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Cyberwar a Cuba Il ruolo di Yoani Sanchez, la «bloguera» cubana che l'informazione occidentale ha scelto come testimonial dell'anticastrismo militante, in una guerra informatica che più che il nuovo Obama ricorda il vecchio Rumsfeld.
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6 dicembre '09 - di Gianni Minà da Il Manifesto
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L'annuncio dell'accordo degli Stati uniti con la Cina, che rinvia la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio da parte delle due più grandi nazioni inquinatrici dell'atmosfera, non ha molto preoccupato la grande informazione occidentale, e nemmeno la constatazione, dopo il vertice FAO, che i milioni di morti per fame aumenteranno a breve per l'egoismo e la cinica noncuranza delle cosiddette «nazioni forti».
Quello che ha veramente impressionato l'ipocrita informazione del mondo che conta, specie in Italia e in Spagna, è stata la notizia che alla bloguera anticastrista Yoani Sanchez è stato vietato un viaggio negli Stati Uniti per prendere il consueto premio che, ormai sistematicamente, le viene assegnato dal bizzarro mercato della cultura occidentale per l'unico merito palese di possedere un blog a Cuba, assistito però da un server poderoso in azione dalla Germania, registrato come «Strato» dal munifico mecenate Josef Biechele, che ospita il blog Generazione Y e ha un'ampiezza di banda 60 volte superiore a quelli che forniscono la rete a tutta l'isola.
La preoccupazione, anzi, ha raggiunto il livello d'allarme quando la bloguera, sponsorizzata dal gruppo editoriale Prisa, padrone del quotidiano spagnolo El Pais e che controlla più di mille emittenti nel mondo con trenta milioni di ascoltatori, ha denunciato un'aggressione e un sequestro di venti minuti, subito in un paese, Cuba, dove questo tipo di pratica squadristica non è mai esistita, mentre invece fa parte delle abitudini e delle usanze dei famigerati anticastristi di Miami, molti dei quali terroristi accertati e disgraziatamente attivi, talvolta anche all'interno dell'isola. Per proteggere questi figuri, Bush Jr (è importante ricordarlo) è arrivato addirittura a violare le leggi antiterrorismo da lui stesso varate dopo gli attentati dell'11 settembre 2001.
Quali sono le colpe di Cuba?
Forse proprio il ruolo che la terra della Revolucion ha giocato con la sua storia nel rinascimento in atto in molti paesi dell'America latina. Il travaglio per chi Cuba proprio non la sopporta, a causa di questo ruolo, è cominciato in primavera quando sono usciti i due bellissimi film di Soderbergh su Che Guevara nella rivoluzione e nell'epopea in Bolivia, opere di grande onestà intellettuale.
In quei giorni a Trinidad, dopo che il presidente venezuelano Chavez aveva donato a Obama il libro di Eduardo Galeano "Le vene aperte dell'America latina" « per capire il continente», le nazioni di quell'aerea del mondo hanno chiesto all'unanimità il reintegro di Cuba nel l'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) da cui la più estesa isola dei Caraibi è stata espulsa mezzo secolo fa per volere degli USA.
Successivamente, con la forza dirompente di certe immagini della comunicazione moderna, in settembre era arrivato il concerto degli artisti latinoamericani, guidati dal colombiano Juanes e da Miguel Bosè a Plaza de la Revolucion, con oltre un milione di spettatori. Un evento visto in tutto il mondo grazie a YouTube, svoltosi con una palese serenità che, secondo molti, Cuba non avrebbe potuto permettersi perché poteva essere rischioso dal punto di vista politico.
Ma la botta più contundente, ignorata dai grandi media, è arrivata il 28 ottobre quando 187 nazioni hanno condannato per la diciottesima volta l'embargo Usa contro Cuba, con tre soli voti contrari (Stati uniti, Israele e Palau, un arcipelago del Pacifico occidentale, già colonia spagnola, poi venduta alla Germania e ora una specie di protettorato degli Stati Uniti, rappresentato all'ONU da Stuart Beck, avvocato di Long Island e cittadino israeliano).
Tutto questo mentre in molti paesi si moltiplicano gli appelli perché Obama liberi i cinque agenti dell'intelligence cubana da 11 anni in carcere per aver smascherato il terrorismo che dalla Florida e dal New Jersey è stato organizzato per anni contro Cuba, causando migliaia di vittime.
Ce n'era evidentemente abbastanza perché i funzionari che nel Dipartimento di Stato si occupano dell'America latina e le agenzie come il NED e l'USAID, che disegnano l'immagine della politica degli USA nel mondo e ne influenzano il consenso, sentissero l'esigenza di intervenire per destabilizzare o ridimensionare questo clima favorevole per l'unica nazione al mondo con la quale i governi di Washington non siano riusciti, in mezzo secolo, a stabilire uno straccio di rapporto civile, umano, come è avvenuto perfino con Vietnam, Cambogia, Corea del Nord e Cina.
Ma chi ha deciso la linea non ha saputo sfuggire alla tentazione, malgrado i buoni propositi espressi a Trinidad da Barack Obama, di farlo rimettendo in piedi una sorta di «strategia della tensione», per la quale Bush jr in due mandati ha dilapidato inutilmente milioni di dollari che, nell'ultimo anno, hanno perfino costretto il nuovo presidente a un'indagine amministrativa. L'indagine ha chiarito come gli stanziamenti siano stati rubati dalle presunte organizzazioni per la democrazia a Cuba o siano stati usati per «ungere» chi poteva creare malessere nella società dell'isola, certo non ancora libera da contraddizioni.
Così, anche se Obama aveva recentemente affermato che «l'impatto della presenza di migliaia di medici cubani in America latina e nel sud del mondo era stato più efficace di qualunque politica portata avanti in questi anni dai governi di Washington», si è deciso di tornare ai vecchi metodi, anche se più tecnologici.
Nel caso di Yoani Sanchez una strategia basata sul web come arma di offesa e terreno di vera applicazione dell'embargo, un disegno di cyberwar, di guerra informatica, evidentemente non ancora cancellato da Obama, messo in piedi fin dal 2003, con un documento segreto, da Donald Rumsfeld, ex segretario alla difesa del governo Bush e che, come rivelò il generale Robert J. Elder, del comando cyberspaziale, mira «a trattare internet come un campo di battaglia, che avrà priorità per azioni nel cyberspazio».
Come? Lo ha spiegato Usa Today nel 2008: «Il Pentagono sta creando una rete mondiale di siti web informativi, in lingue straniere (compreso un sito in arabo per gli iracheni) affidati a giornalisti locali di paesi definiti "canaglia" per scrivere storie di attualità e altri contenuti che promuovano gli interessi degli Stati uniti e messaggi di controinsurgenza».
Un quadro che sembra la fotografia del mondo della bloguera di moda, che non parla tanto ai cubani ma ad un uditorio che è fuori dall'isola, bombardato da un discorso di pregiudizio verso Cuba teso a neutralizzare nell'opinione pubblica occidentale il favore del quale l'isola gode in questo momento, innanzitutto nel continente a sud del Texas.
Così la bloguera fa il suo lavoro deplorando il disagio del suo paese ma ignorandone le conquiste, perfino il merito di saper reagire, per esempio, a tre uragani letali mentre negli Stati uniti si è fatta morire New Orleans. L'altro giorno, addirittura, ha scritto affranta perché a Cuba la gente si ripara dagli acquazzoni con le borse di nylon e rischia sempre di impantanarsi nei tombini che esplodono d'acqua. Ha ragione, ad Haiti, in tutto il centro America o nelle bidonville di Messico o Colombia, paesi dove è stato imposto il sognato neoliberismo, la gente ha in dotazione impermeabili all'ultima moda, alcuni hanno perfino trench all'inglese e, per quanto riguarda le pozzanghere, dispiace che la Sanchez non possa confrontarsi con le buche piene d'acqua dei rioni bene di Roma come Montemario e i Parioli, tralasciando gli allagamenti di barrios marginales come Tor Bella Monaca, Torre Angela o Torre Gaia.
Insomma, anche se
L'Avana, come tutte le città del mondo, non è priva di cretini, perché dovremmo
credere che qualcuno stia tramando per togliere la parola a chi fa conoscere al
mondo realtà così tragiche e accuse così serie? Semmai c'è da prendere atto che,
come per l'Honduras,
qualche testa d'uovo del Dipartimento di Stato non ha cambiato mentalità
rispetto alla stagione di Bush jr e sta spingendo Obama a usare con Cuba, gli
stessi metodi, cioè a ripetere gli errori fatti da dieci presidenti prima di
lui. Causando, come Yoani dimentica, angustie, disagi, dolori, ma non ottenendo
alcun risultato apprezzabile.
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Una polemica con Pierluigi Battista
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19 maggio 2009 - G.Minà tratto da www.giannimina.it
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Questa è la
risposta all'attacco che Pierluigi Battista mi ha fatto sul "Corriere
della Sera" riguardo al mio commento "Le dimenticanze della
bloguera di moda, Yoani Sanchez" pubblicato in questo sito il 4 maggio
scorso. Battista aveva affermato cose che io non ho mai detto, scritto e fatto,
ma si è guardato bene dal rispondere agli argomenti precisi che segnalavo. Nel
nome della democrazia sempre citata, il "Corriere della Sera" però
non ha pubblicato il mio chiarimento. Così, oltre a dire grazie ai colleghi di
Articolo21
che lo hanno
reso noto, lo faccio anch'io. I particolari di questa vicenda molto singolare e
legata alla cyberguerra che, su idea di Donald Rumsfeld (ex ministro della
difesa USA), una volta di più gli Stati Uniti hanno montato contro Cuba da
qualche anno, li potrete leggere sul numero 106/107 di
Latinoamerica, che uscirà all'inizio di giugno nelle librerie
Feltrinelli e nelle librerie indipendenti.
MA ALL'UNIVERSITA'
Le dimenticanze della bloggera
9
maggio 2009 - G.Minà tratto da
www.giannimina.it
Basterebbe, infatti, la propaganda che le viene fatta nel nostro paese per capire la portata dell’operazione che è stata messa su.
C’è un intero continente con tutti i nuovi presidenti finalmente presentabili dell’America latina che non solo chiede agli Stati uniti la cancellazione dell’embargo, ma si sta battendo anche per il rientro di Cuba in tutti gli organismi dai quali l’isola era stata prepotentemente esclusa per volere proprio degli Stati uniti.
Questi presidenti, da Lula a Chavez, a Evo Morales, a Correa, ma anche dall’argentina Kirchner alla cilena Bachelet, o all’ex vescovo Lugo, sanno perfettamente che Cuba ha raggiunto in questi anni standard d’eccellenza nell’educazione, nella sanità, nella protezione sociale, nella cultura, nello sport, che questi premiers ancora sognano per i loro paesi, pur essendo più ricchi e non feriti da un blocco economico insensato e ingiusto.
I ragazzi cubani che Yoani Sanchez sostiene vivono solo privazioni sanno perfettamente, infatti, che queste conquiste sociali rendono Cuba, pur con tutti i suoi errori, diversa, più libera, dai paesi che invece, negli anni, sono stati prigionieri del neoliberismo e del mercato, come quelli delle villas miserias delle grandi città o come i trenta milioni di bambini randagi del continente.
Yoani Sanchez, nei suoi articoli, fa finta di non saperlo.
Forse è per ribattere questo tipo di dimenticanze che ho attraversato recentemente l’isola, da l’Avana a Guantanamo, con una mia troupe per realizzare un documentario non banale sulla Revolucion nell’era di Obama, ed ho scoperto che non solo la Sanchez è pressoché sconosciuta, ma perfino i tanti ragazzi latinoamericani e non che studiano a Cuba (perchè nei loro paesi non potrebbero farlo) alla Scuola di medicina latinoamericana o alla Scuola d’arte di Bayamo, come alla Scuola di cinema, o nella stessa Università di Stato, non capiscono che cosa vorrebbe dimostrare questa bloggera di cui io spiegavo l’esistenza e la risonanza in Italia.
Per anni io ho sentito parlare, per esempio, da parte dei radicali italiani e di quella parte di “eredi” del nostro PC ora pentiti, di “dissidenti” come per esempio l’associazione delle “Donne in bianco”. Bene, recentemente si è saputo che la leader di questo gruppo di opposizione alla Rivoluzione, Martha Beatriz Roque, prendeva una ricca prebenda mensile da Santiago Alvarez, un terrorista al servizio della parte più retriva degli anticastristi di Miami, recentemente arrestato e condannato a quasi quattro anni (poi ridotti a due anni e mezzo) perchè scoperto con una macchina piena di esplosivo che, a suo dire, doveva servire per alcuni attentati nell’isola.
Poiché Santiago Alvarez era in carcere, nei mesi in cui era ancora presidente Bush Jr, i soldi si è offerto di anticiparli il capo dell’ufficio di interessi del governo degli Stati uniti a l’Avana, Michael Parmly.
Non mi sono sorpreso perchè ogni anno della sua presidenza Bush ha stanziato milioni di dollari per “un cambio rapido e drastico a Cuba” (140 milioni nel 2007, 45, data la crisi economica, nel 2008).
Molti di questi soldi venivano rubati dalle presunte organizzazioni per la democrazia a Cuba (come ha scoperto Barack Obama ordinando un’indagine), ma evidentemente buona parte è servita per “ungere” chi poteva creare malessere nella società cubana, certo non perfetta e ancora non libera da contraddizioni.
Non siamo più nell’epoca in cui veniva messa in piedi contro la Rivoluzione, come nel 2003, una vera e propria “strategia della tensione” con dirottamenti di aerei e sequestri del ferry boat di Regla, ma c’è ancora uno sforzo palese per controbattere il vento di simpatia, nei riguardi di Cuba, che attualmente spira nel continente latinoamericano e anche nella parte progressista degli Stati uniti.
Dispiace che tutto questo non lo abbia considerato anche l’Unità che, avendo fra i collaboratori un grande conoscitore delle nazioni a Sud del Texas come Maurizio Chierici, questa realtà la avrebbe potuta approfondire facilmente anche se, erroneamente, il giornale cita spesso Freedom House, un’agenzia sovvenzionata dai governi di Washington, come riferimento indiscutibile per dare le pagelle sulla libertà di stampa. E lo fa perfino con paesi, in questo settore più che carenti, come il Messico e la Colombia.
Perchè se a Cuba c’è la bloggera, in Messico o in Colombia, nazioni allineate sulle vecchie politiche degli Stati uniti e dei farisei europei, l’eliminazione dei giornalisti non graditi ai regimi di Uribe e di Calderon che li governano, è uno sport ancora molto praticato e che, ogni anno, fa registrare una trentina di cronisti ammazzati (record mondiale).
A loro mai nessuno, però, ha chiesto di tenere una rubrica su Internazionale.
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