La disarticolazione della

 

Legge di Aggiustamento

 

 

21.01.2013  -  Jesús Arboleya Cervera http://wordpress.jovenclub.cu/

 

 

In dichiarazioni alla stampa, i congressisti cubano americani Ileana Ros-Lehtinen e Joe Garcia hanno espresso due posizioni radicalmente diverse per quanto riguarda la Legge di Aggiustamento Cubano.

Approvata nel 1966, questa legge prevede che le persone di origine cubana che entrano negli Stati Uniti, dopo il primo gennaio 1959, possono ottenere la residenza legale dopo un anno di permanenza, ciò che gli permette di  passare il processo verso la cittadinanza in modo molto più veloce degli altri immigrati.

Secondo Garcia, il primo cubano-americano democratico eletto congressista a Miami, la Legge di Aggiustamento è stato il "miracolo" che ha permesso agli immigrati cubani  integrarsi "quasi immediatamente" nella società USA e, pertanto, sostiene decisamente il suo mantenimento. Da parte sua, la repubblicana Ros-Lehtinen, assumendo la stessa posizione presa da altri rappresentanti del suo partito, propone eliminare i vantaggi della legge per tutti coloro che decidono visitare la loro patria d'origine.

"Non può dire che uno può essere considerato perseguitato per motivi politici a Cuba e, al tempo stesso, tornare a Cuba in visita" ha detto, a ragione, Ros-Lehtinen. Solo che invece di riconoscere l'evidenza che tale persecuzione non esiste, spera che il mito sia imposto mediante misure coercitive.

Penso che neppure la stessa congressista possa dare credito alla legittimità di questa proposta e anche se tutto può succedere nella politica USA nei confronti di Cuba, è più probabile che, piuttosto che la sua riforma, il dibattito conduca alla sua eliminazione, che serve lo stesso agli interessi dell'estrema destra, il cui vero scopo è quello di ritardare l'accesso di nuovi immigrati alla politica locale e così sottrarre forza potenziale a un settore dell'
elettorato che ha dimostrato, in gran parte, di rifiutarla.

Anche se con un passato che lo lega alla Fondazione Nazionale Cubano Americana
FNCA ed essendo anche parte della macchina che controlla la vita politica dell'enclave cubano americana, Garcia ci si  presenta con una posizione diversa da quella dell'estrema destra tradizionale e qui sta la novità del suo messaggio, non importa che per giustificarsi ricorra al trito argomento che lo motiva il fatto che non è cambiata "la situazione a Cuba".

Non si tratta solo che lui è un democratico, altri politici cubano americani lo sono stati con discorso identico al repubblicano, ma perché ha vinto difendendo l'agenda di rendere più flessibili i contatti degli emigrati e dei loro discendenti con la società cubana e sembra abbastanza intelligente per capire l'anacronismo delle posizioni che non hanno fondamento nella realtà e si contraddicono con le tendenze che sicuramente predomineranno nel futuro politico della comunità cubano-americana. Almeno, dobbiamo dare il beneficio del dubbio a Joe Garcia quando ci dice: "sono maturato, é passato molto tempo e ho imparato".

Il paradosso è che, per altri motivi e per altri scopi, finalmente l'estrema destra cubana americana si trova a coincidere con il governo cubano nella critica di una legge, che sin dalla sua origine, ha mostrato la sua intenzione politica che trascende il problema migratorio, e per suo contenuto e funzioni, non ha precedenti nella storia USA.

A questo si aggiunge che, allo scopo di destabilizzare la società cubana, è stato un incoraggiamento all'emigrazione illegale, dal momento che hanno potuto beneficiarsene coloro che entrarono in territorio USA in questo modo, ciò che si contraddice con le norme migratorie di questo paese, anche con lo stesso testo della Legge di Aggiustamento.

Forse nessuna altra costruzione mediatica é stata tanto efficace per giustificare la belligeranza contro Cuba, come la presunta natura di "perseguitati politici" che viene attribuito alla migrazione cubana. Quindi che l'estrema destra capisca che viene giù tutta l'impalcatura che sostiene le sue posizioni, quando si constata che possono viaggiare liberamente per riunirsi con famigliari e amici, investire in piccole imprese, anche e perché no, "bere mojitos e ballare rumba" nel paese dei loro presunti persecutori. Opportunità che, per di più, sono ancora più facili come risultato delle
riforme migratorie recentemente approvate a Cuba.

Allo sgretolarsi, per suo proprio peso, la capacità di manipolazione politica che ha convertito in "esiliati politici" coloro che, evidentemente, non lo sono, e se gli Stati Uniti, per il proprio beneficio, assumano una posizione responsabile nei confronti all'ingresso illegale ed incontrollato di immigrati da Cuba, non vedo alcuna ragione perché il governo cubano si senta minacciato dalla presenza di una legge il cui presunto obiettivo è quello di offrire agevolazioni per l'insediamento delle persone che arrivano legalmente in quel paese ed, in questo senso, potrebbe servire da modello per una politica migratoria più compassionevole verso tutti gli immigrati.

Garcia ha ragione quando predice che sarà difficile difendere il mantenimento della Legge di Aggiustamento Cubano, non solo perché c'è qualcuno che "agisce contro la sua stessa gente", come è stato detto, ma perché a causa dei cambiamenti nella comunità cubano-americana e della stessa società cubana ora non è più funzionale ai fini sovversivi che la originarono. Di conseguenza, il dibattito sulla Legge di Aggiustamento è solo un esempio di tutto ciò che riguarda la politica verso Cuba.

Di recente, in un evento accademico celebrato  a Cuba con la partecipazione di vari studiosi nord americani, una domanda ricorrente era "ciò che perdono gli Stati Uniti al non tenere normali relazioni con Cuba" e da questa analisi è sorta una lunga lista di opportunità, dalle possibilità di affari sino al contro del traffico di droga.

Volevo, tuttavia, fare la domanda al contrario e discutere "quello che hanno guadagnato gli Stati Uniti  non tenendo relazioni normali con Cuba". Dal mio punto di vista, non è stata una politica insensata che ha ignorato gli interessi egemonici di Washington, come alcuni pensano, ma che oltre a creare innumerevoli difficoltà al processo rivoluzionario per anni è riuscita ad isolare Cuba dal resto del continente e stabilire i limiti del dominio USA nell'area.

Evidentemente, anche se non ha raggiunto l'obiettivo finale di distruggere la Rivoluzione cubana, convenne al momento; il problema è che questa politica ora non è più sostenibile per ragioni che sfuggono al controllo USA e lo stesso avviene con la politica migratoria verso Cuba.

Il dilemma per l'estrema destra cubano-americana non si limita, quindi, a cercare di cambiare le regole del gioco modificando una legge che ora non serve più ai suoi interessi, ma preoccuparsi sino a che punto le sue posizioni ora non sono più convenienti alla politica USA e tutta questa discussione non è più che espressione della sua propria decadenza.

 

 

El desajuste de la Ley de Ajuste

Jesús Arboleya Cervera http://wordpress.jovenclub.cu/

En declaraciones a la prensa, los congresistas cubanoamericanos Ileana Ros-Lehtinen y Joe García acaban de expresar dos posiciones radicalmente distintas respecto a la Ley de Ajuste Cubano.
Aprobada en 1966, esta ley establece que las personas de origen cubano que ingresen a Estados Unidos después del primero de enero de 1959, pueden obtener la residencia legal al año de estancia en mismo, lo que les permite transitar el proceso hacia la ciudadanía mucho más rápido que el resto de los inmigrantes.
Según García, primer cubanoamericano demócrata electo como congresista en Miami, la Ley de Ajuste ha sido el “milagro” que ha permitido a los inmigrantes cubanos integrarse “casi inmediatamente” a la sociedad estadounidense, por lo que apoya decididamente su mantenimiento. Por su parte, la republicana Ros-Lethinen, asumiendo la misma posición ya planteada por otros representantes de su partido, propone eliminar de sus beneficios a todos aquellos que decidan visitar su patria de origen.
“No se puede afirmar que uno puede ser considerado perseguido por razones políticas en Cuba y, al mismo tiempo, regresar de visita”, dice con razón Ros-Lethinen. Solo que en vez de reconocer la evidencia de que tal persecución no existe, aspira a que el mito se imponga, mediante medidas coercitivas.
Creo que ni la propia congresista puede dar crédito a la legitimidad de esta propuesta y aunque todo puede ocurrir en la política norteamericana hacia Cuba, lo más probable es que, más que a su reforma, este debate conduzca a su eliminación, lo que sirve igual a los intereses de la extrema derecha, cuyo verdadero objetivo es demorar el acceso de los nuevos inmigrantes a la política local y así restar fuerza potencial a un sector del electorado que ha demostrado rechazarlos mayoritariamente.
Aunque con un pasado que lo vincula a la Fundación Nacional Cubano Americana y siendo también parte de la maquinaria que controla la vida política del enclave cubanoamericano, García se nos presenta con una posición distinta a la extrema derecha tradicional y en ello radica lo novedoso de su mensaje, sin importar que para justificarse recurra al manido argumento de que lo motiva el hecho de que no ha cambiado “la situación en Cuba”.
No se trata solo de que sea un demócrata, otros políticos cubanoamericanos lo han sido con idéntico discurso republicano, sino porque ganó defendiendo la agenda de flexibilizar los contactos de los emigrados y sus descendientes con la sociedad cubana y parece lo suficientemente inteligente para comprender el anacronismo de posiciones que no tienen sustento en la realidad y se contradicen con las tendencias que seguramente predominarán en el futuro político de la comunidad cubanoamericana. Al menos, debemos darle el beneficio de la duda a Joe García cuando nos dice: “he madurado, ha pasado mucho tiempo y he aprendido”.
La paradoja es que, por otras razones y con otros propósitos, finalmente la extrema derecha cubanoamericana venga a coincidir con el gobierno cubano en la crítica a una ley, que desde su origen mostró una intención política que trasciende el problema migratorio y, por su contenido y funciones, no tenga paralelo en la historia de Estados Unidos.
A ello se agrega que, con fines desestabilizadores de la sociedad cubana, ha sido un estímulo a la emigración ilegal, toda vez que han podido acogerse a ella los que ingresan al territorio estadounidense por esta vía, lo que se contradice con las normas migratorias de ese país, incluso con el propio texto de la Ley de Ajuste, que exige calificar según las mismas.
Quizá ninguna otra construcción mediática ha sido tan eficaz para justificar la beligerancia contra Cuba, como esta supuesta naturaleza de “perseguidos políticos” que se achaca a la emigración cubana. De aquí que la extrema derecha comprenda que se viene abajo todo el andamiaje que sustenta sus posiciones, cuando se comprueba que pueden viajar libremente para reunirse con familiares y amigos, invertir en pequeños negocios, incluso, por qué no, “tomar mojitos y bailar rumba” en el país de sus supuestos perseguidores. Oportunidades que, por demás, se facilitan aún más como resultado de las reformas migratorias recientemente aprobadas en Cuba.
Al desmoronarse por su propio peso la capacidad de manipulación política que convirtió en “exiliados políticos” a los que evidentemente no lo son y Estados Unidos, en su propio beneficio, asuma una postura responsable frente al ingreso ilegal e incontrolado de inmigrantes procedentes de Cuba, no veo razones para que el gobierno cubano se sienta amenazado por la existencia de una ley, cuyo supuesto objetivo es brindar facilidades para el asentamiento de las personas que arriben legalmente a ese país y, en tal sentido, hasta pudiera servir de patrón para una política migratoria más compasiva hacia todos los inmigrantes.
García tiene razón cuando pronostica que será difícil defender el mantenimiento de la Ley de Ajuste Cubano, no solo por existir algunos “que actúan contra su propia gente”, como ha planteado, sino porque debido a las transformaciones de la comunidad cubanoamericana y la propia sociedad cubana, ya no es funcional a los fines subversivos que la originaron. De resultas, el debate sobre la Ley de Ajuste constituye solo un botón de muestra de todo lo que atañe a la política hacia Cuba.
Recientemente, en un evento académico celebrado en Cuba con la participación de varios estudiosos norteamericanos, una interrogante recurrente fue “lo que pierde Estados Unidos no teniendo relaciones normales con Cuba” y de este análisis surgió una gran lista de oportunidades, desde las posibilidades de negocios hasta el control del narcotráfico.
Quise, sin embargo, hacer la pregunta al revés y discutir “lo que ha ganado Estados Unidos no teniendo relaciones normales con Cuba”. Desde mi punto de vista, no ha sido una política insensata que ha desconocido los intereses hegemónicos de Washington, como piensan algunos, sino que, además de crear innumerables dificultades al proceso revolucionario, durante años logró aislar a Cuba del resto del continente y establecer los límites del dominio norteamericano en el área.
Evidentemente, aunque no alcanzó el objetivo final de destruir a la Revolución cubana, le convino en su momento, el problema es que tal política ya no es sustentable por razones que escapan de su control y lo mismo ocurre con la política migratoria hacia Cuba.
El dilema para la extrema derecha cubanoamericana no se limita, por tanto, a intentar cambiar las reglas del juego modificando una ley que ya no sirve a sus intereses, sino preocuparse hasta que punto sus posiciones ya no son convenientes a la política norteamericana y toda esta discusión no es más que expresión de su propia decadencia.