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Ecuador
Prima
Honduras, adesso
Ecuador,
poi.. |
25 novembre 2010 -
Prensa Latina Carmen Esquivel*
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Un anno dopo il golpe di Stato in Honduras,
i recenti avvenimenti in Ecuador dimostrano che settori opposti ai
cambiamenti nella regione sono attivi e costituiscono una minaccia per i
processi democratici in marcia. “Dopo Zelaya, il prossimo sono io”, aveva
detto il presidente ecuadoriano, Rafael Correa, quando nel giugno del 2009 i
militari honduregni hanno sequestrato il mandatario Manuel Zelaya e lo hanno
portato forzatamente in Costarica. La storia gli ha dato ragione.
Ed è che, nonostante le peculiarità di ogni paese, negli avvenimenti in
Honduras ed in Ecuador esiste un parallelismo evidente.
Entrambe le cospirazioni hanno tra i loro protagonisti i settori
dell’estrema destra, appoggiati dagli Stati Uniti, che davanti
all’impossibilità di giungere al potere tramite le elezioni, tentano di
raggiungerlo in maniera violenta per non perdere i loro privilegi.
“Noi che abbiamo alzato la bandiera del Socialismo siamo nel mirino delle
forze della destra, il cui padrone è a Washington”, ha dichiarato il capo di
Stato del Venezuela, Hugo Chavez, quando ha saputo i fatti accaduti in
Ecuador.
Se ritorniamo al 28 giugno dell’anno scorso, ricorderemo che Zelaya è stato
sconfitto lo stesso giorno in cui si sarebbe avviata un’inchiesta allo scopo
di conoscere l’opinione dei cittadini riguardo le future riforme
costituzionali.
Settori dell’oligarchia, che hanno visto nell’inchiesta una minaccia ai loro
interessi, hanno cercato di ingannare l’opinione pubblica con l’argomento di
che l’intenzione del presidente era estendere il suo mandato aldilà del
gennaio 2010.
Quello che è successo ora in Ecuador evoca la rottura istituzionale in
Honduras.
Come è capitato a Zelaya, Correa è stato sequestrato e il pretesto per lui è
stata la Legge del Servizio Pubblico, il cui contenuto è stato manipolato
per disinformare i poliziotti insubordinati.
Se quello che è successo in Honduras hanno tentato di presentarlo come una
successione presidenziale, in Ecuador i grandi mezzi internazionali
parlavano di una semplice sollevazione della polizia.
Però la reclusione del presidente durante 12 ore in un ospedale della
polizia, le azioni coordinate in diverse città e l’occupazione
dell’aeroporto di Quito, hanno messo in evidenza che si trattava di un
progetto per sconfiggere il governo.
Un’inchiesta realizzata da Prensa Latina questa settimana ha mostrato che il
66,7% degli intervistati hanno considerato gli avvenimenti in Ecuador come
un tentativo di golpe di Stato e di assassinio del presidente.
Fortunatamente in Ecuador, la ferma posizione di Correa, la mobilitazione
del popolo in difesa del suo presidente e la risposta del Comando Congiunto
delle Forze Armate, hanno fatto abortire il tentativo.
Non è successa la stessa cosa in Honduras, dove l’alleanza di 10 potenti
gruppi della oligarchia, con le forze armate, la Procura, il Congresso e la
Corte Suprema di Giustizia, ha ottenuto la sconfitta di Zelaya e
l’impostazione di un regime de facto.
Senza dubbio gli avvenimenti in entrambi i paesi, come altri tentativi di
golpe di Stato, simili a quello in Venezuela (2002) ed in Bolivia (2008),
formano parte di una strategia per interrompere con i processi di
cambiamento e disarticolare i governi progressisti.
Tanto Zelaya come Correa avevano incorporato i loro paesi all’Alleanza
Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) un meccanismo basato
sulla solidarietà, sulla cooperazione e sulla complementazione delle
economie e non del libero mercato.
Nel paese centroamericano, dove il 70% della popolazione vive nella povertà,
Zelaya ha destinato molte risorse a fomentare la produzione nell’area
rurale, ha offerto crediti a piccoli e medi produttori ed ha aumentato i
programmi di salute e d’educazione.
Nel caso di Ecuador, durante il governo di Correa l’educazione e la salute
sono diventate gratuite, la spesa sociale si è moltiplicata e le basi
statunitensi sono state eliminate.
Cosa accade quando un paese chiude una base militare degli Stati Uniti,
minimizza il suo rapporto con Washington, rifiuta il modello neoliberale e
nello stesso tempo aumenta la cooperazione con Iran e Venezuela?, si
chiedeva la ricercatrice Eva Golinger.
Secondo l’analista venezuelana-statunitense, Washington ha cominciato a
muovere le sue pedine per destabilizzare Correa già dall’anno scorso, dopo
il golpe di Stato in Honduras.
Settori dell’estrema destra statunitense hanno espresso il loro appoggio
all’ex presidente Lucio Gutierrez, che Correa ha accusato di essere parte
della cospirazione.
Washington mantiene dei contatti dentro le forze di sicurezza dell’Ecuador e
per lo meno uno dei tre colonnelli arrestati per tentativo di assassinio
contro il presidente, ha studiato nella cosiddetta Scuola delle Americhe.
Hanno avuto un ruolo simile prima, durante e dopo il golpe in Honduras.
Dopo il suo sequestro, Zelaya è stato portato alla base di Soto Cano (Palmerola),
il Dipartimento di Stato si è rifiutato di considerare ciò che è successo
come un golpe di Stato ed i congressisti statunitensi hanno visitato il
paese per appoggiare la dittatura di Roberto Micheletti.
Si è detto che la consumazione della sedizione in Honduras e l’impunità di
cui godono i responsabili, sono il brodo di coltura per la ripetizione di
altri tentativi per sconfiggere i governi democraticamente eletti.
Solo l’unità dei popoli intorno ai loro governi, la posizione dei meccanismi
d’integrazione come l’ALBA e l’UNASUR e il rifiuto della comunità
internazionale, potranno impedire la ripetizione di un altro fatto simile
nella regione.
(*) l’autrice è capo della Redazione Centro
America e dei Caraibi di Prensa Latina.
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Ecuador
Chi
sta dietro al tentativo
di golpe
in Ecuador?
La destra all’attacco di ALBA |
08.10.2010 -
di Eva Golinger su www.rebelion.org del 05/10/2010
www.lernesto.it
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Organizzazioni finanziate da
USAID
e
NED
spingono per l’allontanamento del Presidente Correa, attraverso il
sostegno al colpo di Stato promosso da settori della polizia
ecuadoriana, profondamente infiltrata dagli Stati Uniti.
Un nuovo tentativo di golpe contro un paese dell’Alleanza Bolivariana
per i Popoli della Nostra America (ALBA) attenta all’integrazione
latinoamericana e all’avanzata dei processi di rivoluzione democratica.
La destra è all’attacco. Il suo successo nel 2009 contro il governo di
Manuel Zelaya le ha infuso energia, forza e fiducia nel suo assalto
contro i popoli e i governi della rivoluzione in America Latina.
Le
elezioni
di domenica 26 settembre in Venezuela, sebbene abbiano registrato la
vittoria in particolare del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV),
hanno ceduto degli spazi alle più reazionarie e pericolose forze di
destabilizzazione che sono al servizio degli interessi imperiali. Gli
Stati Uniti sono riusciti a collocare alcuni loro elementi chiave
nell’Assemblea Nazionale del Venezuela, fornendogli una piattaforma per
avanzare nei loro piani cospirativi al fine di soffocare la democrazia
venezuelana.
Il giorno seguente le elezioni in Venezuela, la leader della pace in
Colombia,
Piedad Córdoba
è stata destituita come Senatrice della Repubblica della Colombia dalla
Procura nazionale, sulla base di accuse e prove false. Ma l’attacco
contro la senatrice Piedad simbolizza un attacco contro le forze del
progresso in Colombia che cercano soluzioni vere e pacifiche al
conflitto bellico che dura ormai da più di 60 anni.
E ora, giovedì 30 settembre, l’Ecuador ha vissuto la minaccia del golpe.
Poliziotti insubordinati hanno preso possesso di varie installazioni
nella capitale Quito, creando caos e panico nel paese. Sostenevano di
protestare contro una nuova legge approvata dall’Assemblea Nazionale,
che secondo loro avrebbe tagliato i loro benefici lavorativi.
Il Presidente Rafael Correa, nel tentativo di risolvere la situazione,
si è diretto dai poliziotti insubordinati, ma è stato attaccato con il
lancio di oggetti contundenti e bombe lacrimogene, che gli hanno causato
una ferita alla gamba e un principio di asfissia per il gas. E’ stato
trasportato all’ospedale militare della città di Quito, dove in seguito
è stato sequestrato e gli è stato impedito con la forza di uscire.
Nel frattempo i movimenti popolari hanno invaso le strade di Quito
reclamando la liberazione del loro Presidente, rieletto democraticamente
l’anno scorso con un’immensa maggioranza. Migliaia di ecuadoriani hanno
alzato la loro voce in appoggio al Presidente Correa, cercando di
riscattare la loro democrazia dalle mani delle forze golpiste che
cercavano di provocare le dimissioni formali del governo nazionale.
Sebbene gli avvenimenti siano in ancora in pieno sviluppo, e il
presidente Correa continui a trovarsi sequestrato (l’articolo di
Golinger è stato scritto nel corso della drammatica notte del tentativo
di golpe, ndt), ci sono fattori esterni che entrano in questo tentativo
di golpe, e che stanno giocando le loro carte.
POLIZIA INFILTRATA
Secondo il giornalista
Jean Guy Allard,
un rapporto ufficiale del Ministro della Difesa dell’Ecuador, Javier
Ponce, diffuso nell’ottobre 2008, ha rivelato: “che diplomatici
statunitensi erano impegnati a corrompere la polizia e le forze armate”.
Il rapporto ha affermato che “unità della polizia conservano una
dipendenza economica informale dagli Stati Uniti, per il pagamento di
informatori, capacità, equipaggiamento e operazioni”.
In risposta all’informativa, l’ambasciatrice degli Stati Uniti in
Ecuador, Heather Hodges, ha affermato “Noi lavoriamo con il governo
dell’Ecuador, con i militari e con la polizia, per fini molto importanti
di sicurezza”, giustificando la collaborazione. Secondo Hodges, il
lavoro con le forze di sicurezza dell’Ecuador è collegato con la lotta
“contro il narcotraffico”.
L’AMBASCIATRICE
L’ambasciatrice Hether Hodges era stata inviata in Ecuador dall’allora
Presidente George W. Bush. In precedenza aveva operato con successo come
ambasciatrice in Moldavia, paese socialista che prima faceva parte
dell’Unione Sovietica. In Moldavia aveva aperto la strada ad una
“rivoluzione colorata” che è arrivata, senza successo, nell’aprile 2009
contro la maggioranza del partito comunista eletta nel parlamento.
Hodges era stata a capo dell’Ufficio per gli Affari Cubani, come
vicedirettrice nel 1991 di questa divisione del Dipartimento di Stato,
il cui compito è promuovere la destabilizzazione a Cuba. Due anni dopo
venne inviata in Nicaragua per consolidare la gestione di Violeta
Chamorro, presidente scelta dagli Stati Uniti dopo la guerra sporca
contro il governo Sandinista che permise la sua uscita dal potere nel
1989.
Quando Bush la inviò in Ecuador, l’intenzione era quella di preparare la
destabilizzazione contro Correa, nel caso in cui il presidente
ecuadoriano si fosse rifiutato di subordinarsi ai programmi di
Washington. Hodges riuscì ad ottenere l’aumento degli stanziamenti di
USAID e della NED per organizzazioni sociali e gruppi politici che
promuovono gli interessi degli Stati Uniti, anche nel settore indigeno.
Di fronte alla rielezione del Presidente Correa nel 2009, basata sulla
nuova costituzione approvata nel 2008 da una maggioranza impressionante
di ecuadoriani ed ecuadoriane, l’ambasciata ha cominciato a fomentare la
destabilizzazione.
USAID
Alcuni gruppi sociali progressisti hanno espresso il loro malumore
contro le politiche del governo Correa. Non c’è dubbio che esistano
legittime rimostranze e reclami nei confronti del suo governo. Non tutti
i gruppi e le organizzazioni che sono contro la politica di Correa sono
agenti imperiali. Ma è certo che al loro interno esiste un settore che
riceve finanziamento e ordini per provocare situazioni di
destabilizzazione nel paese, ben oltre le espressioni naturali di
critica e di opposizione a un governo.
Nel 2010, il Dipartimento di Stato ha aumentato il bilancio di
USAID in
Ecuador a più di 38 milioni di dollari. Negli ultimi anni, la cifra
totale di 5640000 dollari di fondi è stata investita nel lavoro di
“decentramento” nel paese. Uno dei principali esecutori del programma di USAID in Ecuador è la stessa impresa che opera con la destra in Bolivia:
Chemonics, Inc. Allo stesso tempo, la NED ha siglato un contratto di
125.806 dollari con il Centro per l’Impresa Privata (CIPE) per
promuovere i trattati di libero commercio, la globalizzazione e
l’autonomia regionale, attraverso la radio, la televisione e la stampa
ecuadoriane, insieme con l’Istituto Ecuadoriano di Economia Politica.
Durante gli avvenimenti del 30 settembre in Ecuador, uno dei gruppi con
settori finanziati da USAID e NED, Pachakutik, ha diffuso un comunicato
che spalleggiava la polizia golpista, e che richiedeva la rinuncia del
Presidente Correa, responsabilizzandolo dell’accaduto. Lo si è anche
accusato di tenere un “atteggiamento dittatoriale” (1).
Il copione utilizzato in Venezuela e Honduras si ripete nuovamente.
Cercano di attribuire al Presidente e al governo la responsabilità del
“golpe”, per costringerli ad uscire dal potere. Il golpe contro
l’Ecuador rappresenta la prossima fase dell’aggressione contro l’ALBA e
i movimenti rivoluzionari della regione.
Il popolo ecuadoriano è mobilitato per respingere il tentativo golpista,
mentre le forze progressiste della regione si uniscono per esprimere la
loro solidarietà e il loro appoggio al Presidente Correa e al suo
governo.
NOTE
(1) Di seguito il testo del comunicato del movimento Pachakutik:
“Pachakutik chiede le dimissioni del presidente Correa e fa appello alla
creazione di un solo Fronte Nazionale”
Bollettino stampa 141
Il Capo del Blocco del Movimento Pachakutik, Cléver Jiménez, di fronte
alle gravi turbolenze politiche e alla crisi interna, generata
dall’atteggiamento dittatoriale del Presidente Rafael Correa, che
violenta i diritti dei servitori pubblici e della società nel suo
complesso, ha convocato il movimento indigeno, i movimenti sociali, le
organizzazioni politiche democratiche, a costituire un solo fronte
nazionale per esigere l’uscita del Presidente Correa, secondo quanto
stabilisce l’Art. 130, numerale 2 della Costituzione, che dice:
“L’Assemblea Nazionale potrà destituire il Presidente della Repubblica
nei seguenti casi: 2) per grave crisi politica e turbolenza interna”.
Jiménez ha sostenuto la lotta dei servitori pubblici del paese, comprese
le truppe di polizia che si stanno mobilitando contro le politiche
autoritarie del regime che pretende di conculcare diritti lavorativi
acquisiti. La situazione creatasi tra i poliziotti e i membri delle
Forze Armate deve essere intesa come la giusta azione dei servitori
pubblici, i cui diritti sono stati vulnerati.
Pachakutik invita questa sera tutte le organizzazioni del movimento
indigeno, i lavoratori, gli uomini e le donne democratici a costruire
l’unità e a preparare nuove azioni di rifiuto dell’autoritarismo di
Correa, in difesa dei diritti e delle garanzie di tutti gli ecuadoriani.
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Ecuador
Un rapporto confermato: l'intelligence USA è
penetrata a fondo nella polizia ecuadoriana |
01.10.2010 -
di Jean-Guy Allard Granma
- www.aporrea.org/actualidad/n166677.html
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La
sollevazione di elementi della
polizia ecuadoriana contro il Presidente Rafael Correa conferma un rapporto
allarmante sull'infiltrazione della polizia ecuadoriana da parte dei servizi
di intelligence nordamericani diffuso nel 2008, in cui si segnalava come
molti membri dei corpi di polizia si trovavano in una condizione di
dipendenza nei confronti dell'ambasciata degli Stati Uniti nel paese
sudamericano.
Il rapporto precisava che unità della polizia "conservano una dipendenza
economica informale con gli Stati Uniti, per quanto riguarda la paga degli
informatori, le capacità, l'equipaggiamento e le informazioni".
L'uso sistematico delle tecniche di corruzione da parte della CIA per
ottenere la "buona volontà" di ufficiali della polizia è stato descritto e
denunciato numerose volte dall'ex agente della CIA Philip Agee, che, prima
di abbandonare le file dell'agenzia, era stato assegnato all'ambasciata
degli Stati Uniti a Quito.
Nel suo rapporto ufficiale, diffuso alla fine di ottobre 2008, il ministro
ecuadoriano della Difesa, Javier Ponce, rivelò come diplomatici americani si
sono dedicati a corrompere la polizia ed anche ufficiali delle Forze Armate.
Nel confermare l'accaduto, il comando della Polizia ecuadoriana annunciò di
voler sanzionare gli agenti che hanno collaborato con Washington, mentre
l'ambasciata statunitense proclamava la "trasparenza" del suo sostegno
all'Ecuador.
"Noi lavoriamo con il governo dell'Ecuador, con i militari, con la Polizia,
per fini molto importanti per la sicurezza", aveva dichiarato
l'ambasciatrice statunitense a Quito, Heather Hodges.
Naturalmente, la diplomatica dichiarò ai giornalisti che non ci sarebbero
stati commenti in tema di intelligence.
Da parte sua, l'addetta stampa, Marta Youth, si era rifiutata nel modo è più
assoluto di commentare le denunce del governo ecuadoriano, che indicavano la
partecipazione della CIA in una operazione con la Colombia, che è sfociata
nell'attacco militare contro la guerriglia delle
FARC,
in territorio ecuadoriano il 5 marzo di quell'anno.
Il capo dell'intelligence dell'esercito, Mario Pazmiño, era stato destituito
per aver nascosto le informazioni relazionate all'attacco contro le FARC.
Negli ultimi mesi funzionari nordamericani hanno fatto la loro apparizione
in Ecuador, con il pretesto dell'approfondimento delle relazioni tra Ecuador
e USA.
Il segretario aggiunto per l'Emisfero Occidentale del Dipartimento di Stato,
Arturo Valenzuela, si è recato in Ecuador e si è incontrato con il
presidente Correa, in previsione di una visita della cancelliera Hillary
Clinton in questo paese.
Valenzuela era accompagnato da Tedd Stern, "delegato speciale per i
cambiamenti climatici", anch'egli noto per la sua vicinanza alla CIA.
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Ecuador
Colpo di stato in Ecuador: l’America latina
integrazionista è più forte del gollismo
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01.10.2010 -
di
G.Carotenuto
www.giannimina-latinoamerica.it
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“Chi ha versato il sangue di compatrioti sappia che non dimenticheremo né
perdoneremo”. E’ questo un passaggio non banale del discorso di Rafael
Correa davanti a migliaia di sostenitori dopo 11 ore di sequestro in un
ospedale della polizia e dopo essere stato liberato solo da un blitz
dell’esercito. In queste parole c’è il seme dell’America latina nuova, che
non abbassa più la testa e non ha più paura di processare i criminali e oggi
può affrontare –non bastano certo le declamazioni ma centinaia di violatori
di diritti umani e stupratori della democrazia in carcere lo testimoniano-
il cancro dell’impunità.
Ma, al di là delle parole, Rafael Correa ha già vinto la propria sfida.
Ha sfidato i golpisti invitandoli a sparare, ad ucciderlo se ne avevano il
coraggio. Quindi, per 11 ore, i golpisti avevano preteso che il presidente
umiliasse se stesso e la Costituzione dell’Ecuador accettando di trattare,
barattando la sua incolumità personale con la rinuncia sostanziale a quel
progetto di un nuovo Ecuador dove tutti fossero cittadini. Ma Correa non ha
chinato la testa e, a quel punto, il blitz, anticipato di due ore da
Giornalismo partecipativo, è apparso l’unica soluzione.
Gli avvenimenti di Quito, dopo l’ennesima settimana di demonizzazione
dell’America latina integrazionista da parte dei grandi media mondiali,
rimettono in maniera chiara come il sole, per chiunque sia in buona fede, le
cose al loro posto. Come ha affermato nella notte il Presidente brasiliano
Lula ancora una volta è stato testimoniato che non è la sinistra ad
attentare alla democrazia in America latina. La sinistra, i governi
integrazionisti che stanno riscattando il Continente dalla notte
neoliberale, sono la democrazia in America latina. Lula stesso e Dilma
Rousseff, Hugo Chávez, Cristina Fernández, Rafael Correa, Pepe Mujica, Evo
Morales, perfino Cuba, per quanti errori possano aver compiuto e
continueranno a compiere, stanno dalla parte dei popoli che vogliono
riprendersi la storia, vogliono una vita più dignitosa e stanno ridando un
senso a parole d’ordine in Europa dimenticate come uguaglianza e giustizia
sociale.
E’ invece la destra ad attentare sempre alla democrazia in America
latina, come ha dimostrato in Venezuela, in Honduras, in Ecuador con i colpi
di stato e in in Bolivia col secessionismo, partendo da quello strumento
goebblesiano che in tutti i paesi prende la forma del complesso mediatico
commerciale.
E’ sotto gli occhi di tutti quanto è avvenuto questa settimana. I media
commerciali di tutto il continente, ma anche europei ed italiani, si sono
dedicati sistematicamente a demonizzare i governi democratici di Brasile e
Venezuela. Il primo, con all’attivo forse il più positivo bilancio al mondo
perfino in termini di crescita capitalista dal 2003 in avanti, il secondo
che ha appena vinto con maggioranza assoluta le elezioni parlamentari, sono
stati costantemente sotto tiro. Nel caso venezuelano la vittoria è stata
ridicolamente e sistematicamente presentata come una sconfitta e una campana
a morto per il governo bolivariano. Anche sull’Ecuador i disinformatori sono
al lavoro: “tranquilli non è un golpe” hanno sviato tutto il giorno e anche
adesso occultano evidenze, testimonianze e prove per presentare il complotto
come un semplice conflitto sindacale sfuggito di mano per focosità naturale
(sic) delle popolazioni andine.
Conflitto sindacale un corno! Le parole e i fatti devono avere ancora un
senso, anche per chi di mestiere lavora sempre per edulcorare. Il presidente
è stato malmenato, colpito con gas lacrimogeni, infine sequestrato per 11
ore in un ospedale all’interno di una caserma, con almeno un tentativo
solido di portarlo altrove, frustrato solo perché nel frattempo migliaia di
cittadini avevano circondato la caserma, riproducendo per molti versi
l’epopea dei giorni dell’aprile 2002 in Venezuela, quando il popolo si
sollevò contro il golpe riportando Hugo Chávez a Miraflores. Il popolo
pacifico che non accetta più la prepotenza è la cifra dell’America latina
del XXI secolo. Anche dove la violenza infine trionfa, come è successo in
Honduras, nessuno abbassa più la testa.
Ma non è solo il sequestro del presidente, che pure è la prova provata e
legale dell’avvenuto colpo di stato, a testimoniare la gravità degli eventi:
durante ore sono state sotto controllo golpista le due principali città del
paese e i due principali aeroporti del paese sono stati chiusi. Anche in
città come Cuenca e Manabi ci sono state manifestazioni di appoggio al
golpe, mettendo in piazza quella massa di manovra, gli “studenti di destra”,
già visti all’opera in varie parti del Continente, da Santa Cruz in Bolivia
a Caracas, scesi in piazza in appoggio ad un governo civico-militare che per
almeno un paio d’ore è sembrato potesse prosperare.
Altrove, invece, la strada è stata presa da civili leali alla
Costituzione, in ore di tensione intensa che hanno già fatto cadere le teste
del capo della Polizia e, la notizia non è ufficiale ma è stata confermata a
Giornalismo partecipativo, del ministro degli Interni Gustavo Jarlkh. La
televisione pubblica, altro atto gravissimo, è stata assaltata e ridotta al
silenzio per oltre un’ora da elementi sicuramente riconducibili
all’ex-presidente fondomonetarista Lucio Gutiérrez. Dov’è la SIP, la società
interamericana della stampa (la confindustria degli editori di media
latinoamericani), dov’è Reporter Senza Frontiere, così solerti a strapparsi
le vesti quando un media commerciale è ricondotto al rispetto delle leggi in
Bolivia o in Brasile o in Venezuela e sempre silenziosi quando la libertà di
stampa dei media non omologati viene vilipesa? Per ore molti giornalisti
sono stati sequestrati nella stessa caserma del presidente e almeno un
cameramen è stato gravemente picchiato e la sua telecamera distrutta. Cosa
importa…
All’estero la CNN ha impiegato otto ore prima di ammettere che il
presidente Rafael Correa si trovasse sotto sequestro. Ammettere il sequestro
voleva dire ammettere la rottura dell’ordine costituzionale e quindi il
golpe in atto. Strana maniera di lavorare per un canale all-news che deve la
sua fortuna al tempismo con il quale dà le notizie. El País di Madrid ha
dovuto rinculare e spiegare che c’era stato un sequestro solo quando ha
dovuto prendere atto del blitz per porvi fine. Vergogna per un quotidiano
che con coraggio si oppose al golpe Tejero un 23 febbraio di troppi anni fa
in Spagna!
Fondo Monetario Internazionale, destra tradizionale, non solo
personaggi come Lucio Gutiérrez ma anche il sindaco di Guayaquil Jaime Nebot
erano dietro al tentativo golpista, il simbolo della destra della costa che
in Ecuador viene chiamata “pelucones”, parrucconi. Inoltre si moltiplicano
le informative che testimoniano come proprio la polizia nazionale
ecuadoriana, individuata come punto debole nella lealtà alla Costituzione,
sia stata sistematicamente infiltrata e profumatamente corrotta fin dal 2008
dai soliti noti, a partire da USAID.
Ai golpisti è andata male su tutta la linea. I presidenti
latinoamericani, escludendo una volta di più Washington, hanno attraversato
il continente nella notte per riunirsi a Buenos Aires e mostrarsi uniti come
mai. Non facevano eccezione quelli di destra, Juan Manuel Santos, Alan
García, Sebastían Piñera, contro il terzo golpe in otto anni nella regione,
senta contare altri rumori di sciabole dalla Bolivia al Paraguay. Nel
frattempo il governo degli Stati Uniti si limitava a “monitorare” la
situazione e, solo quando è stato evidente l’isolamento dei golpisti nel
paese e nel continente, è passato dal monitoraggio alla condanna. Far finta
di non vedere una regia dietro questa giornata che si conclude con un
bilancio di due morti e una settantina di feriti e descrivere gli
avvenimenti di Quito come casuali e spontanei è un cosciente atto di
disinformazione. Altro che conflitto sindacale!
Sul sito
www.gennarocarotenuto.it la
cronistoria degli eventi seguita minuto per minuto in diretta.
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