L'IRI e la sovversione

in Cuba

 

 

17 marzo '08 - Carlos Fazio* www.prensa-latina.cu

 


La rivoluzione cubana ha cominciato una nuova fase. Si tratta di un processo vivo, dinamico, in costante evoluzione e costruzione autoctone, pieno di parametri originali. Per questo motivo, ci saranno molti cambiamenti sull'isola, ma non nel senso che i nemici della rivoluzione avrebbero voluto. Che non si illudano. Un'altra volta, Fidel Castro e la dirigenza cubana arrivarono prima di qualunque aspettativa della Casa Bianca. La rinuncia di Fidel alla direzione governativa è successa nel contesto del milionario circo pre-elettorale statunitense e dei crescenti segni di debolezza del presidente George W. Bush. Alla fine è accaduto quello che molti prevedevano: Fidel si é ritirato dal governo. Ma il come, pochi l'immaginavano. Con la sua abituale maestria politica, Fidel maneggiò i tempi con gran precisione ed esibì che Washington non aveva una strategia per uno scenario che non si aspettava assolutamente: una successione del potere sull'isola senza soprassalti.  

Dieci successive amministrazioni nella Casa Bianca aspettarono per decadi l'uscita dal potere di Fidel, e quando, il
19 febbraio scorso, dopo un lungo e maturo processo di riflessione lui annunciò la sua rinuncia, non è accaduto quello che avevano pronosticato sempre gli Stati Uniti: i cubani non uscirono a festeggiare sulle strade, il paese non collassò, né sopravvenne il caos. La ragione è semplice: Fidel Castro è un leader eccezionale, un gran statista e stratega.

 

Ma senza la volontà politica del popolo cubano e la sua capacità di comunicare, pensare, decidere ed auto-governarsi, quella rivoluzione etica, umanista, internazionalista e solidale, di impronta caraibica e latinoamericana, che collocò l'uomo e la donna concreti come centro del processo, non sarebbe sopravvissuto.  

Ora, l'assunzione di Raul Castro alla direzione di Stato e di governo cubani segna profondamente la continuità di un processo radicato nel seno della società e costruito da quasi quattro generazioni nella cornice di una vera “cittadinazione”  del potere. Raul dirige una ferma leadership collettiva, lontano da qualunque pratica di laboratorio. Per questo motivo, i lunghi mesi di assenza temporanea di Fidel non sboccarono in una situazione “senza uscita”. Il popolo cubano ha percepito la successione con calmata maturità politica ed il paese funzionò col suo ritmo abituale. In Cuba non incominciò la “transizione post-castrista”, come bandiscono gli epigoni ed i propagandisti dell'impero. La delegazione provvisoria dei poteri e l'elezione di un nuovo governo ora, hanno garantito la continuità del processo rivoluzionario. E questo è così perché da molti anni lo Stato e la società cubana contano su meccanismi giuridici ed organizzativi che garantiscono quella continuità oltre la sopravvivenza del suo leader storico. Si sbaglia, dunque, chi crede che la rinuncia di Fidel significhi il principio della fine del socialismo sull'isola. Non c'è nessun sintomo che settori significativi della società cubana aspirino a che ritorni il capitalismo.  

Ma, come disse
nell'agosto 2006 Raul Castro, “non si può scartare il pericolo che qualcuno diventi pazzo, o più pazzo ancora, dentro il governo statunitense”. Per questo motivo Cuba non trascura la sua difesa. Non è per paranoia bellicista. Vari anni fa che la “guerra preventiva” dell'amministrazione Bush smise di essere semplice teoria, Afghanistan, Iraq, Haiti, Venezuela, Somalia ed ora l'avventura bellicista nella quale imbarcò Alvaro Uribe in Sud-America lo dimostrano. Washington non ha un'altra via che quella militare per cambiare la situazione sull'isola.  

La
Commissione di Aiuto per una Cuba Libera, presentata dal capo della Casa Bianca nel 2004, persegue un “cambiamento di regime” e far ritornare l'isola alla sua condizione di colonia. Per ciò, Washington ha reso più dura la guerra economica contro Cuba, mediante l'applicazione extraterritoriale di leggi che colpiscono i paesi terzi e hanno come obbiettivo di frustare e boicottare i commerci e lo sviluppo dei rami fondamentali dell'economia cubana.  

Inoltre, continua ad utilizzare con fini sovversivi l'Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) che spreca il denaro dei contribuenti statunitensi con progetti assurdi come la supposta inchiesta realizzata a Cuba alla fine dell'anno scorso, della quale si fecero eco il Diario delle Americhe ed i canali di televisione TV 51 (Telemundo) e TV 23 (Univision) di Miami. L'obiettivo dell'ipotetica inchiesta dell'IRI, nel contesto delle elezioni e della successione “dopo Fidel” era mostrare, in maniera infruttuosa, un'immagine irreale ed assurda del processo cubano, in questione “l’enorme” grado di rifiuto popolare verso il governo, in aperta contraddizione coi risultati delle
votazioni dello scorso 20 gennaio e l'ambiente di normalità e tranquillità cittadina che prevale in Cuba fino ai nostri giorni. Oltre alla sua discussa sincerità, la metodologia esposta e la formulazione di domande con messe a fuoco chiuse, insieme a tergiversazioni e manipolazioni, esibivano che la funzione di questa l'inchiesta era raggiungere solo obiettivi destabilizzatori sull'isola.  

Secondo una relazione del 2006 della commissione che dirige Condoleezza Rice, l'IRI – finanziato dal Fondo Nazionale per la Democrazia (
NED) che risponde al Dipartimento di Stato – è uno degli strumenti che contribuiscono alla “formazione di partiti politici ed altri gruppi di opposizione sull'isola”, con l'obiettivo di distruggere la rivoluzione e propiziare la chiamata “transizione alla democrazia”. Attraverso l'IRI, il governo di Bush ha dato appoggio sistematico a capoccia controrivoluzionari ed utilizza il conferimento di “premi”, come quello concesso a Oscar Elias Biscet, per giustificare la fornitura di fondi materiali e finanziari con fini sovversivi, sull'isola e all'estero. Tuttavia, l'elezione di gennaio, nella quale suffragarono più di 7 milioni 800 mila cubani (96,89% dell'anagrafe), evidenziò le motivazioni e la natura partecipativa del popolo cubano. Ci saranno dei cambiamenti, sì, ma alla cubana.  
 


* l’autore è un giornalista de La Jornada

tradotto da Ida Garberi