HOME AMERICA LATINA


 

N O T I Z I E d a l

 

 

G O L P E

 

L’Honduras volta pagina?

Bilancio (finale?) del primo colpo di stato riuscito del XXI secolo

 

Venerdì 29 gennaio 2010 - G.Carotenuto da Tegucigalpa   www.giannimina-latinoamerica.it

 

Varie chiavi di lettura descrivono il momento politico vissuto mercoledì 27 a Tegucigalpa dove nell’eclissi del dittatore Roberto Micheletti si è insediato il nuovo presidente Porfirio Lobo e dove il presidente legittimo, ma esautorato dal golpe, è partito per l’esilio acclamato dai suoi.

 

La prima chiave, con un golpe di stato conservatore completamente riuscito ed uscito di scena solo dopo aver portato a termine il proprio compito, è quella della sconfitta politica per la sinistra, che era al governo e lo ha perso, sia pur con la forza, e per la democrazia centroamericana tutta. Il successo del golpe è infatti un monito e un'ipoteca per l'America centrale (vi sono governi di centro-sinistra molto light sia in Salvador che in Guatemala) e per tutta l'America latina integrazionista.

 

Il 27 è stata dunque la giornata dell'insediamento di Porfirio "Pepe" Lobo, un conservatore come tanti eletto come quasi tutti in Centro America in elezioni farsa, alla presidenza della Repubblica. È stata anche la giornata della partenza per l'esilio dominicano di Mel Zelaya, accompagnato negli ultimi momenti in patria da tutto un popolo. È stata inoltre la giornata della normalizzazione hondureña, desiderata dalla comunità internazionale che pure aveva ripudiato il golpe e che ancora non riconosce il nuovo governo.  È stata poi la giornata dell'amnistia a Roberto Micheletti e ai suoi scherani che escono di scena secondo i dati del CODEH con 132 assassinii sulla coscienza.

 

È stato infine il giorno nel quale l'opposizione democratica, la Resistenza, rilancia, si ritrova e si riconosce e va verso la fondazione di un partito che vede nello stesso Mel Zelaya il leader naturale, l'unico in grado di aggregare forze molto eterogenee, classe media liberale, movimenti sociali, sinistra tradizionale. Qualcuno vorrebbe chiamarlo Partito Socialista Honduregno e dargli come primo obbiettivo l'Assemblea costituente, il motivo scatenante del golpe. È un progetto embrionale e probabilmente impraticabile e, nonostante l'evidente accumulazione di forze della sinistra e della Resistenza, per intanto tra i fatti va annoverata la sconfitta di un paese che fino al 28 giugno Emilio Fede avrebbe colorato di rosso e che adesso è blu cobalto.

 

 

FATTI

 

 

L'ultimo atto da presidente golpista di Roberto Micheletti, (il dittatore di Bergamo Alta noto da queste parti come Gorilletti o Pinochetti) è stato far uscire l’Honduras dall'ALBA, l'organizzazione di cooperazione tra stati capitanata da Venezuela, Bolivia, Cuba. Uno dei primi atti da presidente di Porfirio Lobo (laureato in economia a Miami, non è una colpa ma è un imprinting) è ricevere la delegazione dell'FMI chiamata a mettere in ordine alla maniera neoliberale nei conti del paese.

 

Si chiude così una tappa eccentrica della storia "catracha". L'Honduras torna nell'alveo di quelle nazioni civilizzate che lasciano decidere della loro economia a banchieri del Nord, possibilmente bianchi, anglosassoni, protestanti. Così, per esempio, non si metterà in pratica il folle progetto di Zelaya di alzare il salario minimo a circa 320 Euro in un paese dove molti, scuri di pelle, indigeni e cattolici, non arrivano a 150 Euro per lavorare da sole a sole (Che roba contessa...). L’alternativa, nel programma del prudente Lobo, sarà donare una tantum 400 Euro alle 600000 famiglie più disgraziate di un paese che ha l’80% di poveri.

 

Altro fatto è che martedì, poche ore prima di entrare in carica, Porfirio Lobo si è riunito con Arturo Valenzuela, massimo responsabile per la politica latinoamericana di Hillary Clinton. Hanno concordato un pacchetto di aiuti per 2 miliardi di dollari. Le male lingue ricordano che tali aiuti corrispondono all'800% di quanto gli Stati Uniti hanno stanziato per i terremotati di Haiti. Ogni cosa ha il suo prezzo (e per tutto il resto c'è Mastercard) ed evidentemente la vaccinazione dell'America Centrale dall'infezione "chavista", dai medici cubani, dall'aumentare il salario minimo e da tutto quello che un tempo si sarebbe definita solo un po' di redistribuzione keinesiana, vale per la signora Clinton ben più di quattro lumpen haitiani che pure sono buoni per sfolgoranti esibizioni in divisa da dama di San Vincenzo.

 

Il terzo fatto da sottolineare è l’amnistia votata dal parlamento e controfirmata da Lobo per i golpisti. È interessante come il complesso disinformativo mondiale racconti che questa sia una graziosa concessione per i crimini commessi da Mel Zelaya che hanno obbligato i militari a prelevarlo in pigiama da casa, sequestrarlo e portarlo oltre frontiera e non per le migliaia di violazioni dei diritti umani commesse in questi mesi ed evidentemente incluse nell’amnistia solo per un disguido.

 

L’ultimo fatto è che se alla cerimonia hanno assistito appena tre capi di stato (Panama, Taiwan e Repubblica dominicana) tutti, non solo i paesi filostatunitensi e/o filogolpisti vedono nel riconoscimento di Porfirio Lobo, a breve o medio termine, l’unica possibile soluzione alla crisi. Succederà, forse prestissimo. Álvaro Uribe sarà qui ad ore.

 

 

EMOZIONI

 

 

Nello Stadio Nazionale, ancora intitolato a quel macellaio fascista di Tiburcio Carías, che fu dittatore negli anni ’30-’40, l’atmosfera era surreale. I fischi al presidente dominicano Leonel Fernández, venuto solo per accompagnare Zelaya in esilio nell’isola, testimoniavano come in quella cerimonia vi fossero due convitati di pietra: Roberto Micheletti e Mel Zelaya.

 

Micheletti, pur amnistiato, è tornato un paria. Una volta compiuta la missione nessuno in Honduras ha più difficoltà a riconoscere che quello del 28 giugno è stato un golpe brutale ed è particolarmente penoso ripercorrere come in questi mesi i grandi media “democratici” si siano arrampicati sugli specchi per negare questa realtà. È rimasto a casa per non compromettere Lobo, ma è stato come se ci fosse.

 

Zelaya dal canto suo non poteva esserci neanche volendo, ancora rinchiuso nell’Ambasciata brasiliana. Ha trasferito simbolicamente la sua fascia presidenziale non a Lobo ma al popolo hondureño che lo ha accompagnato all’aeroporto. Forse 100000 persone hanno cantato, si sono emozionate, hanno pianto in un’atmosfera che aveva poco a che vedere con quella di sconfitta e con un futuro particolarmente incerto. La Resistenza è un fronte molto composito, forse troppo. Classe media liberale accomunata dal riconoscimento in Zelaya di un leader che ha rotto molti schemi. Sinistra moderata, sinistra tradizionale, sinistra bolivariana, movimenti sociali con una preponderante presenza femminile. Lumpenproletariato asfissiato dai propri problemi di sopravvivenza è che ha visto in Mel una speranza. Troppi soggetti e troppo diversi per piattaforme comuni e addirittura per un partito unico o per torcere il braccio a Lobo e obbligarlo a quell’Assemblea costituente che metterebbe in moto la democrazia nel paese.

 

Eppure quella folla eterogenea sembrava davvero un popolo unico, il popolo hondureño che si riconosceva nelle bandiere di Francisco Morazán, in quelle del Che, in quelle cubane, in quelle venezuelane e soprattutto in quelle brasiliane con quel verde oro che brillava nel cielo di Tegucigalpa.

 

Forse Mel Zelaya, un politico che fino a un paio d’anni fa non si era differenziato dal curriculum grigio se non nero della classe politica centroamericana, è davvero uscito di scena con l’esilio dominicano. Ma in quell’abbraccio di folla, in quegli slogan bolivariani, nella richiesta del suo ritorno, anche gli scettici (come un po’ chi scrive) hanno dovuto riconoscere che Zelaya è riuscito a sintetizzare le emozioni, i sogni, le aspirazioni di tutte quelle persone che, nel momento nel quale si ritrovano sconfitte politicamente, si scoprono anche forti nello stare e sognare insieme un Honduras diverso possibile. Le emozioni non sono fatti, ma a volte sono perfino più consistenti.

 

 

Migliaia hanno salutato Zelaya che è

partito per la Repubblica Dominicana 

 

28 gennaio 2010 - www.granma.cu

 

Migliaia di honduregni hanno marciato sino all’aeroporto di Tegucigalpa per salutare Manuel Zelaya, che è partito per la  Repubblica Dominicana, e per chiedergli di tornare presto nel paese, dopo sette inutili mesi di manifestazioni per il suo ritorno al potere.

 

I seguaci del Fronte Nazionale di Resistenza contro il Colpo di Stato si sono raggruppati nell’Università Pedagogica Nazionale ed hanno poi raggiunto l’aeroporto di Toncontín, mentre nell’altro lato della capitale le autorità partecipavano nello Stadio Nazionale alla cerimonia di giuramento del nuovo presidente Porfirio Lobo.

 

“Ciao, papà Mel, che Dio ti benedica”, diceva un cartellone in una delle più grandi manifestazioni organizzate dalla Resistenza dopo il Colpo di Stato del 28 giugno del  2009, che tolse il potere a Zelaya. La polizia e militari fortemente armati hanno seguito da vicino la manifestazione.

 

I membri della resistenza hanno  effettuato molte marce per ottenere la restituzione al potere di Zelaya, il cui mandato di quattro anni è appena scaduto.

 

“La lotta del popolo, la lotta della Resistenza, si trasferirà adesso  verso la presa del potere”, ha detto il coordinatore  del Fronte, Juan Barahona.

 

Víctor Cubas, un ex deputato liberale e sindacalista (del partito di Zelaya e dell’ ex presidente usurpatore Roberto Micheletti), ha detto che: “La resistenza è d’accordo che si deve avere conciliazione, ma non perdono per i golpisti. Dobbiamo  far sì che la legge giunga per tutti e non si applichi solamente ai poveri”, ha detto Cubas.

 

Rafael Alegria:no all'elezioni, sì alla costituente,

esigenza del popolo honduregno in resistenza

 

25 gennaio 2010 - Ida Garberi direttrice Prensa Latina web

 

“La mia vita è la lotta”
Nelson Mandela

Un lunedì in resistenza, mentre ci accompagna u
n enorme striscione del Fronte antigolpista, con la mappa dell’Honduras ed un enorme gorilla minaccioso che cerca di possedere questo stupendo paese, ho il privilegio di conversare con Don Rafael Alegria, come lo chiamano qui nel Fronte, con il rispetto che merita un dirigente di questa forza rivoluzionaria e capo della lotta contadina da decenni. “Nel campo c'è una situazione disperata, come prima ragione dobbiamo citare  i problemi per la poca pioggia, non abbiamo potuto seminare in tempo, non esistono finanziamenti, è assolutamente inesistente l'attenzione dello Stato, come conseguenza, non ci sarà nessuna produzione per il prossimo anno: vivremo una fame orribile generale per colpa del rifiuto di Micheletti di cercare un'uscita politica; se ci sarà una crisi alimentare, non sarà per colpa del contadino, bensì per colpa dei golpisti, che praticamente hanno impedito qualsiasi lavoro in campagna”.  

Così incomincia la mia intervista con Don Rafael, che è giustamente preoccupato e con un sentimento di impotenza davanti all’irresponsabilità ed alla strafottenza dei gorilletti: ma cosa possiamo pretendere da degli ignoranti, che quasi non sanno leggere o scrivere e sono stati scelti dagli yankee solo per i loro sentimenti di invidia e di odio contro un leader pacifista che è riuscito ad infondere il coraggio e la coscienza di dire “NO” a qualsiasi costo al suo popolo honduregno?

Rafel Alegria ha trascorso la sua vita lottando con i “terratenientes” (che in italiano si dice latifondisti), ma che nell’idioma di Don Rafael spiega chiaramente che in un paese del terzo mondo rappresenta il contrasto tra chi non ha assolutamente nulla e quello che possiede tutto, non ci sono alternative che possano mediare la situazione nel neoliberismo sfrenato.

Ed è per questa ragione che Rafael, già dall’età delle medie, cerca in tutti i modi di studiare e poter lottare per la sua gente “del campo”.

Dal momento che era riuscito a superare le elementari con 13 anni, decide di aiutare i suoi fratelli contadini accettando di lavorare in un corso di alfabetizzazione finanziato dalla chiesa cattolica e che si trasmette per radio.

Bisogna chiarire che l’unico guadagno per Rafael era la radio per seguire i corsi, non certo i salari abbondanti che l’
USAID nordamericana utilizza per finanziare la stampa fascista honduregna, che oggi, quasi nella sua totalità, appoggia i gorilletti!!!

Già negli anni ’70, con solo 18 anni, si dedica ad occupare le terre in favore dei poveri nullatenenti e si dedica a denunciare tutti i soprusi dei grandi proprietari.

E forse Rafael non poteva pensare che anni dopo avrebbe difeso con la sua vita e tutta la sua convinzione politica proprio il figlio di un suo “nemico”, quel José Manuel Zelaya Rosales, Mel per coloro che lo apprezzano (e sono un’infinità!), che ha deciso di tradire la sua classe politica e cambiare radicalmente la storia di sottomissione del suo paese, infondendo coscienza e coraggio al popolo.

E questo atto di amore meraviglioso per il suo popolo, Mel lo sta pagando carissimo, prigioniero, in un’ambasciata straniera dentro il suo paese, costretto a subire qualsiasi tipo di violenza psicologica e fisica, solo per avere un cuore ed una coscienza pulita, di cui nessuno conosce il prezzo.

Rafael Alegria ha continuato a studiare mentre svolgeva il suo ruolo come rappresentante contadino. Con l'appoggio di una borsa di studio della fondazione religiosa tedesca “Pane per il mondo” si è laureato in diritto.

Don Rafael è assolutamente negativo con il neoliberismo, che ha portato il mondo a questa crisi assurda, è cosciente che il problema dei prezzi dei principali prodotti è purtroppo nelle mani delle multinazionali, assolutamente disinteressate delle sorti del popolo e delle conseguenze negative che cadranno sulla terra.

Oggigiorno Alegria è anche cittadino del mondo, infatti è un leader contadino della “Via Campesina”, un movimento internazionale di contadini e contadine e piccoli produttori, donne rurali, indigene, gente senza terra, giovani rurali e lavoratori agricoli; difende i valori e gli interessi basilari dei membri. E’ un movimento autonomo, plurale, multiculturale, indipendente, senza nessuna adesione politica, economica o di un altro tipo. Le 148 organizzazioni che formano la “Via Campesina” vengono da 69 paesi dell'Asia, Africa, Europa ed il continente Americano.

I suoi obbiettivi sono la produzione di alimenti sani, la sovranità dei popolo sulla terra e la decentralizzazione della produzione di alimenti e delle catene di distribuzione.

L’importanza del lavoro di Don Rafael bisogna sottolinearlo pensando che il 58% della popolazione in Honduras è di origine rurale, “e questo significa che i contadini, gli indigeni ed i settori rurali avrebbero una partecipazione attiva e propositiva in una Assemblea Costituente, le risorse del paese sono inoltre fondamentalmente: la terra, l'acqua, i boschi, le miniere ed i semi, cosicché cercheremmo il recupero di tutte le risorse rurali per il bene di tutto il paese, non come adesso che stanno al servizio di 8 famiglie e delle multinazionali”.

“E’ proprio per interrompere questa egemonia fascista che dobbiamo rifiutare questa farsa elettorale, rinnegare in forma attiva questi comizi illegittimi, che si svolgeranno dentro il terrore, i soprusi e le violenze di un feroce golpe di stato. Le repressioni e le minacce verso l'integrità fisica degli honduregni che effettua l'intelligenza militare per zittire il rifiuto che esprime il popolo verso il governo spurio, durante la dittatura di Micheletti, sono molte; l'ONU ha denunciato la presenza di paramilitari colombiani in Honduras, pagati dagli imprenditori e proprietari terrieri e si è incrementato anche il narcotraffico e la violenza, principalmente nella zona rurale”.

Don Rafael mi spiega che la campagna è uno dei settori più colpiti dal golpe, nel 2008 il presidente Zelaya ha appoggiato la promulgazione del Decreto che avviava alla Riforma Agraria e nell’Istituto Agrario Nazionale (INA) erano depositati i dossier che documentavano i diritti dei contadini per l’assegnazione della terra.

Un gruppo di 55 compagni stava difendendo tutti questi dati legali ed indispensabili per procedere con l’assegnazione della terra… dove saranno finiti adesso, dopo che i gorrilletti hanno arrestato i contadini ed i compagni che li custodivano?

Ancora una volta dobbiamo segnalare la Mano Pachona degli USA e delle sue multinazionali, che stanno tentando di cancellare, far scomparire, seppellire completamente quello che Mel Zelaya ha fatto per il suo popolo, per una Nuestra America solidaria e per la democrazia mondiale.

Purtroppo mi rendo conto che siamo rimasti in pochi a gridare questa denuncia, soprattutto nei paesi che si credono sviluppati, come l’Italia, preferiscono girare la testa dall’altra parte e non accorgersi delle enormi violazioni che si stanno compiendo.

Faccio un appello a tutti i centri di stampa con una coscienza solidaria e che amano la verità, per piacere, proprio adesso NON POSSIAMO ABBASSARE LA GUARDIA, non possiamo pensare che la situazione in Honduras non sia più una notizia interessante e gettarla nel dimenticatoio, al contrario: è proprio in momenti come questi che la nostra denuncia è fondamentale per dare forza e continuare la lotta, e come diceva Alda Merini, una poetessa italiana scomparsa da poco, “tutto quello che facciamo non è che una goccia nell'oceano, ma se non lo facciamo, quella goccia, la tua goccia, mancherà per sempre”.

 

IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI

Honduras: il capo della "stazione"

CIA ha un'ampia storia anticubana

 

16 gennaio 2010 - Jean-Guy Allard www.aporrea.org

 

Raramente nella storia della CIA un capo "stazione" é rimasto così nudo di fronte all'opinione pubblica. E con le mani in pasta.

L'agente Simon Henshaw, uno specialista della persecuzione nei confronti di Cuba, che ora ostenta il titolo di Capo Missione all'ambasciata USA in Honduras, non solo è stato smascherato come capo della stazione CIA a Tegucigalpa ma si seppe come organizzò e guidò la partecipazione, nelle illegali elezioni di novembre, di tutte le agenzie USA d'interferenza e le loro dipendenze.

Meglio tardi che mai: gli archivi ci ricordano come Henshaw tanto dedito, oggi, a recuperare il processo golpista, pochi anni fa prestava servizio nel Dipartimento di Stato, dipartimento America Centrale e Cuba; il compito preferito degli "specialisti" di Langley .

Henshaw lavorava con Charles Shapiro, allora capo del Bureau Cuba del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, un personaggio altamente detestabile associato anche alla CIA, che fu consulente militare dell' Ambasciata USA in Cile, quando Pinochet rovesciò Salvador Allende ed ambasciatore USA durante il golpe contro il presidente Chavez.

Nel 2002, l'agente Henshaw ha rappresentato il governo USA nella Commissione dei Diritti Umani dell'ONU a Ginevra.

Lì lavorò a fianco di Yleen Sarmiento de Poblete, niente più e niente meno che il braccio destro della congressista mafiosa di Miami, Ileana Ros-Lehtinen, oggi tra le ammiratrici più furibonde di Roberto Micheletti.

Allora si dedicò febbrilmente, con la sua "task force" di vari ossessivi funzionari, a torcere il braccio a diplomatici di diversi paesi perché votassero contro Cuba. Con la stessa energia che oggi esibisce, a Tegucigalpa, per concludere l'operazione che riporta  al potere l'oligarchia pro-nordamericana.

SMASCHERATO, LO

"STAFF" COMPLETO

 

Il giornalista e storico tedesco Ingo Niebel ha avuto il grande merito di porre il campanellino al gatto, segnalando nel sito web Rebelion, le rivelazioni del collega ricercatore Michael Opperskalski fatta nella rivista tedesca che pubblica GEHEIM (Segreto). Alcuni mesi fa questo eminente conoscitore del mondo - spesso di zolfo - delle agenzie di intelligence aveva smascherato, con nome e cognome, lo "staff" completo della CIA nella delegazione statunitense in Honduras.

Così si è appreso che Simon Henshaw é attorniato dagli ufficiali della CIA Gregorio Morrison, Neil Richter, Theodore Carpenter e William R.Brands.

La presenza di Henshaw a Tegucigalpa appartiene al vecchio schema descritto, con dovizia di particolari, dall'ex agente della CIA Philip Agee, morto esattamente due anni fa a L'Avana. Nel suo libro "Diario di un agente segreto" Agee racconta come si dedicò quotidianamente, mentre era capo della "stazione" in Ecuador, reclutare, corrompere e guidare persone influenti per farli lavorare in funzione degli interessi degli Stati Uniti.

Con questa linea di lavoro descritta da Agee, altre rivelazioni, come quelle del rispettato ricercatore messicano Edgar Gonzalez Ruiz, pubblicate a fine novembre in vari siti web, assumono tutto il loro senso.

González Ruiz ha scoperto come Henshaw ha riunito presso l'ambasciata statunitense a Tegucigalpa, organizzazioni e gruppi sotto l'influenza, in un modo o nell'altro, dei suoi servizi per chiedere che si allineassero con un'operazione destinata a garantire il successo della farsa elettorale, realizzata sotto l'autorità dei golpisti e la vigilanza armata di 30000 tra poliziotti e militari.

Nella sua analisi, il ricercatore ha spiegato come il capo della "stazione" CIA ha dato i suoi orientamenti non solo davanti ai rappresentanti dell'
USAID, NED, IRI (International Republican Institute) e NDI (National Democratic Institute), massimi rappresentanti dell'ingerenza USA in America Latina, ma anche la FUPAD (Fondazione Pan Americana per lo Sviluppo), la Fondazione Arias (creata nel 1987 dal politico del Costa Rica autore del chiamato Accordo di San José) e "Facciamo democrazia" che riunisce i settori golpisti della Chiesa Cattolica così come la Federazione delle Organizzazioni Non Governative per lo Sviluppo dell'Honduras (FOPRIDEH) e l'Università Metropolitana dell'Honduras (UMH).

L'autore afferma:"In tale riunione, Henshaw istruì gli astanti ad organizzare una missione " indipendente "di osservazione elettorale, che sarebbe stata presente alle elezioni del 29 novembre, e che in realtà era gestita dall'IRI attraverso Alex Sutton, direttore regionale dell'Istituto per l'America Latina ed i Caraibi".

Sutton è un vecchio agente CIA noto per le cospirazioni che gestì, per conto dell'IRI in Bolivia, Bolivia, Colombia, Cuba, El Salvador, Guatemala, Messico, Nicaragua, Perù e Venezuela per non parlare della sua carriera nei paesi dell'Europa orientale dove si è dedicato a sradicare il socialismo.

La presenza nelle elezioni golpiste di una banda così conformata da Henshaw aveva ovviamente come scopo essenziale dare legittimità al processo scatenato da questa cospirazione di uomini d'affari e militari che, il 28 giugno, sequestrarono il Presidente costituzionale Manuel Zelaya per trasferirlo in una base militare sotto il controllo degli Stati Uniti e poi espellerlo dal paese.

 

A FIANCO DI LLORENS,

L'AMBASCIATORE DI  MIAMI

 

Henshaw, teoricamente, è il braccio destro dell' ambasciatore Hugo Llorens, un cubano-americano residente a Miami che gestiva lo spettacolo della neutralità degli Stati Uniti dal colpo di stato fino ad oggi con un talento che potrebbe aprirgli le porte dei migliori studios di Hollywood.

Llorens sembra progettato per cospirare con Henshaw: specialista di terrorismo, è stato direttore degli Affari Andini del Consiglio Nazionale di Sicurezza a Washington quando, nel 2002, avvenne il colpo di stato contro il presidente Hugo Chávez.

Llorens si trovava, allora, sotto la diretta autorità del Subsegretario di Stato per gli Affari Emisferici l'infame
Otto Reich ed il molto discusso Elliot Abrams. Reich diede immediatamente il suo sostegno a leader golpista Pedro "il Breve" Carmona ed ai militari congiurati.

In giugno, Otto Reich è stato immediatamente denunciato come uno dei cospiratori dietro il colpo di stato, con Roger Noriega e Daniel Fisk.

Prima di cospirare a Tegucigalpa, Henshaw stava facendolo a Brasilia sotto la copertura di Console Generale. Anteriore lavorò a San Pietroburgo (Russia) dove lasciò impronte odorifere, San Salvador e Abidjan (Costa d'Avorio).

E anche a Manila, Filippine, dove probabilmente  incontrò Llorens. Lì entrambi hanno avuto l'opportunità di iniziarsi al papiamento, una lingua locale che non si impara nei cocktail.

 

Il Congresso di Honduras desiste dal dibattere

l’amnistia per mancanza di consenso

 

13 gennaio 2010 - www.granma.cu (PL)

 

Il Congresso honduregno ha desistito dal dibattere un polemico progetto di amnistia per i crimini relazionati al golpe militare del passato giugno a causa della mancanza di consenso tra le parti.

 

La decisione è stata oggi confermata da vari legislatori a mezzo stampa, i quali hanno allegato anche il poco tempo che resta all’attuale legislatura, che si conclude il prossimo 25.

 

La misura è stata proposta dal presidente eletto nelle discusse elezioni del passato 29 novembre, Porfirio Lobo, in uno sforzo per ottenere il riconoscimento internazionale per le future autorità.

 

La maggior parte dei governi della regione hanno annunciato che non riconosceranno il governo di Lobo, del conservatore Partito Nazionale (PN), poiché i comizi sono stati realizzati sotto le condizioni del regime de facto.

 

Il presidente del partito PN Rodolfo Irías, ha affermato alla radio-emittente HRN che il tema sarà riaffrontato la prossima legislatura, nella quale il gruppo conterà su un’ampia maggioranza.

 

Il Fronte Nazionale contro il golpe di Stato, che conduce l’opposizione antigolpista dall’aggressione militare che il 28 giugno del 2009 rovesciò il presidente Manuel Zelaya, ha ratificato il suo totale ripudio all’amnistia.

 

Non dimentico e non perdono i golpisti, ha annunciato questa alleanza di forze popolari e politiche, che promuove la sottoposizione a giudizio dei principali autori dell’attacco militare alla Corte Penale Internazionale.

 

Il Fronte e Zelaya, anche lui opposto all’amnistia, considerano i membri della Corte Suprema di Giustizia e del Pubblico Ministero parti chiave della cospirazione che ruppe l’ordine democratico della nazione.

 

Il progetto di legge, inizialmente approvato in una commissione prevede il perdono per i crimini politici e comuni che hanno commesso le persone coinvolte nel golpe, tra i quali tradimento alla patria, sedizione, terrorismo, violenza, vandalismo e abuso di autorità.

 

Zelaya respinge l’amnistia per i

responsabili del golpe di Stato

 

11 gennaio 2010 - www.granma.cu (PL)

 

Il presidente costituzionale dell’Honduras, Manuel Zelaya, ha confermato oggi il suo rifiuto alla legge di amnistia che pretende approvare questa settimana il Congresso Nazionale per favorire i responsabili del golpe di Stato.

 

Zelaya è stato sequestrato da militari incappucciati ed esiliato in Costa Rica lo scorso 28 giugno, da una cospirazione che conta sull’appoggio di settori dell'oligarchia e l'avallo della Corte Suprema di Giustizia, la Procura Generale ed il Parlamento.  


“Il golpe non rimarrà impune, e neanche si potrà occultare”, ha detto il mandatario ed ha aggiunto che il popolo non accetta l'idea di dimenticare le violazioni umanitarie, le detenzioni illegali, gli assassini ed altri delitti di lesa umanità commessi dai responsabili del golpe.  


Inoltre, ha criticato il presidente eletto nei comizi corrotti del 29 novembre scorso, Porfirio Lobo, per appoggiare il perdono dei responsabili del golpe.  


Secondo Lobo, questa misura “piacerà alla comunità internazionale e porterà la pace in Honduras”, opinione respinta dal Fronte Nazionale contro il golpe di Stato che raggruppa a varie organizzazioni della società civile.  


Su richiesta di Lobo e del capo del regime de facto, Roberto Micheletti, il Parlamento comincerà a dibattere questo martedì il disegno di legge che assolverà i protagonisti del golpe, tra loro i comandanti della cupola militare.  


Il tema era stato annunciato inizialmente per oggi, ma è stato posticipato a domani per ottenere più consenso, ha affermato il segretario della legislatura, Carlos Lara.  


D’accordo col quotidiano
El Tiempo, il decreto è stato preparato da una commissione con marcato accento politico, poiché ha consultato solo i settori che hanno appoggiato ed incoraggiato la rottura istituzionale, come gli imprenditori, la chiesa, l’oligarchia e l’alta borghesia.  


“Non hanno chiesto nulla agli operai, ai contadini, al magistero, ai sindacati, né a nessuna organizzazione che non si adattasse al requisito di qualificare come successione costituzionale il rovesciamento di Zelaya”, ha rivelato il giornale.  


Diversi settori popolari e partiti progressisti realizzeranno a partire da oggi delle manifestazioni di fronte alla sede del Congresso, in rifiuto all'amnistia per i repressori.  

 

Condannano in Honduras una violenta

 repressione dell'esercito contro i contadini

 

8 gennaio 2010 - www.granma.cu (PL)

 

Organismi dei diritti umani dell’Honduras hanno ripudiato oggi la violenta repressione dell'esercito e della polizia durante lo sgombero di contadini nella Valle di Aguan, nel dipartimento settentrionale di Colon. 

 

“Condanniamo la selvaggia repressione militare contro uomini, donne e bambini contadini di Colon”, afferma in un comunicato il Comitato dei Familiari di Detenuti e Scomparsi (COFADEH).  


L'operazione di circa 500 militari e poliziotti è cominciata questa mattina con l'impiego di armi da guerra, gas lacrimogeni ed è descritta dal COFADEH come una macelleria umana.  


L'emittente
Radio Progresso, del dipartimento settentrionale di Yoro, ha denunciato la morte di almeno tre persone durante l'attacco dei militari ai membri delle cooperative della zona.  


Testimoni hanno raccontato alla stazione radio che centinaia di donne e bambini correvano tra le piantagioni di palma africana verso la zona paludosa del fiume Aguan, fuggendo dai gas.  


I contadini reclamano l'uso di queste terre di proprietà dello stato, consegnate dall’usurpato presidente Manuel Zelaya, in un prolungato conflitto con i latifondisti della regione.  


Il COFADEH ha precisato che i contadini hanno informato che dal dicembre del 2008 erano incominciati gli atti ostili dell'esercito contro di loro per espellerli da queste terre, che reclamano dal 2004.  


Queste denunce hanno velocizzato il processo di quello che si è trasformato oggi in una barbarie umana, in terre che sono proprietà dello Stato e non dei latifondisti, precisa.  


Il COFADEH ha interposto una ricorso di Habeas Corpus a beneficio di 30 persone arrestate nel XV Battaglione di Fanteria, con sede in Trujillo, a Colon, che – afferma – sono state sottomesse a torture dal loro arresto.  


Fa un appello alle organizzazioni internazionali dei diritti umani per “riattivare le loro reti di solidarietà a beneficio della vita e della libertà di quelli che soffrono la repressione a Colon come parte delle azioni della dittatura militare.”  


Dirigenti contadini hanno identificato i due proprietari terrieri che pretendevano espellerli da queste terre come Miguel Facussè Barjum ed il colombiano Renè Morales, sostenitori del golpe militare del passato 28 giugno.  

 

La resistenza in Honduras ricomincia

con le marce anti-golpiste

 

7 gennaio 2010 - www.granma.cu (PL)

 

Il Fronte Nazionale contro il colpo di stato in Honduras ha confermato per oggi la sua prima marcia di quest’anno in richiesta della restituzione dell’ordine costituzionale rotto dai militari nel giugno passato.

 

I dirigenti del Fronte hanno indicato che durante la manifestazione rifiuteranno i tentativi del governo de facto di far uscire la nazione dall’Alleanza Bolivariana per i popoli di Nuestra America (ALBA).

 

Il leader contadino Rafael Alegría ha spiegato che un altro degli obiettivi della dimostrazione è esigere il cesse delle violazioni ai diritti umani e la convocazione di un’assemblea nazionale costituente.

 

Alegría ha ricordato che l’ALBA, a cui il paese ha aderito durante il mandato di Zelaya, ha favorito l’applicazione in Honduras di piani di beneficio sociale e economico ai settori più vulnerabili nella società.

 

Ha aggiunto di aver promosso piani di lotta contro l’analfabetismo, miglioramento nei sistemi di salute, consegna di fondi per lo sviluppo, e accesso al combustibile in condizioni favorevoli di pagamento, tra gli altri vantaggi.

 

Il governi de facto che ha assunto la presidenza con l’attacco militare del 28 giugno, ha deciso, il 15 dicembre, di denunciare il trattato con l’ALBA, sottoscritto il 25 agosto 2008, ed il tema sarà dibattuto dal parlamento la prossima settimana.

 

Dopo il rovesciamento di Zelaya, l’Honduras è stato sospeso dall’ALBA e dagli altri organismi regionali come l’Organizzazione di Stati Americani (OEA).

 

La marcia di questo giovedì, di carattere nazionale, avrà luogo a venti giorni dalla pressa di possessione del presidente eletto nelle questionabili elezioni del 29 novembre passato, il conservatore Porfirio Lobo.

 

Il Fronte, sorto lo stesso giorno del golpe, disconosce i risultati dei comizi ed ha esortato la resistenza a mantenere la lotta pacifista fino a raggiungere la rifondazione dell’Honduras mediante una costituente.

 

Questa vasta alleanza di forze popolari accusa Lobo ed il suo Partito Nazionale di essere tra i principali sostenitori del golpe militare.

 

La marcia coincide con la decisione del Pubblico Ministero di sollecitare una richiesta alla Corte Suprema di Giustizia contro la cupola militare per abuso di potere e per l’espatrio di Zelaya.

 

Lo statista ha avvertito in dichiarazioni alla stampa dall’ambasciata del Brasile, nella quale si trova da settembre, che il ricorso dei procuratori è un tentativo di copertura dei fatti del 28 giugno.

 

Zelaya ha assicurato che tanto il Pubblico Ministero, quanto la Corte Suprema ed il Congresso Nazionale, hanno cospirato con i militari per eseguire, assieme, il colpo di stato.

 

 

Comunicato stampa

 

7 gennaio 2010 - www.granma.cu (AIN)

 

Il presidente democraticamente eletto dal popolo honduregno, Manuel Zelaya ha inviato un comunicato alla stampa spiegando che l’ordine di cattura emesso contro la cupola militare del suo paese è solo una facciata, un accordo tra i complici degli assassinati e di tutte le violazioni dei diritti umani del golpe militare del 28 giugno. Di seguito pubblichiamo il testo completo della dichiarazione di Zelaya:

PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA DI HONDURAS


Dallo scrittorio del
Signor Presidente
6 gennaio 2010.

COMUNICATO.

ATTI PREPARATORI PER OTTENERE L'IMPUNITÀ DEI MILITARI ED EVADERE LA PUNIZIONE DEGLI ALTRI AUTORI MATERIALI ED INTELLETTUALI DEL GOLPE DI STATO.


ACCUSE DI “COMPADRE HABLADO”
(persona con cui si ha fatto un patto di nascosto)


Al popolo Honduregno ed alla comunità internazionale di fronte alla situazione annunciata dal Procuratore Generale che ha promosso delle accuse superficiali contro la cupola delle forze armate in Honduras,
comunico quanto segue:

È un fatto pubblico noto e di conoscenza internazionale che il giorno 28 giugno i militari hanno assaltato casa mia a colpi d’armi da fuoco, mi hanno sequestrato e mi hanno portato con la forza in Costa Rica, il Congresso Nazionale ha falsificato la mia rinuncia ed in un abuso di potere ha emesso un decreto illegale dove “mi separa dalla carica di Presidente Costituzionale” senza facoltà costituzionali per farlo, come l'ordine di cattura che ha emesso posteriormente la Corte di Giustizia in complicità col Procuratore Generale senza avere nessuna accusa e senza avermi citato in nessun tribunale né processo. È stato condannato e considerato da tutti i governi e giuristi del mondo come una rottura violenta e sorprendente dell'ordine democratico, un Golpe di Stato Militare.

Oggi utilizzando un trucco, un nuovo stratagemma il Procuratore Generale, che ha la stessa o più responsabilità degli stessi militari, presenta delle accuse da “compadre hablado” (persona con cui si ha fatto un patto di nascosto), per ottenere l'impunità dei militari, accusandoli di delitti minori, abuso di autorità e non per i delitti gravi che hanno commesso, tradimento alla patria, omicidi, violazioni dei diritti umani, torture al popolo honduregno, è chiaro che quello che realizza sono gli atti preparatori per ottenere l'impunità dei militari ed evadere la punizione degli altri autori materiali ed intellettuali del golpe di stato militare.


Mettiamo in allerta gli honduregni e la Comunità Internazionale, affinché non caschino nell'inganno di avallare l'impunità attraverso questa frode processuale, preparata dalle stesse persone ed istituzioni che hanno rotto l'ordine democratico ed oggi pretendono di lavarsi le mani come Ponzio Pilato.

 

Al popolo Honduregno ed alla comunità internazionale manifesto e reitero che non rinuncerò al mandato che mi ha conferito il popolo e con dignità ed onore continuerò a difendere i principi democratici e la ricerca di soluzioni giuste che permettano la trasformazione ed i cambiamenti per l’Honduras.

La nostra lotta è pacifica, le nostre armi sono le idee.

JOSÉ MANUEL ZELAYA ROSALES.
PRESIDENTE.

 

Il golpe in Hondures ha

danneggiato il Centro America

 

6 gennaio 2010 - www.granma.cu (AIN)

 

Il regime golpista honduregno ha compiuto lunedì mezzo anno al potere, sordo agli appelli di restituzione dell’ordine costituzionale, circostanza che ha sottoposto il Centro America alla sua peggiore crisi dagli anni 80.

 

Un commento di AFP ha segnalato che l’Honduras si trova in una situazione di calma dopo le feste natalizie e che il gruppo a favore del presidente deposto Manuel Zelaya, non ha programmato manifestazioni per il compimento dei sei mesi dal golpe del 28 giugno.

 

Ma il rovesciamento di Zelaya, che è da settembre rifugiato nell’ambasciata brasiliana a Tegucigalpa, ha lasciato tracce in tutto il Centro America, mentre gli honduregni hanno visto aumentare i propri problemi economici ed il livello di insicurezza.

 

Oggi il coordinatore del Fronte di Resistenza contro il Golpe, Juan Barahona, ha affermato che “Ci sono state perdite incalcolabili sul piano economico, politico e sociale. C’è stato un passo indietro di 40 anni rispetto al livello di sviluppo che l’Honduras aveva il 28 giugno”.

 

Ha assicurato inoltre che a causa dell’aumento dei licenziamenti nelle imprese per la crisi, si è aggravata la situazione economica nei settori sociali più poveri, ha aggiunto che gli effetti del colpo hanno danneggiato il commercio con i paesi vicini e che si è paralizzato il processo di integrazione regionale per aver sospeso la Conferenza Centroamericana che si sarebbe dovuta svolgere in Costa Rica.

 

Sono inoltre paralizzate le negoziazioni del blocco centroamericano con l’Unione Europea, per cui la firma di un Accordo di Associazione, prevista per gli inizi del 2010 dovrà continuare ad attendere.

 

J.Barahona:"Honduras è

 

un grande campo di lotta”

 

4 gennaio 2010 - Ida Garberi responsabile della pagina web in italiano di Prensa Latina

 

“Se il presente è di lotta, il futuro è nostro”
Ernesto Che Guevara

 
Lo so che forse potrei sembrare ripetitiva, però è che le assemblee domenicali nella sede dello STIBYS (Sindacato dei Lavoratori dell’Industria delle Bevande e Simili) a Tegucigalpa credo che potrebbero emozionare anche la persona più frigida della terra. Sono un’esplosione di gioia resistente, di canti, di slogan, di cibo preparato con tanto amore per poter far sussistere tutto un popolo in resistenza.


Ed è proprio in questa sede che conosco personalmente per la prima volta Juan Barahona, coordinatore generale del Fronte Nazionale contro il golpe di stato in Honduras, colui che dall’epoca delle medie, quando ancora era un adolescente, ha dedicato tutta la sua vita alla lotta per i più poveri, per i lavoratori più umili.


Questo movimento del Fronte Nazionale, che lui coordina, mi sorprende per la sua capacità agglutinante, che ha saputo mettere d’accordo forze progressiste che prima del 28 giugno non erano riuscite a dialogare alla pari, sullo stesso piano.


Mentre parlo con Juan, un compagno pieno di ottimismo e di buon umore, i canti della Resistenza fanno da sottofondo nel mio registratore, sono la colonna sonora di queste giornate storiche, dolorose,  piene di speranza, ma anche di sofferenza, di rabbia e di impotenza davanti a tanta violenza gratuita da parte del governo de facto di Gorilletti, pardon Micheletti e dei suoi laccai compiacenti.


“Honduras, il popolo sta con te……..Honduras, un popolo che non tace……Honduras resiste alla battaglia…….perché torni José Manuel Zelaya”, sono le parole dell’inno della Resistenza, composto e regalato al popolo honduregno dal gruppo venezuelano Abiayala, una forma per aiutare la lotta dei ribelli al terribile e violento golpe di stato del 28 giugno, che ha strappato dal suo paese il presidente democraticamente eletto, Manuel Zelaya Rosales.


Juan Barahona mi racconta che il Fronte Nazionale contro il golpe di stato nasce esattamente il 29 giugno, mentre il popolo honduregno è in piena rivolta sulle strade, ancora scosso per l’accaduto che ha sconvolto l’ordine costituzionale, però già deciso che la lotta per il ritorno del presidente ed un’assemblea costituente non può fermarsi.


Da subito la gente si rende conto che ha bisogno di una struttura che gli permetterà di attuare con coordinazione, attualmente tutti i settori popolari come indigeni, maestri, donne in resistenza, la popolazione negra “garifuna”, medici, sindacalisti, contadini, operai, una parte della piccola e media impresa, giovani e studenti, un settore della chiesa cattolica ed evangelica non golpista, gli artisti contro il golpe, gli avvocati contro il golpe dialogano e costruiscono la strategia con la Coordinatrice del Partito Liberale contro il golpe di stato e con il Partito Unificazione Democratica.

 
Personalmente, sono molto interessata quando Juan Barahona mi spiega che la strategia del Fronte si basa su una struttura orizzontale partecipativa, più tipica dei movimenti sociali che dei partiti politici tradizionali, il popolo è stanco di eleggere rappresentanti troppe volte corrotti che fanno promesse durante la campagna elettorale e non mantengono mai i loro compromessi con gli elettori, una volta eletti e dopo aver guadagnato il loro “piccolo” spazio di potere.


Il fatto entusiasmate è che anche parte dei partiti politici tradizionali ha accettato il cambiamento e lavora sulla strada gomito a gomito con il Blocco Popolare, il gruppo che racchiude la parte non partitica del Fronte.


Juan mi spiega che il golpe di stato non li ha colti di sorpresa, la rapidità dell’organizzazione è anche dovuta ad un lavoro capillare nei quartieri e nei posti di lavoro, continue assemblee popolari per informare e preparare il popolo hanno permesso una diffusione nazionale del Blocco Popolare, sorto il 2 maggio 2000, con la caratteristica di un movimento antisistema, antimodello e anticapitalista.


Il confronto con il governo neoliberale è stato molto duro fin da subito ed in agosto 2003 avevano già “vinto sulla strada” ed è riuscito a convocare uno sciopero nazionale che a livello della capitale, l’ha paralizzata bloccando le quattro entrate. Un ruolo importante nel Blocco è svolto dalla Coordinatrice di Resistenza popolare, che riunisce tutti i movimenti sociali.


In altre occasioni tutto il paese è stato messo in ginocchio da dei blocchi delle principali arterie stradali honduregne.


Un fatto che mi colpisce moltissimo è che la comunità del Fronte vede Zelaya come un leader indiscusso: poco prima di conversare con Juan, il presidente democraticamente eletto e assediato dal 21 settembre nell’ambasciata del Brasile a Tegucigalpa, ha chiamato per telefono Barahona ed ha salutato il suo popolo, tra innumerevoli manifestazioni di affetto e vocio di giubilo.


“Dobbiamo continuare a gridare le nostre verità, stanno cercando di zittirci per poter perpetrare impuni i loro crimini, ma non lo possiamo permettere, io sono la soluzione al golpe, non sono un problema, come dice Micheletti”, afferma Zelaya.


Ed effettivamente penso che purtroppo la comunità internazionale non ha agito abbastanza fortemente per poter ottenere una soluzione democratica: per esempio, una delegazione dell’Unione Europea che doveva incontrarsi per firmare un accordo di associazione tra America Centrale ed Europa, ha preferito informarsi in Costa Rica!, su cosa sta succedendo in Honduras, preoccupata solo di risolvere il problema del contratto sulla banana e di non avvicinarsi troppo ai ribelli, per paura del contagio di una strana febbre progressista.


Chissà che il “morbo” di sinistra ci faccia il miracolo, ed arrivato nei paesi del primo mondo possa (magari!) svegliare, per esempio, il popolo italiano, apatico ed rimbecillito davanti alle numerose televisioni di proprietà del primo ministro psiconano, perdon Berlusconi.


Incuriosita ed affascinata dall’appoggio al presidente, chiedo a Juan se il Blocco Popolare aveva appoggiato Zelaya fin dal principio della sua compagna elettorale e lui sinceramente mi chiarisce che il popolo all’inizio era diffidente della posizione borghese del mandatario e si è avvicinato a lui quando ha visto concretarsi fatti come la diminuzione del prezzo della benzina, l’adesione all’ALBA (Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nostra America) e soprattutto l’aumento del salario minimo.


Dopo questi fatti, quando Mel, come chiamano affettuosamente Zelaya i suoi sostenitori, ha proposto l’inchiesta con la quarta urna (per sapere se la maggioranza del popolo in Honduras volesse la convocazione ad un’assemblea costituente) già tutto il movimento era pronto a seguirlo. E come afferma Juan, “siamo pronti a continuare questa lotta pacifica fino all’ultima conseguenza, come dimostrano i nostri martiri, che non ci hanno lasciato in vano”.


E mentre Juan pronuncia questa frase, un ribelle del Fronte lo ascolta e mi grida nel registratore uno dei tanti slogan, per riconfermare: “Sangue di martiri, seme di libertà”.


Ma tutta questa energia, questa tremenda convinzione e questa dedizione assoluta per il popolo, come è incominciata in Juan?


Questo leader sindacale, con il suo sorriso franco ed onesto, mi racconta che fin dalle medie era un ragazzo militante.


Ha frequentato il collegio più grande non solo di Honduras ma anche di tutta l’America Centrale, l’Istituto Central Vicente Caseres e qui a parte le materie di studio, mi confessa di aver appreso anche a lottare sulla strada per difendere i suoi diritti di studente. “Questo Istituto è famoso per aver forgiato i dirigenti che hanno lottato per le cause giuste degli anni 70 e 80 ed anche oggi continua nella battaglia, dal momento che è in Resistenza, sta insegnando ai suoi alunni a preservare la scuola pubblica ed ha avere forza, coraggio e vigore per difendere il loro paese e pretendere una patria nuova”.


E mentre Juan mi parla, penso che è veramente invidiabile la forza di questo uomo che ha compiuto 55 anni proprio da poco, il 12 luglio: non ha potuto festeggiare con calma con la sua famiglia, perché era sulla strada in Resistenza, però in compenso è stato accompagnato dall’affetto di tutto un popolo.


Fisso il mio sguardo sul suo berretto con l’effige del Che Guevara, il simbolo di Barahona, che permette di individuarlo facilmente tra le centinaia di “camminanti”, come chiamano il popolo in resistenza, quando ci si incontra nel luogo di raduno, fissato ogni mattina.


Un simbolo così emblematico che anche durante il dialogo tra le due delegazioni, quella di Zelaya e quella dei golpisti, svoltosi in un hotel a quattro stelle e molto snob, è stato parte del suo abbigliamento, il compagno Barahona non ha abbandonato il Che Guevara ed i suoi fedeli jeans, cosa che è stata apprezzata dai membri del Fronte.


In qualsiasi leader di un movimento i suoi seguaci amano, chiaramente, che sia coerente con i suoi ideali.


“Compagna, se lei porta questa spilla di Mel deve stare in Resistenza, allora per piacere, dica a Juan Barahona che mi ha commosso quando ho visto come stava vestito nell’hotel dei ricchi, lo apprezzato ancora di più perché non aveva la giacca e la cravatta ed il Che Guevara era presente nel dialogo, glielo dica che il popolo gli vuole bene perché non gli interessano le vuote convenzioni ”, mi ha detto spontaneamente un taxista mentre mi conduceva alla casa dove alloggio.


Quando racconto l’accaduto a Juan mi regala uno dei suoi ampi sorrisi e mi confessa di sentirsi contento quando la gente comprende fino in fondo il suo modo di attuare, sempre dalla parte del popolo.


“Cara compagna, io sono molto contento che lei ci accompagni in questi momenti tanto duri, la stampa internazionale progressista è quella che ci permette di vivere, di avere una voce che grida agli orecchi sordi del mondo, il tiranno sta cercando di buttarci nell’oblio, nel silenzio, perché nessuno sappia le violazioni, le torture, i soprusi che sta subendo il popolo honduregno”.


“Le cose che sono successe hanno provocato il fatto che il popolo honduregno continuerà sulla strada anche dopo la restituzione del presidente Zelaya, anche dopo la formazione dell’assemblea costituente, quando riusciremo ad ottenerla.


Perché definitivamente il popolo hondegno ha dato una svolta nella sua vita, lo stesso popolo di oggi, quello del dopo 28 giugno, non è lo stesso che il popolo prima del 28 giugno, abbiamo imparato a lottare molto di più in questi ultimi 4 mesi che negli ultimi 90 anni!”.   

 

Saluto Juan e lo ringrazio per la chiacchierata, augurando al suo meraviglioso popolo di poter ottenere il più rapido possibile la restituzione del loro presidente democraticamente eletto e la formazione di un’assemblea costituente, ricordando le parole del Comandante in Capo Fidel Castro, che trattando il tema Honduras, ha affermato: “Abbiamo visto sorgere una nuova coscienza nel popolo honduregno. Un'intera legione di combattenti  sociali si è temprata in quella battaglia. Zelaya ha compiuto la sua promessa di ritornare. Ha il diritto ad essere ristabilito al Governo ed a presiedere le elezioni. Dai combattivi movimenti sociali stanno emergendo nuovi e ammirevoli funzionari, capaci di guidare il popolo lungo i difficili cammini che attendono i popoli della Nostra America. In quel paese sta nascendo una Rivoluzione”.
 

notizie di dicembre 2009