I nemici dell'integrazione
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O.Oramas Leon, 13 luglio 2006
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Il 180°anniversario della
convocazione del Congresso Anfictiónico ha portato un aria nuova e forte
dell'integrazione bolivariana, ma è stato anche accompagnato dallo scontro con i
nemici di ieri e di oggi, di dentro e di fuori, quelli che hanno ritardato ed
oggi silurano l'ideale “martiano” della Nostra America.
Quelli che prima tradirono Bolivar sono come quelli che danno una possibilità
dell’ultima ora all'Area di Libero Commercio delle Americhe in questi giorni (ALCA),
lo strumento statunitense per mantenere la dipendenza latinoamericana e
caraibica in momenti di fredda competizione tra i principali blocchi di potere
mondiale.
L'ALCA,
ora sta cercando di camminare con i TLC bilaterali o sub-regionali, da viabilità
alla “multi-nazionalizzazione” delle economie latinoamericane, aperte al
vantaggio sleale e monopolizzatore che rovina o mette al margine i produttori
nazionali, incurante delle sue devastatrici sequele sociali.
Il suo senso è di concorrenza più che di complementarità, e la sua opzione
commerciale non include l'essere umano come il centro dei suoi propositi, per
quanto a Washington ed in alcune case di governo latinoamericane venga
considerata la panacea della macroeconomia e dell'impiego.
Basti ricordare che un presidente messicano promise che il Nafta era la
soluzione all'emigrazione illegale verso il lato nordamericano, ma poi, dopo una
decade, si alzano muri alle frontiere militarizzate come parte delle proposte
migratorie del presidente Bush per intercettare la valanga di clandestini, o
piuttosto, di spaesati del neoliberalismo.
A questi livelli, l'Alternativa Bolivariana per le Americhe diventa più che una
variante di fronte all'ALCA, è via di principi per affrontare l'integrazione dei
nostri paesi con un senso solidale ed aziona tutti i livelli, oltre il
commerciale. Se prima la battaglia per la libertà si guadagnava nelle pianure di
Carabobo, oggi si libera combattendo la cecità, l'analfabetismo, l'esclusione
sociale, economica e politica col concorso disinteressato delle patrie di
Bolivar e Martí.
L'ALBA non è petrolio, per quanto i nemici dell'integrazione parlino dei
petrodollaro di Chávez, benché il greggio si trasformi in meccanismo integratore
con Petrocaribe, il Gran Gasdotto del Sud ed altri
progetti e realtà che risultano strategici, quando il chiamato oro nero
raggiunge prezzi proibitivi nel mercato mondiale.
Se l'ALCA è sinonimo di asimmetria, l'ALBA risulta il contrario. Basti ricordare
che gli accordi firmati tra Caracas e L'Avana
riconoscono Cuba come paese bloccato dalla maggiore potenza planetaria. In
questi termini, per la Bolivia significa un attenuante, e non impedimento,
essere uno dei paesi più poveri del continente.
Oggi l'ALBA si costruisce tra tre: Venezuela, Cuba e Bolivia, ma somma ad altri.
La Missione Miracolo, il programma
contro l'analfabetismo “Io, sì posso”, la formazione di professionisti, la
somministrazione di combustibile a paesi, comuni, e perfino città nordamericane,
tra le altre modalità, continua ad unire a popolazioni e popoli, benché non
sempre i governi.
La Bolivia sta concretando la viabilità di questa integrazione. Migliaia di
boliviani, gli emarginati, si alfabetizzano in questi giorni. Altri recuperano
la vista e si ristrutturano ospedali con tecnologia di punta per i più
bisognosi. Le speranze prendono corpo con la
nazionalizzazione del gas e del petrolio, ed altre risorse naturali, per
trasformare il futuro.
Ma che Evo
Morales sia il suo primo capo di Stato indigeno non cambia da solo le cose.
Bisogna dimostrarlo concretamente. Evo, tuttavia, è segnato dagli Stati Uniti
dalle sue prime lotte. L'altro “indigeno”, con record d'impopolarità in Perù, è
benedetto dalla Casa Bianca e dal Fondo Monetario Internazionale.
È per questo che oggi il mandatario boliviano è accusato di qualunque cosa. Gli
è già successo prima, quando era appena un leader della coca, come è accaduto a
Chávez, e molto prima a Fidel. Se prima il rivoluzionario era comunista, ed
essere comunista era la cosa peggiore, ora bolivariano, socialista o
semplicemente progressista serve per appiccicarti titoli tali come populista,
dittatore, antidemocratico e molti più epiteti aggrappati al dizionario per
ingannare, mentire e bestemmiare.
L'artiglieria parte dalla Casa Bianca o del Campidoglio. Solo alcuni giorni fa
lo vociferò il repubblicano Dan Burton, lo stesso che fece coppia con Jesse
Helms contro Cuba. “In Venezuela abbiamo un presidente populista”, annotò. “Sono
specialmente preoccupato per l'attuale attacco contro la democrazia in America
Latina”, gli seguì il suo correligionario Jerry Seller nella stessa udienza
della Camera dei Rappresentanti.
Dall'altro lato del Rio Bravo ci sono statisti che ripetono la stessa cosa,
inclusi quelli che governano in mezzo a scandali di corruzione ed il discredito
dei loro compatrioti. Sono quelli che, come in tempi di Bolivar, si vendono ad
interessi oligarchici e forestieri, e tradiscono il voto di coloro che hanno
creduto nelle loro promesse elettorali.
Magari, senza sapere tutta la storia, un congressista newyorkese, Gregory Meeks,
mise il dito nella piaga, quando fece un intervento alternativo a quelli della
maggioranza dei suoi colleghi del legislativo statunitense, e disse: “Il nemico
siamo noi stessi”.
*L’autore è giornalista del
quotidiano Granma