HOME INFORMAZIONE
 

IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI

 

Dissidenti o traditori?

 

 

9 aprile 2010 - amicuba di Atilio Borón, Economista e giornalista argentino (cubadebate)

 

 

La “stampa libera” d'Europa e delle Americhe

- quella che mentì sfacciatamente dicendo

che esistevano armi di distruzione di massa

in Iraq o che definì “ad interim” il regime golpista di Micheletti in Honduras - ha raddoppiato la sua feroce campagna contro Cuba. Si impone, pertanto, la necessità di distinguere tra la ragione di fondo e il pretesto.

 

La prima, e che stabilisce la cornice globale di questa campagna, è la controffensiva imperiale scatenata dagli ultimi tempi dell'Amministrazione Bush e il cui esempio più significativo è stata la riattivazione e la mobilitazione della IV Flotta. Contro i pronostici di alcuni illusi questa politica, dettata dal complesso militare-industriale, non solo è stata continuata ma è stata anche resa più profonda mediante il recente trattato firmato da Obama e Uribe con il quale si concede agli Stati Uniti l'uso di per lo meno 7 basi militari in territorio colombiano, immunità diplomatica per tutto il personale statunitense pertinente alle sue operazioni, autorizzazione a introdurre o portare fuori dal paese qualunque genere di carico senza che le autorità del paese ospitante possano almeno prendere nota di quello che entra o esce e il diritto degli partecipanti nordamericani alle spedizioni di entrare o uscire dalla Colombia con qualunque documento che accrediti la loro identità.

 

Come se quanto sopra fosse poco, la politica di Washington riconoscendo la “legalità e legittimità” del colpo di stato in Honduras e le fraudolente elezioni seguenti è una dimostrazione in più della perversa continuità che lega le politiche attivate dalla Casa Bianca, indipendentemente dal colore della pelle del suo principale occupante.

 

E in questa controffensiva generale dell'impero, l'attacco e la destabilizzazione di Cuba giocano un ruolo di grande importanza.

 

Queste sono le ragioni di fondo.

 

Ma il pretesto per questo rilancio è stata la fatale conclusione dello sciopero della fame di Orlando Zapata Tamayo, rafforzato ora dall’identica azione iniziata da un altro dissidente, Guillermo Fariñas Hernández e che sarà seguita, senza dubbio, da quelle di altri partecipanti e complici di questa aggressione.

 

Come ben si sa, Zapata Tamayo è stato (e continua a essere) presentato da quei “mezzi di disinformazione di massa” – come adeguatamente li qualifica Noam Chomsky - come un “dissidente politico” quando in realtà era un carcerato comune che fu reclutato dai nemici della rivoluzione e utilizzato senza scrupoli come un mero strumento dei loro progetti sovversivi.

 

Il caso di Fariñas Hernández non è uguale, ma ciò nonostante conserva alcune similitudini e approfondisce una discussione che è indispensabile dare con tutta serietà.

 

È necessario ricordare che questi attacchi hanno una lunga storia.

 

Cominciano dal trionfo stesso della Rivoluzione ma, come politica ufficiale e formale del Governo degli Stati Uniti incominciano il 17 marzo 1960 quando il Consiglio di Sicurezza Nazionale approva il “Programma di Azione Segreta” contro Cuba proposto dall’allora Direttore della CIA, Allen Dulles. Parzialmente declassificato nel 1991, quel programma identificava quattro linee principali d’azione: i due primi erano “la creazione dell'opposizione” e il lancio di una “potente offensiva di propaganda” per consolidarla e renderla credibile. Più chiaro di così è impossibile. Dietro il frastornante fallimento di questi piani George W. Bush ha creato, dentro lo stesso Dipartimento di Stato, una commissione speciale per promuovere il “cambiamento di regime” a Cuba, eufemismo utilizzato per evitare di dire “promuovere la controrivoluzione”.

 

Cuba ha il dubbio privilegio di essere l'unico paese del mondo per il quale il Dipartimento di Stato ha elaborato un progetto di questo tipo, ratificando in questo modo la vigenza della morbosa ossessione yankee per annettersi l'isola e, d'altra parte, come aveva colpito nel segno José Martí quando aveva allertato i nostri paesi sui pericoli dell'espansionismo nordamericano.

 

La prima relazione di quella commissione, pubblicata nel 2004, aveva 458 pagine e lì si spiegava con grande minuziosità tutto quello che si doveva fare per introdurre una democrazia liberale, rispettare i diritti umani e istituire un'economia di mercato a Cuba. Per avviare questo piano si assegnavano 59 milioni di dollari per anno (oltre quelli che sarebbero stati destinati per vie segrete), dei quali 36 milioni sarebbero stati destinati, secondo la proposta, a fomentare e finanziare le attività.

 

Per riassumere, ciò che la stampa presenta come una nobile e patriottica dissidenza interna sembrerebbe piuttosto essere la metodica applicazione del progetto imperiale progettato per realizzare il vecchio sogno della destra nordamericana di impadronirsi definitivamente di Cuba.

 

Dopo questa premessa, si impone una precisazione concettuale.

 

Non è casuale che la stampa del sistema parli con “straordinaria leggerezza” dei dissidenti politici imprigionati a Cuba. Ma, sono “dissidenti politici” o sono un'altra cosa? Sarebbe difficile dirlo di tutti, ma sicuramente la maggioranza di chi sta in prigione non si trova lì per essere dissidente politico bensì per una caratterizzazione molto più grave: “traditore della patria”.

 

Vediamo questo in dettaglio.

 

Nel celebre Dizionario di Politica di Norberto Bobbio il politologo  Leonardo Morlino definisce il dissenso come “qualunque forma di disaccordo senza organizzazione stabile e, pertanto, non istituzionalizzata, che non pretende di sostituire il Governo in carica con un altro, e tanto meno di abbattere il sistema politico vigente. Il dissenso si esprime solo nell'esortare, persuadere, criticare, fare pressione, sempre con mezzi non violenti per indurre i decision-makers a preferire certe opzioni invece di altre o a modificare precedenti decisioni o direttive politiche. Il dissenso non mette mai in discussione la legittimità o le regole fondamentali che fondano la comunità politica ma solo norme o decisioni abbastanza specifiche” (pp. 567-568). Più avanti segnala che esiste una soglia che, una volta oltrepassata, trasforma il dissenso, e i dissidenti, in un'altra cosa. “La soglia è oltrepassata quando si mettono in dubbio la legittimità del sistema e le sue regole del gioco, e si fa uso della violenza: o quando si incorre nella disubbidienza intenzionale a una norma; o, infine, quando il disaccordo si istituzionalizza in opposizione, che può avere tra i suoi fini anche quello di abbattere il sistema” (p. 569).

 

Nell'ex Unione Sovietica due dei dissidenti politici maggiormente degni di nota, e il cui modo di agire si avvicina alla definizione sopra esposta, furono il fisico Andrei Sakharov e lo scrittore Alexander Isayevich Solzhenitsyn; Rudolf Bahro lo fu nella Repubblica Democratica Tedesca; Karel Kosik, nell'ex Cecoslovacchia; negli Stati Uniti si distinse, a metà del secolo scorso, Martin Luther King; e in Israele ai nostri giorni Mordekai Wanunu, scienziato nucleare che ha rivelato l'esistenza dell'arsenale atomico in quel paese e per questo è stato condannato a 18 anni di carcere senza che la “stampa libera” prendesse nota del tema.

 

La dissidenza cubana, a differenza di quanto successo con Sakharov, Solzhenitsyn, Bahro, Kosik, King e Wanunu, si inquadra in un'altra figura giuridica perché il suo proposito è di sovvertire l'ordine costituzionale e di abbattere il sistema. Inoltre, e questo è il dato essenziale, pretende di farlo mettendosi al servizio di una potenza nemica, gli Stati Uniti, che cinquant’anni fa aggredirono Cuba con tutti i mezzi immaginabili, con un blocco integrale (economico, finanziario, tecnologico, commerciale, informatico), con permanenti aggressioni e attacchi di diverso tipo e con una legislazione migratoria esclusivamente sviluppata (la “Ley de Ajuste Cubano”) per l'Isola e che stimola la migrazione illegale negli Stati Uniti mettendo in pericolo la vita di coloro che vogliono affidarsi ai suoi benefici.

 

Mentre Washington alza un nuovo muro dell'infamia alla sua frontiera con il Messico per fermare l'entrata di immigranti messicani e di chi proviene dall'America Centrale, concede tutti i benefici immaginabili a chi, venendo da Cuba, metta piede nel suo territorio.

 

Coloro che ricevono denaro, consulenze, consigli, orientamenti da un paese obiettivamente nemico della loro patria e agiscono in relazione alla loro aspirazione di accelerare un “cambiamento di regime” che metta fine alla Rivoluzione, possono essere considerati “dissidenti politici”?

 

Per rispondere dimentichiamo per un momento le leggi cubane e vediamo ciò che stabilisce la legislazione in altri paesi.

 

La Costituzione degli Stati Uniti stabilisce nel suo Articolo III, Sezione 3, che “Il delitto di tradimento contro gli Stati Uniti consisterà solamente nel prendere le armi contro di essi o nell’unirsi ai suoi nemici, dando loro aiuto e agevolazioni”. La sanzione che merita questo reato è rimasta nelle mani del Congresso; nel 1953 Julius ed Ethel Rosenberg furono giustiziati mediante la sedia elettrica accusati di tradimento alla patria per essersi presumibilmente “uniti ai loro nemici” rivelando i segreti della fabbricazione della bomba atomica all'Unione Sovietica.

 

Nel caso del Cile, il Codice Penale di quel paese stabilisce nel suo Articolo 106 che “chiunque dentro il territorio della Repubblica cospirerà contro la sua sicurezza esterna per indurre una potenza straniera a fare la guerra al Cile, sarà punito con il carcere di sicurezza nel suo grado massimo e l’ergastolo. Se si sono effettuate ostilità belliche la pena potrà essere elevata fino a quella di morte”.

 

In Messico, paese che è stato vittima di una lunga storia di interventismo nordamericano nei suoi affari interni, il Codice Penale nel suo articolo 123 qualifica come reati di tradimento della patria un'ampia gamma di situazioni come realizzare “atti contro l'indipendenza, la sovranità o l’integrità della nazione messicana con la finalità di sottometterla a persona, gruppo o governo straniero; prendere parte ad atti di ostilità contro la nazione, mediante azioni belliche agli ordini di un stato straniero o cooperare con questo in qualche forma che possa essere pregiudizievole per il Messico; riceva qualunque beneficio, o accetti promesse di riceverlo, con il fine di realizzare alcuni degli atti indicati in questo articolo; accetti dall'invasore un impiego, una carica o provvigione e detti, accordi o voti misure dirette a far affermare il governo intruso e a indebolire quello nazionale”. La pena prevista per la commissione di questi delitti è, secondo le circostanze, da cinque a quaranta anni di prigione.

 

La legislazione argentina stabilisce nell'articolo 214 del suo Codice Penale che “Sarà represso con la reclusione o il carcere da dieci a venticinque anni o la reclusione o l’ergastolo e nell’uno o nell’altro caso, interdizione assoluta perpetua, sempre che il fatto non si trovi compreso in un'altra disposizione di questo codice, ogni argentino od ogni persona che deva obbedienza alla Nazione a causa del suo impiego o funzione pubblica che prendesse le armi contro questa, si unisse ai suoi nemici o prestasse loro qualunque aiuto o soccorso”.

 

Non è necessario proseguire con questa sommaria revisione della legislazione comparata per comprendere che ciò che la “stampa libera” chiama dissidenza è quello che in qualunque paese del mondo - cominciando dagli Stati Uniti, il grande promotore, organizzatore e finanziatore della campagna anticubana – sarebbe definito semplicemente e spontaneamente come tradimento della patria, e nessuno degli accusati avrebbe mai considerato come un “dissidente politico”.

 

Nel caso dei cubani, la gran maggioranza dei cosiddetti dissidenti (se non tutti) sono incorsi in questo reato unendosi a una potenza straniera che è in aperta ostilità contro la nazione cubana e ricevendo dai suoi rappresentanti - diplomatici o non - denaro e ogni tipo di appoggio logistico per, come dice la legislazione messicana, far affermare il governo intruso e a indebolire quello nazionale. Detto in altre parole, per distruggere il nuovo ordine sociale, economico e politico creato dalla Rivoluzione.  Non sarebbe un’altra la caratterizzazione che verrebbe adottata da Washington per giudicare un gruppo dei suoi cittadini che stesse ricevendo risorse da una potenza straniera che per mezzo secolo avesse incalzato gli Stati Uniti con il mandato di sovvertire l'ordine costituzionale. Nessuno dei genuini dissidenti sopra menzionati sono incorsi nei loro paesi in così grande infamia. Sono stati implacabili critici dei loro governi, ma non si sono mai messi al servizio di uno stato straniero che ambiva opprimere la loro patria. Erano dissidenti, non traditori.