America latina 2010: offensiva militare yankee contro l’America Latina E’ un affare militarizzare il Sud America? |
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di Fernando Buen Abad Domínguez*
su www.laradiodelsur.com del 09/05/2010 (www.lernesto.it)
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Il “gerente della guerra”, con il suo
“Premio Nobel della Pace”, intensifica le invasioni, i crimini, il
terrorismo, le torture, come a
Guantanamo.
E’ sorprendente la sfacciataggine del presidente nordamericano, gerente sottomesso dell’impero e delle sue guerre. La sua demagogia è pericolosa per tutti i nostri paesi: mentre, da una parte, ha annunciato tagli di bilancio per più di 250 milioni di dollari nei prossimi tre anni (tagli, ovviamente, a servizi e organismi pubblici), dall’altra ha dichiarato che chiederà 2.100 milioni di dollari per lo stesso triennio dei tagli. Vale a dire, ciò che tralascia di investire in spesa pubblica lo spenderà in avventure belliche. E’ chiaro. Solamente nel 2011 spenderà 708 mila milioni di dollari e ciò rappresenta la spesa militare, annuale, più grande della storia! Tutti i suoi predecessori diventano piccoli in paragone alla mostruosità della spesa programmata dal “pacifico” e democratico presidente Obama.
Le borghesie dei paesi latinoamericani
composte dall’oligarchia proprietaria della terra, dalla borghesia
finanziaria e dalla borghesia industriale, sono legate al capitale
monopolistico degli imperi e si offrono come servitù nell’adempimento dei
compiti di saccheggio e sfruttamento in cambio di alcune briciole nel
festino imperiale. Nonostante le contraddizioni e le rivalità di interessi
che possono esistere tra l’imperialismo e le borghesie di questi paesi, tali
borghesie celebrano la presenza delle basi militari come l’arrivo degli dei.
D’altra parte i militari invasori discendono dai “cieli imperiali” come
messaggeri morali della depredazione e – depredatori essi stessi – si
offrono per assicurare la “purezza” del saccheggio e la puntualità dello
sfruttamento dei lavoratori. Il loro ruolo è di garantire l’uscita delle
materie prime e dei beni semilavorati verso i paesi imperialisti. Garantire
la sicurezza degli affari imperialisti in ogni paese. Sebbene tale
“sicurezza” significhi la morte di molti, il genocidio, l’annichilimento
degli ecosistemi e la barbarie instaurata alla stregua di fatalità morale
per i poveri.
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America latina Militarizzazione in America Latina |
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13 febbraio 2010 - Orsetta Bellani - Solidarietà Internazionale
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La politica di Obama per l’America Latina è la stessa delle precedenti amministrazioni: assicurare la presenza nella regione dei militari e delle industrie nordamericane attraverso atti apparentemente filantropici, come l’elargizione di aiuti.
Che la generosità nordamericana non sia disinteressata si evince chiaramente dalla legge statunitense che approvò il finanziamento al piano, la quale prevede la necessità di «insistere affinché il governo colombiano completi le riforme urgenti di apertura totale della sua economia per gli investimenti e il commercio estero, in particolare per l’industria petrolifera». Aprire l’economia colombiana significa permettere alle imprese statunitensi di investire nel paese, e consentire loro lo sfruttamento delle sue risorse naturali. Il Piano ha inoltre preparato il terreno all’accordo che, a partire dal novembre 2009, permette alla potenza nordamericana l’utilizzo di 7 basi militari colombiane, causando la preoccupazione della maggior parte dei governi della regione, convinti che l’ingerenza statunitense possa attentare alla loro sovranità ed integrità.
In un programma televisivo honduregno, il generale golpista García Padgett ha affermato: «Il nostro paese è parte di un piano generale, il Plan Caracas, il cui obiettivo è arrivare fino al cuore degli Stati Uniti. L’Honduras ha fermato questo piano che vuole portare fino al cuore degli Stati Uniti un socialismo, un comunismo, un chavismo travestito da democrazia».
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America latina Una portaerei chiamata Haiti Sulle macerie di Port-au-Prince si gioca
una partita assai ampia. L'arrivo della IV flotta a La Hispaniola dopo il
terremoto del 12 gennaio ha permesso un aumento della presenza militare USA
nella regione. Per accerchiare il Venezuela di Chavez, ma soprattutto per
contrastare il Brasile, unico vero avversario per l'egemonia statunitense
sull'America latina |
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6 febbraio 2010 - Raúl Zibechi (Il Manifesto)
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La reazione degli Stati Uniti di militarizzare la parte haitiana dell'isola di Hispaniola dopo il devastante terremoto del 12 gennaio dovrebbe essere considerata nel contesto generato dalla crisi economica e finanziaria e dall'arrivo alla Casa bianca di Barack Obama. Se le tendenze strategiche erano già presenti, la crisi le ha accelerate. Quello ad Haiti è stato il primo intervento di un certo tenore della IV Flotta, da quando è stata ristabilita poco tempo fa.
Con la crisi haitiana, la militarizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e America Latina fa un passo avanti, come parte della militarizzazione di tutta la politica estera di Washington. In questo modo, la superpotenza in declino cerca di ritardare il processo che la trasformerà in una delle sei o sette altre potenze del mondo. L'intervento è talmente sfacciato che il giornale governativo cinese Diario del popolo si chiedeva (il 21 gennaio) se gli Stati Uniti non volessero incorporare Haiti come un nuovo stato dell'Unione.
Il giornale cinese riportava un'analisi della prestigiosa rivista Time, in cui si sostiene che «Haiti è già diventata il 51esimo stato degli Stati Uniti e, anche se non lo fosse, va considerato il suo cortile di casa». In effetti, in appena una settimana il Pentagono aveva mobilitato verso l'isola una portaerei, 33 aerei di soccorso e numerose navi da guerra, oltre a 11mila soldati. La Minustah, missione ONU per la stabilizzazione di Haiti, ha appena 7mila soldati. Secondo la Folha de Sao Paulo (20 gennaio) gli Stati uniti hanno scalzato il Brasile dalla guida dell'intervento militare sull'isola, dal momento che nel giro di poche settimane avranno «il doppio dei soldati che ha Brasile ad Haiti», arrivando a 16mila effettivi.
Lo stesso Diario del Popolo, in un articolo sull'«effetto statunitense» nei Caraibi, dice che l'intervento militare di Washington ad Haiti influenzerà la strategia statunitense nei Caraibi e in America Latina, dove continua lo scontro con Cuba e con il Venezuela. Nella lettura di Pechino, questa regione è la «porta del cortile di casa», che gli USA cercano di «controllare rigidamente» per «continuare ad allargare il raggio della loro influenza verso sud».
Secondo quanto sostiene Ignacio Ramonet in Le Monde Diplomatique di gennaio «tutto indica un'imminente aggressione». Questo non sembra in realtà lo scenario più probabile, anche se se ne può accettare il ragionamento di fondo: che gli Stati Uniti hanno scelto il militarismo come palliativo per il loro declino e che hanno bisogno del petrolio di Colombia, Ecuador e soprattutto del Venezuela per finanziare la propria posizione egemonica o, per lo meno, rallentare il declino. Tuttavia, le cose non sono così semplici.
Per il mensile francese, «la chiave è a Caracas». Sì e no. Sì, perché in effetti il 15% delle importazioni di petrolio dagli Stati uniti provengono da Colombia, Venezuela ed Ecuador, percentuale uguale a quella importata dal Medioriente. Inoltre, il Venezuela si trasformerà nella maggior riserva di greggio nel pianeta, una volta che verranno certificate le riserve della fascia dell'Orinoco scoperte di recente. Secondo il servizio geologico statunitense, sarebbero il doppio di quelle saudite. Tutto ciò sarebbe sufficiente perché Washington desiderasse, come desidera, sostituire Hugo Chávez alla guida del processo bolivariano.
A mio modo di vedere, il problema centrale per l'egemonia USA nel «cortile di casa» però è il Brasile. Il petrolio sottoterra è una ricchezza importante, ma deve essere estratto e trasportato; il che richiede investimenti, ossia stabilità politica. Il Brasile è già una potenza mondiale, il secondo più importante paese del Bric (Brasile, Russia, India, Cina) dopo la Cina. Delle dieci maggiori banche del mondo, tre sono brasiliane (e cinque cinesi). Nessuna invece viene dagli Stati uniti, né dall'Inghilterra. Il Brasile detiene le seste riserve mondiali di uranio (e sono state fatte prospezioni solo sul 25 per cento del suo territorio) e avrà tra le prime cinque riserve mondiali di greggio quando saranno terminate le prospezioni nella zona di Santos. Le multinazionali brasiliane sono tra le maggiori del mondo: Vale do Rio Doce è la seconda nel settore minerario e la prima nei minerali ferrosi; Petrobras è la quarta compagnia petrolifera del mondo e la quinta impresa globale per valore di mercato; Embraer è la terza aeronautica dietro solo a Boeing e Airbus; Braskem è l'ottava petrolchimica del pianeta. E si potrebbe seguire ancora.
Il Brasile già controlla buona parte del Prodotto interno lordo della Bolivia, del Paraguay e dell'Uruguay. Ha una presenza importante in Argentina, di cui è socio strategico, così come di Ecuador e Perù, che gli facilitano l'accesso al Pacifico. Questo è l'osso più duro della IV flotta. Ecco perché il Pentagono ha disegnato per il Brasile la stessa strategia che applica alla Cina: generare conflitti alla frontiera per impedirgli di allargarsi. Corea del Nord, Afghanistan e Pakistan, oltre alla destabilizzazione della provincia a maggioranza musulmana dello Xinjiang.
In Sud america, una pletora di installazioni militari del Comando sud circonda il Brasile. La tenaglia si chiude con il conflitto Colombia-Venezuela e Colombia-Ecuador. Ora bisognerà contare anche la portaerei haitiana. È una strategia di ferro, freddamente calcolata e rapidamente eseguita.
Il problema che si trovano di fronte le nazioni e i popoli della regione è che le catastrofi naturali diventino moneta corrente dei prossimi decenni. Questo è appena l'inizio. La IV flotta sarà la porzione militare più sperimentata e miglior preparata per gli interventi «umanitari» in situazioni di emergenza. Haiti non sarà l'eccezione, ma il primo capitolo di una serie che mira al riposizionamento militare in tutta la regione. Detto in altro modo: noi latino-americani siamo in serio pericolo, ed è ora che ce ne rendiamo conto.
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America latina Per la giustizia sociale, di fronte
all’Aggressione Permanente
Intervista alla ricercatrice e avvocato |
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1 febbraio 2010 - Olga Díaz Ruiz e Geisy Guía www.granma.cu
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La Fiera del Libro dell’Avana ci ha abituati alle buone notizie letterarie. La sua XIX edizione ci porta la giovane scrittrice e avvocato venezuelano-statunitense Eva Golinger, che presenterà il libro “USAID, NED e CIA, L’aggressione permanente”, un ambizioso progetto di ricostruzione ed analisi di situazioni attuali, scritto a quattro mani dalla stessa Golinger e dal giornalista canadese radicato a Cuba Jean-Guy Allard.
Questa volta l’acutezza dell’invitata, che partecipa per la seconda occasione all’evento internazionale del libro, le fa denunciare l’aggressione costante dell’impero statunitense in America Latina”, che fino al momento non abbiamo potuto frenare”, dopo aver studiato i casi di Cuba, Bolivia, Honduras e Venezuela.
“È una visita di denuncia, per ottenere il massimo impatto, e questo libro è in una certa forma un pretesto per lanciare tale messaggio e far riflettere sulle continue aggressioni imperiali e le loro diverse manifestazioni”. Inoltre mette in tavola “tutto ciò che di meraviglioso abbiamo raggiunto”, nella sotto-regione, precisa in un’intervista a Granma.
Golinger propone di prendere una selezione di successi politici, economici, culturali e sociali che mettono in evidenza le tattiche e le strategie di Washignton durante il 2009, per continuare con la sua ingerenza nel continente, come uno “strumento di difesa delle nostre rivoluzioni”.
Durante l’intervista la Golinger si detiene a segnalare che il colpo di Stato in Honduras dello scorso giugno “ci ha insegnato la necessità di proteggere i nostri spazi, di riconoscere che il nemico è dappertutto”, e, ha inoltre aggiunto, che quest’anno il libro sarà presentato anche in Honduras.
Autrice di “Il codice Chávez” (2005), e “Bush Vs. Chávez: la guerra di Washington contro il Venezuela”, la scrittrice ha considerato che il rafforzamento dell’integrazione latinoamericana, fondamentalmente con l’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA), è stata la causa dell’aumento dell’aggressione della destra statunitense “per costituire una minaccia al suo dominio nella regione”.
Un’integrazione che ha espanso le sue frontiere al resto del mondo e che “cerca di risollevare i nostri paesi senza sfruttamento, né competizione, ma attraverso dei principi di solidarietà, integrazione e cooperazione”, ha puntualizzato, aggiungendo che Cuba e Venezuela costituiscono l’avanguardia della unione Sud-Sud.
A dispetto di essere nata e cresciuta negli Stati Uniti e di “parlare come una gringa”, la Golinger concentra tutta la sua energia e la sua passione nella lotta per la giustizia sociale, e sottolinea che la cooperazione tra i paesi dell’ALBA “si vede fuori dal gruppo con molta speranza, perché stiamo costruendo un modello sociale più giusto”.
Cita l’esempio della Rivoluzione Bolivariana, che ha trasformato tutti i settori della società venezuelana, oltre all’impatto causato a livello internazionale per quello che significa la nazione per il mondo, e Chávez come figura. “Stiamo costruendo un paese che era in rovine, a dispetto delle sue risorse naturali. Allora arriva questo presidente, oltre tutto senza esperienza, e guarda che ha fatto!”, ha indicato.
In questa lotta contro l’aggressione permanente, la scrittrice ha avvisato circa l’importanza dei media internazionali, e ha promosso delle lezioni di giornalismo, che consistono nell’argomentare ed evidenziare i fatti”.
L’autrice ha anche mostrato entusiasmo rispetto ad uno dei primi esemplari stampati del Diario dell’Orinoco, l’unico giornale pubblicato nella lingua di William Shakespear in Venezuela. “È la prima volta che ci sono informazioni in inglese prodotte dalla prospettiva venezuelana, dalla rivoluzione venezuelana” ha spiegato orgogliosa.
La Golinger ha assicurato che continuerà con le denuncie sulle principali manovre dei potenti in America Latina, e che, a tal proposito, conterà sul suo amico e collega Jean-Guy Allard.
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America latina Campagna mondiale contro le basi in America Latina |
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29 gennaio 2010 - www.granma.cu (ain)
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Le Organizzazioni del Forum Sociale Mondiale hanno annunciato ieri nella città brasiliana di Porto Alegre l’inizio di una campagna globale contro le basi militari straniere e l’infiltrazione dei servizi di intelligence degli Stati Uniti in America Latina e nei Caraibi.
Gli attivisti si sono scagliati soprattutto contro le basi che le truppe statunitensi potranno usare in Colombia e a Panama, e hanno annunciato che la campagna sarà simile a quella realizzata contro l’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), un progetto di Washington rifiutato qualche anno fa.
Un articolo di EFE indica che nello stesso scenario è stato diffuso un manifesto nel quale si avvisa che “di fronte alla nuova escalation di aggressioni dell’imperialismo” contrario al “processo di cambio che si vive in America Latina” è necessario preparare la mobilitazione per la resistenza.
Secondo il documento, “l’invasione di Haiti successiva al terremoto del passato 12, la riattivazione della IV Flotta, le iniziative golpiste appoggiate dagli Stati Uniti in Honduras, il blocco di Cuba e le aggressioni in Venezuela, Bolivia e altri paesi” rivelano le intenzioni imperialiste statunitensi rispetto all’America Latina.
Allo stesso modo, ha elogiato che gli attentati alla pace promossi da Washington si rafforzano in altre regioni del mondo, con la presenza di truppe in Asia centrale, Iraq e nella Palestina occupata, il cui popolo continua ad essere vittima di un genocidio.
L’iniziativa, promossa dall’organizzazione brasiliana Cebrapaz ha ricevuto l’appoggio di numerosi gruppi del Forum Sociale Mondiale come la Via Contadina, la Piattaforma dei Diritti Umani argentina e la Marcia Mondiale delle Donne.
Le organizzazioni boliviane hanno anticipato che la Riunione Mondiale dei Movimenti Sociali sul Cambio Climatico che il presidente boliviano, Evo Morales, ha proposto di celebrare a Cochabamba tra il 19 e il 22 aprile, sarà teatro di proteste contro le basi degli Stati Uniti in America Latina e dei Caraibi.
Da parte sua, il paraguayano Daniel Amado, dell’organizzazione La Comune, ha convocato gli attivisti a preparare un’altra grande mobilizzazione per la metà di agosto a Asunción, quando si celebrerà in quella città il Forum Sociale America.
Così, è stato accordato che la campagna sarà promossa in tutti gli eventi che il Forum celebrerà nel corso del 2010 in una trentina di paesi. |
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America latina Fermiamo la scalata aggressiva imperialista contro l’America Latina e i Caraibi |
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22 gennaio 2010 - Appello della Rete delle Reti in Difesa dell’Umanità* www.lernesto.it
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All’Avana la X Riunione della Commissione Intergovernativa Cuba-Venezuela
e, nell’VIII Vertice di ALBA, i capi di Stato e di Governo hanno
affrontato e valutato la situazione internazionale alla luce degli
avvenimenti più recenti accaduti nella regione. Rete delle Reti in Difesa dell’Umanità
* La Rete delle Reti in Difesa dell’Umanità è nata nel 2003 per iniziativa di prestigiosi intellettuali latinoamericani e si è consolidata nel dicembre 2004 a Caracas nel corso dell’Incontro Mondiale degli Intellettuali e degli Artisti “in Difesa dell’Umanità”.Tra i suoi obiettivi c’è l’impegno a opporsi “all’imperialismo e alle sue politiche neoliberali, alla guerra al terrorismo, ai progetti di uniformità socioculturale e al monopolio della conoscenza”. Informazioni sulla attività della “Rete” sono reperibili nel sito cubano http://www.defensahumanidad.cu/
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