassa (inferiore al 7%) rispetto agli standard europei e, per lo più, con una diffusione concentrata essenzialmente nella capitale.

Da un punto di vista tecnico, avendo poca banda a disposizione, Cuba non può permettersi un alto volume di utenti. Per motivi non certo imputabili alla volontà dei Paesi del Terzo Mondo, infatti, esiste un divario incolmabile tra l’accesso alle tecnologie dei Paesi più poveri ed i Paesi a più alto sviluppo economico. E’ dunque assolutamente privo di senso fare un paragone tra queste realtà ben diverse senza tenerne debitamente conto.

Pertanto, la diffusione di Internet a Cuba procede secondo criteri di priorità sociale e di progressiva gradualità, privilegiando, ad es., la diffusione dell'informazione medica (attraverso la rete "Infomed" appositamente dedicata), la ricerca universitaria, il sistema bancario e finanziario, quello postale e delle telecomunicazioni, le imprese economico-commerciali e le strutture turistiche (hotel, aeroporti internazionali, Internet Points, ecc.).

Ove non esistano gli Internet Points per l'accesso pubblico ad Internet, sono quasi sempre gli uffici postali (presenti in tutte le città) che forniscono un apposito servizio d'invio della posta elettronica, più limitato ma anche molto più economico rispetto all'accesso ad Internet vero e proprio.

In quasi tutti i principali hotel, oltre ai turisti stranieri, è altresì possibile incontrare cittadini cubani connessi ad Internet e persino collegati in chat con i loro amici all'estero (in questo caso a pagamento, ovviamente, più o meno agli stessi prezzi che qui da noi in Italia).

Certo che le autorità cubane esercitano un controllo su Internet. Del resto, le nostre autorità lo fanno anche da noi. Evidenzio, tra l’altro, che il decreto Pisanu in materia di anti terrorismo prevede l'obbligo per gli utenti di fornire le generalità ed esibire un documento d'identità in qualsiasi punto pubblico di accesso ad Internet nel territorio italico. Per non parlare delle limitazioni personali in vigore negli Stati Uniti conseguenti al "Patrioct Act", ivi compresi la sorveglianza, la violazione della privacy e lo spionaggio nelle comunicazioni, anche senza le dovute autorizzazioni giudiziarie, imposte ai cittadini statunitensi dopo la tragedia dell'11 Settembre, violazioni di cui l’Amministrazione Bush è oggetto di uno scandalo.

Al riguardo, va altresì detto che Cuba è un Paese che ha pagato al terrorismo un pesante tributo di sangue. E’ inoltre un dato inconfutabile che, nel continente americano, la CIA ne è da sempre il principale sponsor ed artefice, con tutti i più avanzati mezzi tecnologici possibili, in virtù delle immense dotazioni finanziarie e dello strapotere economico, politico e militare degli Stati Uniti.

Chiarito ciò, cerchiamo anche di capire perché si mettono in giro queste fandonie. Una seria informazione, infatti, non può prescindere dalla verifica dell'attendibilità delle fonti, in questo caso l’organizzazione "
Reporters sans frontières" (RSF) che proclama di promuovere e difendere la libertà di stampa. Come hanno osservato, giustamente, altri commentatori ben più autorevoli di me, quella dei "reporter senza frontiere morali" è un vero e proprio esempio d'informazione a comando. In effetti, RSF riceve appositamente denaro per "satanizzare" l'uso di Internet a Cuba. Perciò, nella lista nera dei Paesi definiti "nemici di Internet" che stila ogni anno, Cuba non può certo mancare.

Vale la pena osservare che questi grandi comunicatori sono regolarmente retribuiti dall’
USAID (United States Agency for International Development), organismo del Dipartimento di Stato di Washington con cui gli Stati Uniti concedono i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo, attraverso l'intermediazione del CFC (Center for a Free Cuba), diretta espressione dei gruppi ultra reazionari ed eversivi di Miami. Inoltre, mediante il NED (National Endowment for Democracy), altro organismo che a sua volta dipende dal Congresso degli Stati Uniti e che è incaricato di promuovere la politica estera statunitense, sono finanziati una serie di siti web e presunte agenzie di stampa satelliti di RSF, responsabili di continue aggressioni contro Cuba, purtroppo non solo mediatiche.

Il pensiero di questi professionisti della disinformazione è indubbiamente ispirato dalla regola aurea coniata dall’indiscusso talento propagandista del Terzo Reich, Paul Joseph Goebbels: "Una bugia ripetuta mille volte si converte in una verità". La menzogna, infatti, da sempre è una componente organica del potere egemonico per fabbricare il consenso, come ampiamente dimostrato, ad esempio, con l’invasione dell’Iraq alla ricerca delle famose armi di distruzione di massa, mai rinvenute.

RSF sarebbe di certo moralmente più credibile se, tra le priorità di cui potrebbe invece occuparsi, considerasse che proprio il governo degli Stati Uniti, loro finanziatore (e che si dovrebbe pertanto presumere aver a cuore la libertà d'informazione), la prima cosa che ha fatto nell'intervento militare a Belgrado è stata quella di bombardare la sede della TV serba. Lo stesso ha fatto a Baghdad con la TV irachena. In Iraq si sono portati al seguito soltanto i più fedeli giornalisti "embedded", quindi hanno deliberatamente bombardato l'Hotel Palestine ove erano ospitati i giornalisti internazionali, causando tra l'altro la morte del cameraman spagnolo José Couso. In proposito RSF si era distinta escludendo categoricamente la responsabilità USA, nonostante le flagranti prove dimostrate.

Poi le autorità d'occupazione statunitensi hanno espulso dall'Iraq "Al Jazeera", colpevole di riferire sugli effetti sulla popolazione civile dei bombardamenti USA che hanno completamente raso al suolo la città di Fallujah. La catena araba, in quella parte del mondo, era l'unico network diverso dalla CNN che poteva coprire le notizie sui crimini contro l’umanità perpetrati “esportando la democrazia”, in nome della lotta contro il terrorismo.

Perciò l’Amministrazione Bush è arrivata persino a pianificare il bombardamento della sua sede in Qatar, nel Golfo Persico. Nel frattempo hanno deportato a Guantánamo il loro corrispondente in Afghanistan, il sudanese Sami al Hajj, sottoponendolo a torture e a maltrattamenti inumani. Il suo caso è stato oggetto di precisi rapporti di "Amnesty Internacional", ma RSF ha ritenuto di non doversene occupare.

E’ quanto mai significativo l’assordante silenzio in proposito di "Reporter sans Frontières”. Evidentemente, la proclamata difesa della libertà di stampa non è il vero fine delle proprie campagne giornalistiche. Per RSF, alias Robert Ménard, è indubbiamente molto più interessante cercare qualche pretesto per attaccare la terribile "dittatura" cubana. Proprio per questo, infatti, viene pagato.

Domando: cos’ha da dire l'organizzazione per la libertà di stampa "Reporter sans Frontières" su come la libertà d'informazione è garantita nell'Iraq occupato dal Paese presumibilmente più libero del mondo, gli Stati Uniti d’America? Per RSF, bombardare le TV, imprigionare, torturare e uccidere i giornalisti scomodi per raccontare una verità sulla guerra d'aggressione illegale che non sia quella riportata dalla CNN e dagli altri giornalisti “embedded”, significa forse “esportare la democrazia” e “difendere la libertà di stampa”?

La (presunta) tutela della libertà di stampa e d’informazione da parte di RSF non è che un mero pretesto per operazioni politiche di bassa lega, funzionali al padrone che la paga.

Per questi motivi ritengo un dovere morale evitare di prestarsi alle solite, squallide, avvilenti, pretestuose e strumentali campagne mediatiche anticubane, posto che nessun Paese è perfetto e che naturalmente anche Cuba è suscettibile di miglioramenti, che però sarebbero di certo molto più facilmente realizzabili qualora il cosiddetto autoproclamato "mondo libero" si decidesse a lasciarla vivere in pace e a rispettarne la sovranità.

Aldo Garuti

 

Riferimenti su Internet a Cuba e su RSF (fonti dei dati da me riportati)

- Cómo utiliza Cuba la Internet:
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=40228

- Estados Unidos bloquea Internet en Cuba (1):
http://www.granma.cu/espanol/2006/noviembre/juev2/informatica-e.html

- Estados Unidos bloquea Internet en Cuba (2):
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=40807

- Internet a Cuba: anno decimo:
http://www.granma.cu/italiano/2006/abril/jue27/internet.html

- Bloqueo de EE.UU. encarece acceso a Internet:
http://www.granma.cu/espanol/2006/junio/juev22/26internet.html

- Denunciato il blocco USA che impedisce l’accesso di Cuba ad internet:
http://www.granma.cu/italiano/2006/noviembre/mier8/bloqueo-it.html

- Reporteros Sin Fronteras recibe dinero para «satanizar» el uso de Internet en Cuba
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=41074

- Subsidios UE de 1.300.000 euros para cubrir a Robert Ménard (Reporters sans Frontières)
http://www.granma.cu/espanol/2006/marzo/mar21/13menard.html

- Ménard (RSF) ricorre alle minacce:
http://www.granma.cu/italiano/2006/abril/mier19/17rsf.html