Cuba
è un paese diverso dagli altri in molti sensi. E bisogna tener presente
questa sua diversità se si vuole davvero capire qualcosa di quest’isola
tropicale, ultima colonia dell’impero spagnolo, ultimo (o penultimo) luogo
di abolizione della schiavitù ma forse primo a concepire il nuovo stato come
stato davvero sovrano e dunque rivoluzionario nel contesto di fine
Ottocento. La rivoluzione di popolo capeggiata da Fidel Castro che ancora
oggi distingue quel paese, è il prodotto di una lunga storia e di una
profonda elaborazione filosofica, sociale e politica. Ha vissuto numerose
crisi, ha attraversato molti pericoli, ha commesso molti sbagli, ma ha
cercato sempre di percorrere strade che avessero come meta finale il
rispetto per la vita e per l’essere umano.
A Cuba c’è stato un investimento nel capitale umano che non ha paragone. La
concezione della medicina, dell’istruzione, elaborate pensando ai paesi
poveri, partendo da presupposti diversi da quello del profitto, del lucro,
dell’interesse economico, ha già dato risultati molto interessanti in molti
paesi dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa.
A mio parere, questa è una ragione per guardare con rispetto ad un paese che
ha investito molte risorse ed energie per fare ciò che i paesi ricchi e
sviluppati fanno in misura molto ridotta, quando lo fanno: riequilibrare il
mondo favorendo lo sviluppo e la crescita locali e non usando il mondo
povero come uno sversatoio di immondizie tossiche, un immenso mercato per la
paccottiglia, una fonte di mano d’opera a basso costo, un inesauribile
miniera di materie prime da sfruttare.
Mi sono chiesta spesso se la scomparsa dallo scacchiere mondiale
dell’anomalia rappresentata da Cuba potrebbe migliorare il nostro mondo e
non riesco a rispondere. Di certo non migliorerebbe l’aggressività di
Israele verso la Palestina, né la pesante ingerenza militare dell’Occidente
in Iraq e in Afghanistan. In America Latina non migliorerebbe la situazione
dannatamente disperata del Messico, né la situazione dei poveri cittadini
dell’Honduras. Le maras del Salvador non scomparirebbero con la loro sequela
di sangue e delinquenza.
Haiti
non ne trarrebbe vantaggio, ma anzi, perderebbe l’aiuto di quei medici e
alfabetizzatori cubani che - presenti prima - sono ancora un presidio
sanitario e sociale importante e utile. E mi fermo qui per non farla troppo
lunga.
Forse sperano di guadagnarci qualcosa quei vecchi fuorusciti cubani dei
primi anni Sessanta e i loro discendenti che non vedono l’ora di rientrare
in possesso delle loro dimore e delle loro piantagioni cinquant’anni dopo,
in un altro secolo e in un altro millennio. Un sogno nostalgico e
irrealizzabile perché sono proprio queste minacce una delle cause della
resistenza testarda non solo dei “fratelli Castro” (ormai è così che la
stampa allude al Presidente della Repubblica) ma di tutto un popolo.
Il recente caso della morte di
Orlando Zapata
e lo sciopero della fame di
Sardiñas sono
diventati pretesto di una campagna mediatica talmente sproporzionata da
suscitare molta indignazione fra tutti quei cittadini cubani che ragionano,
non da oggi, sul futuro della loro rivoluzione e che sorvegliano con
severità le mosse delle autorità di governo, chiedendo maggior
partecipazione alle decisioni, apportando analisi e ragionamenti a un
dibattito che non è mai stato così vivace e così includente; attraverso i
canali della rete telematica, infatti, ognuno dice la sua senza dover
esibire cariche o titoli di autorità. Ma questi due mesi di spietate
mitragliate mediatiche sembrano aver sortito un effetto non previsto da chi
ha organizzato il bombardamento a alzo zero contro Cuba, convertita nel
luogo più crudele e diabolico mai immaginato: una levata di scudi fittissima
contro le tergiversazioni e le bugie. Non è su questo livello che i cubani
avvertiti e patrioti vogliono portare il dibattito. Essi non sono disposti a
buttare alle ortiche decenni di fatiche e di sogni, non pochi dei quali sono
diventati realtà; non amano scherzare col fuoco delle provocazioni che
vengono dall’esterno. Se cambio ci sarà a Cuba ne saranno protagonisti i
suoi stessi cittadini. Il cantante
Silvio Rodríguez
l’ha detto: la nostra Rivoluzione deve perdere la R e deve diventare
Evoluzione.
Intanto, due giornalisti della BBC londinese, da bravi
reporter, sono andati a vedere cosa succede in una assemblea municipale per
l’elezioni di candidati al Poder Popular, il Parlamento cubano. Si sono
seduti accanto agli elettori della circoscrizione 47 di Punta Brava e hanno
assistito, senza rivelare la propria identità, alla riconferma con 50 voti
dell’attuale delegata, un medico, e alla sorprendente auto candidatura (cosa
ammessa dalle leggi del paese) del dissidente Silvio Benítez, presidente del
Partito Liberale che è stato eletto con 14 voti. I giornalisti della
BBC raccontano che ben cinquanta dei cittadini presenti
nell’assemblea si sono astenuti. Un dato che rivela una evidente stanchezza,
del disinteresse e forse molta incertezza. La cronaca racconta anche che la
forza pubblica era presente con un solo poliziotto occupato ad incanalare il
traffico in modo da non disturbare l’assemblea che si svolgeva in un parco
pubblico. Certo la BBC non ha fatto un grande reportage, degno
della sua fama, ma questa cronaca onesta ci dice cose che altri non hanno
l’onestà di raccontare.