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terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
HAITI:VERSO UN'OCCUPAZIONE
UMANITARIA? |
23.02.10 - ROLPHE PAPILLON
www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6785
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Il
crollo fisico di tutti gli edifici simbolici del potere in Haiti il 12
gennaio 2010, non è che una metafora. In realtà è da tempo che il palazzo
nazionale non è più la vera sede del potere esecutivo e che le grandi
decisioni politiche si prendono altrove e spesso anche al di fuori delle
frontiere haitiane. L'esiguo numero di vittime registrate sotto le macerie
del palazzo crollato mostra che lì dentro non c'era molto da fare alle 4,53
del pomeriggio di un paese in crisi (meno di una dozzina di morti contro i
300 dell'ufficio delle Nazioni Unite in Haiti).
Classificata come 146° su 177 nazioni secondo l'UNDP (United Nations
Development Programme), la Repubblica di Haiti figura tra i 28 paesi
più indigenti del pianeta. Su questa terra dove l'aspettativa di vita è
inferiore ai 60 anni, la mortalità infantile supera il 130 per 1000 contro
il 15 per 1000 dei vicini cubani, l'80% dei bambini soffre di malnutrizione
e il tasso d'analfabetismo supera il 70%. Con queste cifre Haiti batte tutti
i record di povertà in America. Dopo parecchi decenni, una ventina di
famiglie si spartisce gelosamente e impietosamente l'80% della ricchezza
nazionale mentre il popolo si batte ancora per ottenere i diritti elementari
come ad esempio il diritto alla salute e alla sicurezza alimentare.
Quello che gli animali hanno già conquistato presso i nostri vicini Stati
Uniti. In questa situazione già drammatica, il terremoto arriva come il
colpo di grazia per la popolazione. Il mondo sembra infine colpito dalla
nostra lenta agonia e la solidarietà internazionale si mobilita. Il discorso
di Obama così come l'intervento di Kouchner sono stati confortanti, non
avendo noi avuto la possibilità di ascoltare il capo di stato haitiano.
Nelle prime ore che hanno seguito la catastrofe i dominicani, i messicani, i
cubani, i venezuelani e tutti quelli che, per delle ragioni politiche
evidenti, non sono stati visti alla televisione erano già sul posto. “La
solidarietà è la tenerezza dei popoli”, si dice.
In questo affollamento di intenzioni nobili, i nostri aguzzini di ieri si
sono trasformati davanti le telecamere in angeli redentori e volano in
nostro soccorso al punto che certi haitiani ci vedono perfino una “chance”
grazie alla quale le cose ad Haiti potranno finalmente cambiare.
Nella Storia, diceva Césaire, più importanti dei fatti sono i legami che li
uniscono, le legge che li governa e la dialettica che li suscita. Si tratta
qui di andare al di là delle immagini fast-food della televisione e delle
idee preconcette per capire la complessità dei meccanismi che tendono a
mantenere Haiti in questa situazione di povertà assoluta e di smantellarli,
approfittando di questo nuovo slancio di solidarietà dei popoli verso gli
haitiani, affinché tale slancio non sia votato al fallimento.
La lunga tragedia degli haitiani non è cominciata con la dittatura
di Duvalier (1957-1986). Noi facciamo risalire questo pesante fardello molto
più indietro, ai circa 3 secoli di schiavitù e ai 200 anni di disprezzo e
incomprensione subiti per aver osato essere la prima repubblica nera nel
mondo razzista e schiavista del 19° secolo. Come rappresaglia a questa
doppia rivoluzione, allo stesso tempo antischiavista e anticolonialista, una
umiliazione per la potentissima armata napoleonica, il paese ha dovuto
pagare un riscatto colossale alla Francia corrispondente a 150 milioni di
franchi d'oro (equivalenti all’incirca al bilancio annuale della Francia
dell'epoca). Durante il 19° secolo, persino la lontana Germania è venuta a
reclamare i suoi tributi ed esigere una fortuna a condizioni umilianti. Le
loro navi da guerra ripartirono come rapinatori arroganti con il loro
bottino di guerra. Noi gettiamo via il denaro, ci dicono i poeti, a fronte
alta, l'animo fiero come quando si getta un osso al cane.
Nel 1915, la coesistenza pacifica in una nazione costituita da proprietari
di schiavi e un'altra da schiavi ribelli, era inconcepibile. In conformità
alla dottrina di Monroe e per impedire che dei nazionalisti come Rosalvo
Bobo si impossessassero del potere, gli americani invasero Haiti. Come
premessa a questa aggressione, la loro prima azione a Port-au-Prince fu di
impossessarsi manu militari il 17 dicembre 1914 della riserva in oro del
paese; un atto di banditismo internazionale (all'epoca, gli americani non
avevano ancora inventato il concetto di stato canaglia).
L'occidente ha la memoria corta, ci dice Michel-Rolph Trouillot. Come quella
di chi scrive la storia, la propria e quella degli altri, la Storia dei
popoli è breve. E (noi) fieri della nostra memoria presa a prestito, ci
dimentichiamo il ruolo stesso dell'Occidente.
Alla partenza degli americani nel 1934, il pregiudizio razziale dell'era
coloniale viene restaurato. Essi hanno personalmente redatto una nuova
costituzione per il paese e messo in piedi “le forze armate moderne”. Sono
quelle che nel 1957 hanno insediato François Duvalier “uno dei dittatori più
deliranti della Storia dell'America Latina, edificatore di quella che lo
scrittore Graham Greene chiama una repubblica da incubo”.
Tra il 1957 e il 1986 (gli anni di Duvalier)
il debito con l’estero si è moltiplicato di un fattore 17,5 raggiungendo i
750 milioni di dollari nel 1986. Con il gioco degli interessi e delle
penalità delle istituzioni finanziarie internazionali, ha raggiunto la somma
astronomica di 1884 milioni di dollari nel 2008, secondo il CADTM
(Comitato per l'Annullamento del Debito del Terzo Mondo).
L'embrione dello stato moderno haitiano è stato costantemente e
coscienziosamente distrutto dai nostri regimi autoritari, è un'evidenza. Ma,
nel fare un bilancio, siamo obbligati a constatare che il dramma haitiano
trova delle ragioni ancor più evidenti nell'aiuto internazionale inadatto,
spesso incompetente e corrotto che in più impone scelte economiche e
politiche al paese.
Le Nazioni Unite, solo per citare un esempio visibile, giustificano la loro
presenza ad Haiti con la necessità di vincere la cosiddetta insicurezza
anche se il paese presenta un tasso di criminalità inferiore a quello del
Brasile (paese capofila della MINUSTAH, Missione di Stabilizzazione
delle Nazioni Unite ad Haiti), inferiore a quello della Giamaica,
della Repubblica Dominicana e della maggioranza dei paesi vicini. Il 3
novembre 2007, 111 soldati dell'ONU sono stati rimpatriati nei loro paesi
dopo che un rapporto di inchiesta dei servizi di controllo interni alle
Nazioni Unite (OIOS) aveva stabilito che le accuse di
sfruttamento sessuale che li riguardavano erano fondate. Questi militari
avrebbero ottenuto dei favori sessuali in cambio di denaro, da parte di
ragazze minorenni. Avevate parlato di sicurezza? In 6 anni di presenza ONU
ad Haiti, nessuna struttura seria è stata messa in atto e la speranza di un
domani migliore non trova alcuna giustificazione se non nei loro discorsi di
autolegittimazione e di autosoddisfazione arroganti e menzogneri.
All'indomani della catastrofe del 12 gennaio 2010, la MINUSTAH
non ha mobilitato verso la capitale disperata nessuna delle sue truppe che
sono in maggioranza dislocate sulle spiagge della provincia. Nella stessa
Port-au-Prince, durante le prime dolorose 72 ore subito dopo il sisma, non
ho visto nessun poliziotto o soldato della MINUSTAH all'opera.
Sono rimasti con le braccia incrociate mentre in questa corsa contro la
morte bisognava velocemente scavare e salvare vite umane. Questa occupazione
travestita da missione umanitaria non costa meno di 600 milioni di dollari
all'anno. Si può facilmente immaginare quanti ospedali, scuole, strade e
acquedotti si potrebbero fare con un tale budget se noi, haitiani, avessimo
il potere di sostituire questi “esperti internazionali” e questi generali
con ingegneri e medici.
Contrariamente a una opinione generalmente accettata, in materia di
corruzione, di progetti insensati e di dirottamento di fondi, gli haitiani
non sono che dei pessimi apprendisti. La maggioranza di questi prestigiosi
organismi internazionali sono nostri maestri e le lezioni sono dolorosamente
care.
Se una soluzione haitiana alla crisi non viene messa in atto, il futuro di
Haiti rischia di giocarsi nei prossimi giorni, fuori da Haiti e contro gli
interessi degli haitiani invece che di venire stabilito con e per noi.
Questa soluzione consiste innanzitutto nell’assicurarsi che le forze
internazionali rispettino i propri limiti di intervento. Anche nella
disperazione, la sovranità nazionale non è negoziabile.
Il massiccio aiuto internazionale dovrà essere sottomesso ad una leadership
haitiana responsabile, che debba render conto ai donatori ed essere punibile
davanti alla legge. L'aiuto dovrà essere adattato e rispondere ai bisogni e
alle domande locali. Gli haitiani devono poter decidere se hanno bisogno di
12000 marine USA o di 12000 medici e soccorritori all'indomani di un
terremoto. A metà strada tra i paesi di Monroe e il sud america che si
definisce ormai bolivariano, il paese può ritrovarsi ancora una volta in
mezzo ai conflitti geostrategici e la catastrofe haitiana rischia di servire
alle potenze «amiche» di Haiti e alle loro dubbie ambizioni.
La carità, anche se disinteressata e generosa spesso causa degli effetti
perversi. Gli haitiani non devono perdere di vista il fatto che a lungo
termine, l'aiuto ci deve «aiutare a superare l'aiuto».
L'aiuto umanitario, se è serio e onesto questa volta, deve cominciare
dall'annullamento incondizionato del debito di Haiti. Si tratta di mettere
la parola fine alla spirale infernale dell'indebitamento e di arrivare a
stabilire dei modelli di sviluppo sociale giusti ed ecologicamente durevoli
(CADMT, Comitato per l'Annullamento del Debito del Terzo Mondo).
Certe costrizioni imposte al popolo haitiano dalle istituzioni finanziarie
internazionali nella loro implacabile logica del profitto nel lungo termine
fanno tanti danni quanti quelli di un terremoto di magnitudo 7.3. Bisogna
considerare il ritiro dei piani criminali di aggiustamento strutturale che
consistono tra l'altro nel rendere lo stato ancora più vulnerabile e aprono
la porta alle società transnazionali private. O ancora, abolire l'accordo di
partenariato economico (APE) imposto dall'Unione Europea ad
Haiti nel 2008 che instaura tra l'altro la totale liberalizzazione dei
movimenti di capitale e delle merci. Insomma, ci assicurino che tutti questi
biglietti promessi, se si concretizzano per una volta, non siano dei
biglietti andata e ritorno.
Allora, infine, si potrà cominciare a parlare di ricostruzione. La prima
cosa che bisognerà forse cominciare a ricostruire è l'immagine del paese che
ci si accanisce a distruggere facendolo passare per un paese violento, oltre
ad altre redditizie leggende. Non è con simili immagini false che attireremo
dei turisti o degli investitori. Avete mai visto un paese che si sviluppa
grazie all'aiuto umanitario?
Inoltre, se questa catastrofe ci insegna qualcosa è senza dubbio la
necessità di decentralizzare il paese. Cominciamo a decentralizzare l'aiuto
perché le province non toccate direttamente dal sisma ne hanno subito
comunque le conseguenze. I donatori stranieri di buona volontà devono
identificare e stabilire un ponte con le istituzioni locali e le
organizzazioni di base che, prima della crisi, si interessavano già alle
sorti di Haiti e hanno già dimostrato serietà ed efficacia sul campo, al
fine di sostenerli nei loro sforzi di sviluppo in completa dignità.
In caso contrario, tutto porta a credere che in dieci anni, le gigantesche
somme di danaro che stanno per essere raccolte saranno disperse invano, tra
corruzione locale ed internazionale, progetti inutili e salari degli
«esperti internazionali». Verremo allora incolpati di nuovo, noi haitiani,
per la nostra «incompetenza».
Rolphe Papillon ( Giornalista, ex sindaco di Corail)
20.02.2010 - Traduzione a cura di LUCOLI
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terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
Gli obiettivi strategici dell’
occupazione USA di Haiti |
13.02.10 - di Ernesto Gómez Abascal su www.rebelion.org del 09/02/2010
www.lernesto.it
Ernesto Gómez Abascal è stato ambasciatore di Cuba in Turchia e vari paesi
arabi. E’ giornalista esperto di questioni internazionali.
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Anche ad Haiti, il processo di integrazione
e di emancipazione latinoamericana, incarnato da ALBA (Alleanza
Latinoamericana dei Popoli della Nostra America), rappresenta
l’obiettivo prioritario della politica aggressiva dell’imperialismo e delle
oligarchie locali.
L’invio di un’importante
contingente statunitense
ad Haiti, per quanto si tenti di mascherarlo con una veste umanitaria, non
ha altra spiegazione che il perseguimento di obiettivi e interessi
geopolitici tesi a migliorare il posizionamento strategico USA
nell’importante regione dei Caraibi, dove l’influenza di ALBA,
con i suoi piani di integrazione e sviluppo indipendente, è venuta
guadagnando terreno negli ultimi anni.
Il progetto di ALBA nella sofferente isola dei Carabi, ha
conosciuto un significativo avvio nei progetti di collaborazione promossi da
Cuba, con il proposito di creare le basi di uno sviluppo sostenibile
necessario a far si che il popolo haitiano cominci ad uscire
dall’arretratezza e dalla miseria causate dallo sfruttamento coloniale e
imperialista a cui è stato sottoposto prima dalle potenze europee e in
seguito dagli Stati Uniti, che hanno invaso e occupato militarmente l’isola
per lunghi decenni allo scopo di favorire sanguinarie dittature al loro
servizio.
Haiti, come membro osservatore di ALBA, negli ultimi anni
stava ricevendo un’importante collaborazione. Il Venezuela l’aveva integrato
nel progetto di Petrocaribe, mediante il quale riceveva
combustibile a prezzi di favore; più di 900 giovani si erano diplomati in
alcune professioni e più di 600 frequentavano corsi universitari. Molti di
loro si sono formati o si stavano formando come medici in università cubane;
il progetto di alfabetizzazione avviato con l’assistenza cubana ha permesso
che 160000 haitiani imparassero a leggere e scrivere; i piani di assistenza
medica, che comprendevano la costruzione di ospedali con attrezzature
moderne, riguardavano già 127 dei 131 comuni del paese ed erano sostenuti
dal lavoro di circa 400 medici e tecnici sanitari cubani.
ALBA portava avanti progetti di sviluppo in settori
significativi: pesca, energia, agricoltura, infrastruttura, aviazione,
comunicazioni ed edilizia abitativa, tra gli altri.
ALBA ha guadagnato influenza specialmente nei Carabi, dove ha
quattro membri insulari: Antigua e Barbuda, Dominica, San Vicente e le
Granadinas e Cuba. Haiti partecipava in qualità di osservatore. Questi
paesi, insieme a Venezuela, Ecuador, Bolivia e Nicaragua, costituiscono il
nuovo fattore politico indipendente nel continente che comincia a
proiettarsi con forza a livello internazionale, e che non può essere certo
sottovalutato dalle oligarchie reazionarie saccheggiatrici storiche della
regione e ancor meno dall’imperialismo yankee, che lo aveva amministrato
fino a pochi anni fa come il proprio cortile di casa.
Il nuovo tentativo di occupazione militare di Haiti è inserito all’interno
del piano elaborato a Washington, allo scopo di far regredire i progressi
acquisiti, allo stesso modo del
golpe
militare contro il legittimo governo
dell’Honduras, ex appartenente ad ALBA, dell’installazione
delle
basi militari
in Colombia, delle provocazioni contro il Venezuela, delle campagne di
diffamazione e dei tentativi di destabilizzazione contro i governi
indipendenti che fanno parte dell’alleanza.
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terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
Le condizioni dell’aiuto
USA ad Haiti |
11 febbraio
2010 -
www.lernesto.it di
Sara Flounders dell’International
Action Center, movimento pacifista e antimperialista fondato da Ramsey Clark.
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Quanto
vale realmente l’aiuto di 100 milioni di dollari degli USA ad Haiti? Cento
milioni di dollari sono meno di quanto gli Stati Uniti spendono in cinque
ore nelle guerre e nelle occupazioni di Iraq e Afghanistan.
I 100 milioni di dollari che il
presidente Barack Obama ha promesso per gli aiuti di emergenza ad Haiti
per il terremoto sembra una grande quantità di denaro. Ma è una quantità
minuscola se la si paragona a quello che i governanti di Francia e Stati
Uniti hanno rubato ad Haiti e al suo popolo per secoli.
Gli Stati Uniti imposero 60 anni di
sanzioni e blocco ad Haiti dopo la prima rivoluzione vittoriosa di schiavi
nella storia. Tale blocco impoverì Haiti. Nel 1825, la Francia pretese,
sotto la minaccia delle navi da guerra in porto, che Haiti pagasse ai
francesi proprietari di schiavi 21000 milioni di dollari per le persone
africane schiavizzate che venivano liberate. Haiti venne costretta a
pagare per più di 100 anni interessi su questo debito.
Il dittatore Jean-Claude “Baby Doc”
Duvalier, appoggiato dagli USA, dirottò 500 milioni di dollari di prestiti
USA nei suoi conti bancari personali solo negli ultimi sei anni che
precedettero la sua fuga dal paese. Ma il popolo haitiano ha dovuto ancora
pagare tutti i prestiti di Duvalier.
Già indebitato per migliaia di milioni di
dollari, Haiti si è vista obbligata ad accettare un programma di
aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale, che
prometteva di “perdonare il debito”. Tale programma del FMI ha strozzato
l’agricoltura sostenibile di Haiti, ha mandato in rovina le coltivazioni
di riso e zucchero, ha elevato il prezzo dell’elettricità, e ha congelato
i salari dei lavoratori del trasporto pubblico, infrastruttura vitale, e
dei servizi sociali, come i medici, gli infermieri e i maestri.
Il debito di Haiti nei confronti del
Banco di Sviluppo Interamericano non è stato “perdonato”. Ammonta a più di
500 milioni di dollari, cinque volte la quantità di aiuto che gli Stati
Uniti hanno promesso per risollevare dal terremoto.
E’ sempre importante ricordare che ciò
che l’imperialismo dà con una mano, lo riprende con l’altra. Il 14
gennaio, lo stesso giorno che il presidente Obama prometteva i 100 milioni
di dollari in aiuti, il FMI ha annunciato che avrebbe aggiunto un prestito
di altri 100 milioni al suo programma attuale per Haiti. Ciò significherà
solo l’aumento del debito di Haiti.
Cento milioni di dollari rappresentano
solo il 7% dei 1400 milioni di dollari che i lavoratori e le lavoratrici
haitiani della diaspora inviano alle loro famiglie ogni anno. La metà
della popolazione di Haiti vive con meno di 1 dollaro al giorno.
Certamente, questo aiuto e i prestiti degli Stati Uniti obbligheranno gli
haitiani ad emigrare ancora di più in cerca di lavoro per garantire la
sopravvivenza delle proprie famiglie.
Al popolo di Haiti è dovuta una
riparazione da parte delle banche statunitensi e francesi che hanno
estratto per centinaia di anni da questo paese migliaia di milioni di
dollari in profitti. 100 milioni è molto meno dell’1 percento dei 18000
milioni che i dirigenti della Goldman Sachs hanno guadagnato
in buoni quest’anno, dopo aver ricevuto 700000 milioni di dollari dal
governo degli Stati Uniti.
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terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
Una portaerei
chiamata Haiti
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Raúl Zibechi - Il Manifesto
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La reazione degli Stati uniti di
militarizzare
la parte haitiana dell'isola di Hispaniola dopo il devastante
terremoto
del 12 gennaio dovrebbe essere considerata nel contesto generato dalla crisi
economica e finanziaria e dall'arrivo alla Casa bianca di Barack Obama. Se
le tendenze strategiche erano già presenti, la crisi le ha accelerate.
Quello ad Haiti è stato il primo intervento di un certo tenore della IV
flotta, da quando è stata ristabilita poco tempo fa.
Con la crisi haitiana, la militarizzazione
dei rapporti tra Stati Uniti e America Latina fa un passo avanti, come parte
della militarizzazione di tutta la politica estera di Washington. In questo
modo, la superpotenza in declino cerca di ritardare il processo che la
trasformerà in una delle sei o sette altre potenze del mondo. L'intervento è
talmente sfacciato che il giornale governativo cinese Diario del
popolo si chiedeva (il 21 gennaio) se gli Stati Uniti non volessero
incorporare Haiti come un nuovo stato dell'Unione.
Il giornale cinese riportava un'analisi
della prestigiosa rivista Time, in cui si sostiene che «Haiti
è già diventata il 51esimo stato degli Stati uniti e, anche se non lo fosse,
va considerato il suo cortile di casa». In effetti, in appena una settimana
il Pentagono aveva mobilitato verso l'isola una portaerei, 33 aerei di
soccorso e numerose navi da guerra, oltre a 11mila soldati. La
Minustah, missione ONU per la stabilizzazione di Haiti, ha appena
7mila soldati. Secondo la Folha de Sao Paulo (20 gennaio) gli
Stati uniti hanno scalzato il Brasile dalla guida dell'intervento militare
sull'isola, dal momento che nel giro di poche settimane avranno «il doppio
dei soldati che ha Brasile ad Haiti», arrivando a 16mila effettivi.
Lo stesso Diario del Popolo,
in un articolo sull'«effetto statunitense» nei Caraibi, dice che
l'intervento militare di Washington ad Haiti influenzerà la strategia
statunitense nei Caraibi e in America Latina, dove continua lo scontro con
Cuba e con il Venezuela. Nella lettura di Pechino, questa regione è la
«porta del cortile di casa», che gli Usa cercano di «controllare
rigidamente» per «continuare ad allargare il raggio della loro influenza
verso sud».
Tutto ciò non è nulla di nuovo. La cosa importante è che si inserisce in
un'escalation cominciata con il
golpe militare in Honduras
e continuata con gli accordi con la Colombia per l'utilizzo di
sette basi militari
nel paese. Se a questo si aggiunge l'uso di
quattro basi che il presidente di
Panama Ricardo Martinelli ha ceduto a Washington a ottobre, e a quelle già
esistenti ad
Aruba
e Curaçao (isole vicine al Venezuela appartenenti all'Olanda), ormai sono
tredici le basi che circondano il Venezuela di Chavez. Ora c'è anche
un'enorme portaerei nel mezzo dei Caraibi.
Secondo quanto sostiene Ignacio Ramonet in
Le Monde Diplomatique di gennaio «tutto indica un'imminente
aggressione». Questo non sembra in realtà lo scenario più probabile, anche
se se ne può accettare il ragionamento di fondo: che gli Stati uniti hanno
scelto il militarismo come palliativo per il loro declino e che hanno
bisogno del petrolio di Colombia, Ecuador e soprattutto del Venezuela per
finanziare la propria posizione egemonica o, per lo meno, rallentare il
declino. Tuttavia, le cose non sono così semplici.
Per il mensile francese, «la chiave è a
Caracas». Sì e no. Sì, perché in effetti il 15% delle importazioni di
petrolio dagli Stati uniti provengono da Colombia, Venezuela ed Ecuador,
percentuale uguale a quella importata dal Medioriente. Inoltre, il Venezuela
si trasformerà nella maggior riserva di greggio nel pianeta, una volta che
verranno certificate le riserve della fascia dell'Orinoco scoperte di
recente. Secondo il servizio geologico statunitense, sarebbero il doppio di
quelle saudite. Tutto ciò sarebbe sufficiente perché Washington desiderasse,
come desidera, sostituire Hugo Chávez alla guida del processo bolivariano.
A mio modo di vedere, il problema centrale
per l'egemonia USA nel «cortile di casa» però è il Brasile. Il petrolio
sottoterra è una ricchezza importante, ma deve essere estratto e
trasportato; il che richiede investimenti, ossia stabilità politica. Il
Brasile è già una potenza mondiale, il secondo più importante paese del Bric
(Brasile, Russia, India, Cina) dopo la Cina. Delle dieci maggiori banche del
mondo, tre sono brasiliane (e cinque cinesi). Nessuna invece viene dagli
Stati uniti, né dall'Inghilterra. Il Brasile detiene le seste riserve
mondiali di uranio (e sono state fatte prospezioni solo sul 25 per cento del
suo territorio) e avrà tra le prime cinque riserve mondiali di greggio
quando saranno terminate le prospezioni nella zona di Santos. Le
multinazionali brasiliane sono tra le maggiori del mondo: Vale do Rio
Doce è la seconda nel settore minerario e la prima nei minerali
ferrosi; Petrobras è la quarta compagnia petrolifera del mondo
e la quinta impresa globale per valore di mercato; Embraer è
la terza aeronautica dietro solo a Boeing e Airbus;
Braskem è l'ottava petrolchimica del pianeta. E si potrebbe
seguire ancora.
A differenza della Cina, il Brasile è autosufficiente in materia di energia
e sarà un grande esportatore. La sua maggiore vulnerabilità, quella
militare, sta per essere risolta grazie all'associazione strategica con la
Francia: nel decennio appena iniziato il Brasile fabbricherà caccia di
ultima generazione, elicotteri da combattimento e sottomarini, visto che la
Francia gli trasferirà le tecnologie necessarie. Verso il 2020, se non
prima, sarà la quinta economia del pianeta. E tutto ciò accade sotto il naso
degli Stati uniti.
Il Brasile già controlla buona parte del
Prodotto interno lordo della Bolivia, del Paraguay e dell'Uruguay. Ha una
presenza importante in Argentina, di cui è socio strategico, così come di
Ecuador e Perù, che gli facilitano l'accesso al Pacifico. Questo è l'osso
più duro della IV flotta. Ecco perché il Pentagono ha disegnato per il
Brasile la stessa strategia che applica alla Cina: generare conflitti alla
frontiera per impedirgli di allargarsi. Corea del Nord, Afghanistan e
Pakistan, oltre alla destabilizzazione della provincia a maggioranza
musulmana dello Xinjiang.
In Sud america, una pletora di
installazioni militari del Comando sud circonda il Brasile. La tenaglia si
chiude con il conflitto Colombia-Venezuela e Colombia-Ecuador. Ora bisognerà
contare anche la portaerei haitiana. È una strategia di ferro, freddamente
calcolata e rapidamente eseguita.
Il problema che si trovano di fronte le
nazioni e i popoli della regione è che le catastrofi naturali diventino
moneta corrente dei prossimi decenni. Questo è appena l'inizio. La IV flotta
sarà la porzione militare più sperimentata e miglior preparata per gli
interventi «umanitari» in situazioni di emergenza. Haiti non sarà
l'eccezione, ma il primo capitolo di una serie che mira al riposizionamento
militare in tutta la regione. Detto in altro modo: noi latino-americani
siamo in serio pericolo, ed è ora che ce ne rendiamo conto.
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terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
IL FATALE PREMIO GEOLOGICO
CHIAMATO HAITI |
4
febbraio 2010 -
F.W.Engdahl www.globalresearch.ca
www.comedonchisciotte.org
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Il presidente diventa l’inviato speciale dell’ONU nell’Haiti colpita dal
terremoto.
Un affarista e predicatore neoconservatore convertito americano sostiene che
gli Haitiani sono stati condannati per aver fatto un letterale
‘patto con il diavolo’.
Le organizzazioni di soccorso venezuelane, nicaraguensi, boliviane, francesi
e svizzere accusano i militari americani di negare il permesso di
atterraggio agli aerei che trasportano i medicinali necessari e l’acqua
potabile urgentemente necessaria per i milioni di Haitiani terremotati,
feriti e senzatetto.
Dietro il fumo, le macerie e il dramma infinito della tragedia umana di
questo disgraziato paese caraibico, si sta svolgendo un dramma per il
controllo di quella che i geofisici credono che possa essere la zona più
ricca del mondo di petrolio e di gas derivato da idrocarburi dopo il
Medioriente, possibilmente di grandezza maggiore del vicino Venezuela.
Haiti, e l’isola più grande di Hispaniola di cui fa parte, ha il fato
geologico di poggiare su una delle zone geologiche più attive al mondo, dove
le placche sottomarine profonde di tre immense strutture si urtano
continuamente l’un l’altra – l’intersezione tra la placca tettonica
nordamericana, sudamericana e caraibica. Situate sotto l’oceano nelle acque
dei Caraibi, queste placche consistono in una crosta oceanica di uno
spessore che va da tre a sei miglia, che galleggia sopra un mantello
adiacente. Haiti è inoltre sita al margine di una regione conosciuta come il
triangolo delle bermude, una vasta area dei Caraibi soggetta a strane e
inspiegate perturbazioni.
Questa vasta massa di placche sottomarine sono sempre in movimento,
sfregandosi reciprocamente lungo linee analoghe alle crepe di un vaso di
porcellana rotto che è stato rincollato. Le placche tettoniche terrestri si
muovono tipicamente l’una rispetto all’altra ad una velocità che va da 50 a
100 mm all’anno, e sono all’origine di terremoti e vulcani. Le regioni di
convergenza di tali placche sono inoltre aree dove abbondanti quantità di
petrolio e gas possono essere spinte in superficie dal manto terrestre. La
geofisica intorno alla convergenza delle tre placche, che si trovano più o
meno direttamente sotto Port-au-Prince, rende la regione soggetta a
terremoti come quello che ha colpito Haiti con devastante ferocia lo scorso
12 gennaio.
Un progetto geologico
attinente del
Texas
Mettendo da parte l’interrogativo pertinente sull’anticipo con cui il
Pentagono e gli scienziati americani avrebbero saputo che si sarebbe
verificato un sisma, e sui piani del Pentagono che venivano fatti prima del
12 gennaio, emerge un’altra questione intorno agli eventi di Haiti che può
aiutarci a spiegare lo strano comportamento finora dei maggiori attori del
‘soccorso’ – gli Stati Uniti, la Francia e il Canada. Oltre ad essere
soggetta a violenti terremoti, Haiti si trova inoltre in una zona che, a
causa della inconsueta intersezione delle sue tre placche tettoniche,
potrebbe poggiare su uno dei più grandi ed inesplorati giacimenti di
petrolio e gas, come pure di rari minerali preziosi di [importanza]
strategica.
Le vaste riserve di petrolio del Golfo Persico e della regione che va dal
Mar Rosso fino al Golfo di Aden si trovano in una zona analoga di
convergenza di grandi placche tettoniche, come del resto anche le zone
ricche di petrolio dell'Indonesia e le acque vicino alla costa della
California. In breve, in termini di fisica terrestre, precisamente tali
intersezioni di masse tettoniche, come quella che sta direttamente sotto
Haiti, hanno una particolare tendenza ad essere i siti di vasti tesori di
minerali, petrolio e gas, in tutto il mondo.
Significativamente, nel 2005, un anno dopo che l’amministrazione Bush-Cheney
aveva deposto de facto il presidente di Haiti eletto democraticamente,
ovvero Jean-Baptiste Aristide, una squadra di geologi dell’Institute for
Geophysics della University of Texas hanno dato inizio ad un’ambiziosa ed
approfondita mappatura in due fasi di tutti i dati geologici del bacino
caraibico. Il progetto sarà ultimato nel 2011. È diretto dal dott. Paul Mann
e si intitola “Il bacino caraibico, la tettonica e gli idrocarburi”. Verte
sulla determinazione quanto più precisa possibile, della relazione tra le
placche tettoniche nei Caraibi e il potenziale di idrocarburi – petrolio e
gas.
Significativamente, gli sponsor di [questo] progetto di ricerca da milioni
di dollari sotto la direzione di Mann sono le più grandi società petrolifere
del mondo, compresa la Chevron, la ExxonMobil, la anglo-olandese
Shell e la
BHP Billiton. [1] Curiosamente, questo progetto è la prima mappatura
geologica approfondita di una regione che avrebbe dovuto essere una priorità
per i giganti del petrolio americani già da decenni. Data l’immensa
produzione di petrolio attuale vicino al Messico, alla Lousiana e a tutti i
Caraibi, oltre alla sua prossimità agli Stati Uniti – per non pensare alla
stessa attenzione degli USA per la propria sicurezza energetica – è
sorprendente che la regione non sia già stata mappata prima. Ora emerge che
da molto tempo le maggiori società petrolifere erano almeno generalmente a
conoscenza dell’enorme potenziale della regione, e che hanno apparentemente
deciso di tenerlo segreto.
La scoperta super gigante di Cuba
Le prove che l’amministrazione USA abbia in mente ben più che il
miglioramento della devastata popolazione haitiana, possono essere trovate
nelle acque vicine a Cuba, direttamente di fronte a Port-au-Prince.
Nell’ottobre 2008 un consorzio di società petrolifere guidate dalla spagnola
Repsol, insieme alla società petrolifera statale cubana
Cubapetroleo, hanno
annunciato la scoperta di una delle più grandi zone petrolifere al mondo in
acque profonde in prossimità di Cuba. È quello che i geologi chiamano un
giacimento ‘super gigante’. Secondo le stime il giacimento cubano
conterrebbe fino a 20 bilioni di barili di petrolio, diventando il
dodicesimo giacimento super gigante di petrolio scoperto dal 1996. La
scoperta fa inoltre di Cuba un altro bersaglio con alta priorità della
destabilizzazione e delle altre operazioni malvage del Pentagono.
Senza dubbio a dispetto di Washington, il presidente russo Dmitry Medvedev è
volato ad Havana un mese dopo la scoperta del gigantesco giacimento cubano
per firmare un accordo con il sostituto presidente Raul Castro per
l’esplorazione e lo sviluppo del petrolio cubano da parte delle società
russe. [2]
Gli accordi petroliferi Russia-Cuba di Medvedev sono arrivati appena una
settimana dopo la visita del presidente cinese Hu Jintao per incontrare il
convalescente Fidel Castro e suo fratello Raul. Il presidente cinese ha
firmato un accordo per modernizzare i porti cubani e ha discusso l’acquisto
da parte della Cina di materie prime cubane. Senza dubbio la scoperta di
petrolio cubano era prioritaria nei programmi della Cina con Cuba. [3] Il 5
novembre 2008, poco prima del viaggio del presidente cinese a Cuba e in
altri paesi latino americani, il governo cinese ha pubblicato il suo primo
documento programmatico sul futuro delle relazioni della Cina con l’America
Latina e con le nazioni caraibiche, innalzando queste relazioni bilaterali
ad un nuovo livello di importanza strategica. [4]
Il giacimento petrolifero super gigante di Cuba fa inoltre rimanere i
sostenitori della teoria del ‘picco del petrolio’ ancor più con un palmo di
naso. Poco prima della decisione di Bush e Blair di invadere e di occupare
l’Irak, una teoria è circolata nel ciberspazio: ossia che dopo il 2010 il
mondo avrebbe raggiunto un “picco” assoluto della produzione di petrolio,
dando inizio ad un periodo di declino con drastiche implicazioni sociali ed
economiche. I prominenti portavoce [della teoria] compresi il geologo
petrolifero in pensione Colin Campbell e il banchiere del petrolio texano
Matt Simmons, sostenevano che non c’era stata nessuna nuova scoperta di
giacimenti super giganti di petrolio pressappoco dal 1976, e che i nuovi
giacimenti trovati nelle ultime due decadi erano stati “piccolissimi”
paragonati alle precedenti scoperte di giacimenti giganti in Arabia Saudita,
Prudhoe Bay, Daquing in Cina e altrove. [5]
È importante notare che, più di mezzo secolo fa, un gruppo di geofisici
russi ed ucraini, che lavoravano sotto segreto di stato, hanno confermato
che gli idrocarburi avevano origine in profondità nel mantello terrestre, in
condizioni simili a quelle di un calderone gigantesco che brucia a pressione
e temperature estreme. Hanno dimostrato che, contrariamente a quanto
sostenuto dalla geologia ‘tradizionale’ e accettata, gli idrocarburi non
sono il risultato di frammenti di dinosauri morti, concentrati e compressi e
in qualche modo trasformati in petrolio e gas milioni di anni fa, né di
alghe o altro materiale biologico. [6]
I geofisici russi ed ucraini hanno allora provato che il petrolio o il gas
prodotti nel mantello terrestre venivano spinti verso l’alto lungo faglie e
spaccature nella terra, tanto vicino alla superficie quanto lo permetteva la
pressione. Il processo era analogo alla produzione di lava liquida nei
vulcani. Significa che l’abilità di trovare il petrolio è limitata,
relativamente parlando, soltanto dall’abilità di identificare le spaccature
profonde e l’attività geologica complessa che tendono a far salire il
petrolio dalle profondità della terra. Sembra che le acque dei Caraibi,
specialmente quelle di Cuba e della vicina Haiti, sono per l’appunto una
regione con un’[alta] concentrazione di idrocarburi (petrolio e gas) che
hanno trovato una strada per salire vicino alla superficie, forse su una
scala paragonabile ad una nuova Arabia Saudita. [7]
Haiti, una nuova
Arabia Saudita?
La straordinaria geografia di Haiti e di Cuba e la scoperta di riserve
petrolifere di interesse mondiale nelle acque vicino a Cuba confermano gli
aneddoti di importanti scoperte petrolifere in svariate parti del territorio
haitiano. Potrebbero inoltre spiegare perché i due presidenti Bush ed ora il
nuovo inviato speciale ad Haiti dell’ONU Bill Clinton abbiano dato ad Haiti
una tale priorità. Ed ancora, potrebbero spiegare perché Washington e le
organizzazioni non governative si siano mosse così rapidamente per
destituire - due volte - il presidente Aristide, democraticamente eletto,
il cui programma per Haiti comprendeva, tra le altre cose, proposte di
sviluppo delle risorse naturali haitiane a vantaggio del popolo di Haiti.
Nel marzo 2004, alcuni mesi prima che la University of Texas e che il
Big
Oil americano lanciassero la loro ambiziosa mappatura dei potenziali di
idrocarburi dei Caraibi, uno scrittore haitiano, il dott. Georges Michel, ha
pubblicato un articolo su internet intitolato ‘Oil in Haiti’ [‘Petrolio ad
Haiti’]. In esso, Michel ha scritto:
… . [1] non è stato un segreto che nel profondo delle viscere della terra
dei due stati che condividono l’isola di Haiti e nelle acque circostanti ci
sono giacimenti di petrolio importanti e ancora non sfruttati. Non si sa
perché non siano sfruttati. A partire dal ventesimo secolo, la carta fisica
e politica dell’isola di Haiti, creata nel 1908 da Alexander Poujol e Henry
Thomasset, riportava una maggiore riserva di petrolio ad Haiti, vicino alla
sorgente del fiume Rio Todo El Mondo, oggi meglio conosciuto come il rio
Tomondo. [8]
Secondo un articolo del giugno 2008 di Robertson Alphonse [pubblicato] dal
quotidiano haitiano Le Nouvelliste en Haiti, “i segni, (indicatori), che
giustificano le esplorazioni di petrolio (oro nero) ad Haiti sono
incoraggianti. Nel bel mezzo dello shock del petrolio, circa 4 società
vogliono ottenere le licenze ufficiali dello stato di Haiti per trivellare
[alla ricerca] del petrolio”.
In quel momento, i prezzi del petrolio stavano salendo ad oltre $140 dollari
al barile – dietro manipolazione da parte di varie banche di Wall Street.
L’articolo di Alphonse citava Dieusuel Anglade, direttore del ministero per
l’industria mineraria e l’energia dello stato di Haiti, che diceva alla
stampa haitiana: “abbiamo ricevuto quattro richieste di permesso di
esplorazione petrolifera… Abbiamo avuto indicatori incoraggianti per
giustificare il perseguimento dell’esplorazione di oro nero (petrolio), che
si era fermata nel 1979”. [9]
Alponse ha riportato i risultati di uno studio geologico del 1979 ad Haiti
di 11 pozzi petroliferi di esplorazione, trivellati nella Plaine du
Cul-de-sac, sulla Plateau Central e presso L’ile de la Gonaive: “sono stati
trovati indicatori superficiali (tentativi) per il petrolio nella penisola
meridionale e sulla costa settentrionale, spiegava l’ingegnere Anglade, che
crede fermamente nell’immediata applicabilità commerciale di queste
esplorazioni”. [10]
Il giornalista Alphonse cita un memorandum del 16 agosto 1979 dell’avvocato
haitiano Francois Lamothe, in cui notava che “quattro grandi pozzi sono
stati trivellati” fino ad una profondità di 9000 piedi e che un campione che
“è stato sottoposto ad analisi fisico-chimiche a Monaco, in Germania” aveva
“rivelato tracce di petrolio”. [11]
Nonostante i promettenti risultati del 1979 ad Haiti, il dott. Georges
Michel ha riportato che “le grandi società petrolifere multinazionali che
operano ad Haiti hanno fatto pressioni affinché i depositi scoperti non
fossero sfruttati”. [12] L’esplorazione petrolifera sulla terraferma e
vicino alle coste di Haiti è stata conseguentemente interrotta di colpo.
Resoconti simili, forse meno precisi, che sostenevano che le riserve
petrolifere di Haiti potevano essere enormemente più grandi di quelle del
Venezuela sono apparsi sui siti internet di Haiti. [13] Allora nel 2010 il
sito di notizie finanziarie Bloomberg News pubblicava quanto segue:
Il terremoto del 12 gennaio è stato su una faglia che passa vicino alle
potenziali riserve di gas, ha detto Stephen Pierce, un geologo che ha
lavorato nella regione per 30 anni per società che comprendevano l’ex
Mobil
Corp. Il terremoto potrebbe aver frantumato le formazioni rocce lungo la
faglia, consentendo la temporanea penetrazione di gas o petrolio verso la
superficie, ha detto lunedì scorso durante un’intervista telefonica. ‘un
geologo, per quanto duro questo possa sembrare, che individui la zona di
tale faglia da Port-au-Prince fino al confine cercando infiltrazioni di gas
e petrolio, potrebbe trovare una struttura che non è stata trivellata,’ ha
detto Pierce, direttore dell’esplorazione della Zion Oil & Gas Inc., una
società con sede a Dallas che sta trivellando in Israele. [14]
In un’intervista per un quotidiano online di Santo Domingo, Leopoldo
Espaillat Nanita, ex capo della Dominican Petroleum Refinery (REFIDOMSA) ha
affermato, “c’è una cospirazione multinazionale per sottrarre illegalmente
le risorse minerarie della gente di Haiti”. [15] I minerali di Haiti
comprendono l’oro, il prezioso metallo strategico iridio e il petrolio, a
quanto pare molto.
I piani di sviluppo
di Aristide
Marguerite Laurent (‘Ezili Dantò’), presidente della
Haitian Lawyers’
Leadership Network (HLLN), che ha prestato servizio come avvocato per il
deposto Aristide, nota che quando Aristide era presidente - fino al momento
della sua espulsione appoggiata dall’America durante l’era di Bush, nel 2004
- aveva sviluppato e pubblicato in forma di libro i suoi piani per lo
sviluppo nazionale. Questi piani comprendevano, per la prima volta, un
elenco dettagliato dei siti conosciuti dove erano situate le risorse di
Haiti. La pubblicazione del piano ha fatto scoppiare un dibattito a livello
nazionale sulla radio di Haiti e nei media sul futuro del paese. Il piano di
Aristide era di implementare una partnership pubblico-privata per assicurare
che lo sviluppo del petrolio, dell’oro e di altre risorse preziose di Haiti
giovasse all’economia nazionale e alla gran parte della popolazione, e non
solo alle cinque famiglie oligarchiche di Haiti e ai loro sostenitori
americani, i cosiddetti Chimeres o gangster. [16]
Dalla deposizione di Aristide nel 2004, Haiti è un paese occupato, con un
presidente eletto in modo discutibile, Rene Preval, un controverso seguace
dei mandati di privatizzazione del FMI che, stando ai resoconti, è legato
alle Chimeres o oligarchi haitiani che hanno appoggiato l’espulsione di
Aristide. Significativamente, il Dipartimento di Stato americano si rifiuta
di permettere il ritorno di Aristide dal suo esilio in Sudafrica.
Ora, dopo il devastante sisma del 12 gennaio, i
militari statunitensi hanno
preso il controllo dei quattro aeroporti di Haiti e al momento hanno circa
20000 truppe nel paese. I giornalisti e le organizzazioni di soccorso
internazionali hanno accusato i militari americani di essere più preoccupati
di imporre il controllo militare, che preferiscono chiamare “sicurezza”, che
di portare l’acqua urgentemente necessaria, il cibo e le medicine dagli
aeroporti alla popolazione.
Un’occupazione militare americana di Haiti sotto forma di un ‘soccorso’ per
un disastro sismico darebbe a Washington e agli interessi economici privati
ad essa legati un premio geopolitico di prim’ordine. Prima del terremoto del
12 gennaio, l’ambasciata americana a Port-au-Prince era la quinta ambasciata
più grande al mondo, paragonabile alle ambasciate americane nei posti
geopoliticamente strategici come Berlino e Beijing. [17] Con lo sfruttamento
di enormi nuovi giacimenti di petrolio vicino a Cuba da parte di società
russe, con chiare indicazioni che anche Haiti contiene vaste quantità di
petrolio, come pure di oro, rame, uranio e iridio, con il Venezuela di Hugo
Chavez per vicino a sud di Haiti, un ritorno di Aristide o di qualsiasi
leader popolare impegnato per lo sviluppo delle risorse per la gente di
Haiti, - la nazione più povera delle Americhe - sarebbe un colpo
devastante per il solo superpotere mondiale. Il fatto che subito dopo un
terremoto, l’inviato speciale dell’ONU ad Haiti Bill Clinton abbia unito le
forze con il nemico di Aristide, George W Bush per creare il Clinton-Bush
Haiti Fund dovrebbe far riflettere tutti.
Secondo Marguerite Laurent (‘Ezili Dantò’) della Haitian Lawyers’ Leadership
Network, dietro la facciata del lavoro di soccorso per l’emergenza, gli USA,
la Francia e il Canada sono impegnati in una balcanizzazione dell’isola per
il futuro controllo minerario. Riferisce che il Canada vuole il nord di
Haiti, dove gli interessi minerari canadesi sono già presenti. Gli USA
vogliono Port-au-Prince e l’isola di La Gonaive in prossimità delle coste –
identificata nel libro di Aristide per lo sviluppo come una zona con vaste
risorse petrolifere, e che è aspramente contesa con la Francia. [Marguerite
Laurent] Afferma inoltre che la Cina, con il potere di veto dell’ONU sul
paese occupato de facto, potrebbe avere qualcosa da ridire contro una tale
spartizione tra USA, Francia e Canada dell’immensa ricchezza della nazione.
[18]
F. William Engdahl fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=17287
30.01.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI
Note:
1 Paul Mann, Caribbean Basins, Tectonic Plates & Hydrocarbons, Institute for
Geophysics, The University of Texas at Austin, accessed in
www.ig.utexas.edu/research/projects/cbth/.../ProposalCaribbean.pdf .
2 Rory Carroll, Medvedev and Castro meet to rebuild Russia-Cuba relations,
London Guardian, November 28, 2008 accessed in
http://www.guardian.co.uk/world/2008/nov/28/cuba-russia.
3 Julian Gavaghan, Comrades in arms: When China’s President Hu met a frail
Fidel Castro, London Daily Mail, November 19, 2008, accessed in
http://www.dailymail.co.uk/news/article-1087485/Comrades-arms-When-Chinas-President-Hu-met-frail-Fidel-Castro.html.
4 Peoples’ Daily Online, China issues first policy paper on Latin America,
Caribbean region, November 5, 2008, accessed in http://english.people.com.cn/90001/90776/90883/6527888.html
5 Matthew R. Simmons, The World’s Giant Oilfields, Simmons & Co.
International, Houston, accessed in http://www.simmonsco-intl.com/files/giantoilfields.pdf
6 Anton Kolesnikov, et al, Methane-derived hydrocarbons produced under
upper-mantle conditions, Nature Geoscience, July 26, 2009.
7 F. William Engdahl, War and Peak Oil—Confessions of an ‘ex’ Peak Oil
believer, Global Research, September 26, 2007, accessed in
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=6880 .
8 Dr. Georges Michel, Oil in Haiti, English translation from French, Pétrole
en Haiti, March 27, 2004, accessed in http://www.margueritelaurent.com/pressclips/oil_sites.html#oil_GeorgesMichelEnglish
9 Roberson Alphonse, Drill, and then pump the oil of Haiti! 4 oil companies
request oil drilling permits, translated from the original French, June 27,
2008, accessed in http://www.bnvillage.co.uk/caribbean-news-village-beta/99691-drill-then-pump-oil-haiti-4-oil-companies-request-oil-drilling-permits.html
10 Ibid.
11 Ibid. The full text indicated that, “five big wells were drilled at Porto
Suel (Maissade) of a depth of 9000 feet, at Bebernal, 9000 feet, at
Bois-Carradeux (Ouest), at Dumornay, on the road Route Frare and close to
the Chemin de Fer of Saint-Marc. A sample, a ‘carrot’ (oil reservoir)
drilled up from the well of Saint-Marc in the Artibonite underwent a
physical-chemical analysis in Munich, Germany, at the request of Mr. Broth.
‘The result of the analysis was returned on October 11, 1979 and revealed
tracks of oil,’ confided the engineer, Willy Clemens, who had gone to
Germany.”
12 Dr. Georges Michel, op. cit.
13 Marguerite Laurent, Haiti is full of oil, say Ginette and Daniel Mathurin,
Radio Metropole, Jan 28, 2008, accessed in http://www.margueritelaurent.com/pressclips/oil_sites.html#full_of_oil
.
14 Jim Polson, Haiti earthquake may have exposed gas, aiding economy,
Bloomberg News, January 26, 2010.
15 Espaillat Nanita revela en Haiti existen grandes recursos de oro y otros
minerals, Espacinsular.org, 17 November, 2009, accessed in
http://www.espacinsular.org/spip.php?article8942
16 The Aristide development plan was contained in the book published in
Haiti in 2000, Investir dans l’Human. Livre Blanc de Fanmi Lavalas sous la
Direction de Jean-Bertrand Aristide, Port-au-Prince, Imprimerie Henri
Deschamps, 2000. It contained detailed maps, tables, graphics, and a
national development plan for 2004 “covering agriculture, environment,
commerce and industry, the financial sector, infrastructure, education,
culture, health, women's issues, and issues in the public sector.” In 2004,
using NGOs and the UN and a vicious propaganda campaign to vilify Aristide,
the Bush administration got rid of the elected President.
17 Cynthia McKinney, Haiti: An Unwelcome Katrina Redux, Global Research,
January 19, 2010, accessed in http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=17063
18 Marguerite Laurent (Ezili Danto), Did mining and oil drilling trigger the
Haiti earthquake?, OpEd News.com, January 23, 2010, accessed in
http://www.opednews.com/articles/1/Did-mining-and-oil-drillin-by-Ezili-Danto-100123-329.html
. |
terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
Haiti: gli
sciacalli
americani |
30 gennaio
20101 - Anna Chiara Di Cagno
www.kliggmagazine.com/?p=1876
|
Un’organizzazione dal nome orwelliano,
International peace operations association (Ipoa, associazione
internazionale per le operazioni di pace), non ha perso tempo: ha offerto i
“servizi”delle sue società per potersi avventare su Haiti e fornire un po’
di “assistenza umanitaria” vecchio stile sottoforma di sfruttamento delle
catastrofi.
A poche ore dal terremoto, aveva già creato
una pagina web per i suoi potenziali clienti, in cui diceva: “Le nostre
società sono pronte a offrire un’ampia gamma di servizi di assistenza alle
vittime del tragico terremoto di Haiti”.
Alcune delle imprese associate all’Ipoa
sono specializzate nei trasporti e nella rapida costruzione di abitazioni e
tendopoli, altre sono società di sicurezza private attive anche in Iraq e in
Afghanistan, come la Triple Canopy,che ha rilevato il lucroso
contratto firmato dalla Blackwater con il dipartimento di
stato in Iraq.
La Blackwater ha svolto per
anni un ruolo importante nell’Ipoa, finché, dopo il massacro del 2007 in
piazza Nisour, a Baghdad, è stata costretta a lasciare il gruppo. Nel 2005,
quando era ancora nell’Ipoa, la Blackwater (che oggi si chiama
Xe Services) schierò le sue forze a New Orleans dopo la
devastazione dell’uragano Katrina.
Non fu un atto di generosità: l’azienda
rastrellò circa 70milioni di dollari in contratti con la protezione civile,
a cominciare da quello senza gara d’appalto per proteggere i suoi operatori,
mettendo in conto ai contribuenti americani 950 dollari al giorno per ogni
uomo scortato.
Il programma in base al quale oggi le
società di sicurezza armate lavorano per il dipartimento di stato in Iraq –
il Worldwide personal protection program – è nato proprio ad
Haiti durante l’amministrazione Clinton.
Nel 1994 le società di sicurezza private
furono essenziali per le attività di Washington nel paese dopo
l’estromissione di Jean-Bertrand Aristide a opera degli squadroni della
morte appoggiati dalla CIA.
Quando invasero l’Iraq, il presidente Bush
e la sua amministrazione estesero il programma e lo trasformarono
nell’organizzazione paramilitare privatizzata che è oggi.
All’epoca del secondo colpo di stato contro
di lui, nel 2004, Aristide era protetto dalla Steele Foundation,
una società di sicurezza privata di San Francisco.
Ma le attività dell’industria dei mercenari
ad Haiti non finiscono qui.
Il 15 gennaio la All Pro Legal
Investigations ,una ditta con sede in Florida, ha registrato il sito
Haiti-security.com. È una copia di quello che già ha negli Stati Uniti, ma
si rivolge agli uomini d’affari haitiani, affermando: “Le società di
costruzione e ricostruzione che stanno considerando l’idea di realizzare un
progetto ad Haiti possono disporre della nostra professionalità in materia
di sicurezza”.
L’azienda “fornirà servizi di sicurezza
contro qualsiasi minaccia al benessere di Haiti. I luoghi di lavoro e i
convogli dei rifornimenti saranno difesi da vandali e saccheggiatori. I
dipendenti saranno protetti dalla violenza e dall’intimidazione delle bande
criminali. Il paese si riprenderà con l’aiuto dei volenterosi di tutto il
mondo”. L’azienda si vanta di aver portato a termine con successo “migliaia
di missioni in Iraq e in Afghanistan”.
E il personale? “Tutti i membri delle
nostre squadre sono ex poliziotti o ex militari”,afferma il sito. Sembra che
i primi clienti stiano già arrivando.
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terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
Madre Terra |
21 gennaio 2010 - www.granma.cu
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In risposta alla
crudele
posizione di Washington rispetto
alla disperazione di molti haitiani, il presidente del Senegal, Abdoulaye
Wade, ha offerto agli haitiani discendenti dagli schiavi africani,
l’opportunità di essere rimpatriati nella “terra dei loro predecessori”, ed
ha addirittura offerto loro terre nel paese africano.
“L’Africa deve offrire agli haitiani la
possibilità di tornare alla loro madre terra. È un loro diritto”, ha
dichiarato il presidente Wade.
Il Dipartimenti di Sicurezza Interna degli
Stati Uniti ha detto che avrebbe svuotato, oltre al centro di detenzione nel
Sud dello Stato della Florida, quello di Guantánamo, per ricevere gli
haitiani.
In ciniche dichiarazioni, la Segretaria
della Sicurezza degli Interni, Janet Napolitano, ha avvertito gli haitiani
che “non ci dovete distrarre dai nostri sforzi di riscatto ed assistenza con
i vostri tentativi di uscire dal paese”.
Migliaia di haitiani stanno cercando la
maniera di uscire dalla capitale distrutta dal terremoto. “I prezzi del cibo
e del trasporto sono aumentati e la violenza per strada sta crescendo”, ha
dichiarato al Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Il musicista haitiano-statunitense Wyclef
Jean, ha reso un appello alla comunità internazionale per aiutare con
l’evacuazione della capitale. “Puerto Principe è una trappola”, ha detto.
“Dobbiamo far migrare almeno 2 milioni di haitiani”.
La comunità internazionale ha manifestato
le sue preoccupazioni sulla
militarizzazione degli Stati Uniti di Haiti,
dopo l’arrivo di migliaia di truppe statunitensi e navi da guerra intorno al
paese. Il capo dello stato maggiore congiunto del Pentagono, l’Ammiraglio
Mike Mullen, ha dichiarato domenica che stanno mandando 10mila truppe ad
Haiti, “e forse di più”.
Le preoccupazioni sulle intenzioni di
Washington ad Haiti sono cresciute nel fine settimana quando il presidente
Obama ha fatto sapere che i due ex-presidenti Bill Clinton e George W. Bush
avrebbero guidato gli aiuti umanitari ad Haiti. Bush ha diretto e finanziato
un colpo di Stato nel 2004 contro il presidente Aristide, il cui risultato è
stato la morte di centinaia di haitiani ed una crisi politica, sociale, ed
economica che ha approfondito la miseria del paese più povero dell’Emisfero.
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terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
Pat Robertson o l’appello
della giungla |
21 gennaio 2010 - Eliades Acosta
Matos www.granma.cu
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Un parte di Puerto Principe ancora bruciava
devastata da un terribile terremoto e migliaia di persone si trovavano
sepolte sotto le macerie, quando un pastore evangelico statunitense, ben
noto per le sue opinioni fondamentaliste e ottuse, decide di anticipare tutti
fin dallo sparo di inizio della corsa all’odio razzista e alla vendetta
storica. In realtà, non gli è risultato difficile, non ha neppure dovuto
sforzarsi. A Pat Robertson, come tante altre volte prima, è bastato aprire
la bocca.
Che in pieno XXI Secolo una personalità
pubblica attribuisca un disastro naturale già spiegato dalla scienza in
maniera esaustiva alla presunta firma, da parte del popolo haitiano di un
patto con il Diavolo più di 200 anni fa con l’obiettivo di liberarsi dalla
colonia francese è, almeno, sconcertante.
Mettiamo da parte il fatto che questa
accusa sia totalmente ridicola e la profonda incapacità che esprime di
capire, non solo il gesto liberatore haitiano, precursore del resto
dell’America Latina, ma anche i processi geologici naturali.
Per caso il Reverendo Robertson non si è
neppure accorto che esiste il noto canale Discovery Channel?
Ci hanno già abituati, dai tempi di George
W. Bush, a questi energumeni analfabeti che si credono illuminati da Dio, e,
di conseguenza, sollevati, dalla grazia divina, dall’arduo lavoro del
leggere ed informarsi, però non dal diritto che credono d’avere a reggere il
destino dell’Umanità. Ma anche così, quello di Robertson nel caso di Haiti,
e con lo sfondo della palpitante disgrazia della nazione più povera
dell’Emisfero Occidentale, eccede tutti i limiti della decenza, senza
parlare dell’affronto che ha causato alla pietà e all’amore verso i suoi
simili, che hanno sempre fatto della predica cristiana una dottrina forte e
peculiare.
Però ciò che costerna ancora più che le
parole di Robertson, è vedere i suoi precedenti e l’enorme influenza che
esercita su milioni di credenti, tanto da essersi candidato nel 1998 alla
presidenza per il partito Repubblicano.
Robertson, ispirato tele-evangelista, si
presenta anche nella sua pagina web come “uomo d’affari”. Ha fondato, e
dirige, con un pugno di ferro, che non ha nulla a che vedere con la
spiritualità, un impero mediatico nel Christian Broadcasting Network. Basti
pensare che solo uno dei suoi programmi, il “700 Club” ha ogni giorno un
audience di oltre un milione di persone. Un altro suo tentacolo terrestre è
l’Operation Blessing Internationl Relief and Development Corporation,
incaricato, secondo le sue serafiche parole, di…”testimoniare l’amore divino
aiutando i sofferenti ed i bisognosi negli Stati Uniti ed in altre parti del
mondo”. Tale umile testimonianza ha fatto passare per le mani di questo
esemplare samaritano l’astronomica cifra di più di 1200 milioni di dollari.
E le sue arche continuano a riempirsi di denaro, che entra a fiumi, perché,
si sa, che l’industria della fede fa miracoli.
Nato nel 1930 in Virginia, questo astuto
agnello del Signore è anche il fondatore di organizzazioni conservatrici
come l’American Center for Law and Justice, e la potente Christian Coalition,
con la quale ha lavorato durante le elezioni del 2004, gomito a gomito con
il mago della frode e della calunnia Karl Rove. Giustamente si è detto che
George W. Bush deve il suo secondo mandato al voto in blocco di quell’esercito,
e che con quella alleanza tra i neoconservatori ed i teoconservatori negli
Stati Uniti si sono create le condizioni per l’instaurazione di una variante
totalitaria di potere, a cavallo tra la dottrina e la teocrazia. Questo, e
nient’altro, hanno significato quelle lezioni, nell’anno nel quale tutti
eravamo in pericolo.
L’arroganza di Robertson risale a date
antiche, ed il suo sostenuto successo e popolarità, come quella del
recentemente scomparso reverendo Jerry Falwell, suo compagno nei programmi
contrari ad ogni idea moderna o progressista, dimostrano che non si tratta
di esseri impazziti, ma di portavoci di tendenze profonde ed oscure che si
muovono nei sotterranei di quella nazione nutrita dal proprio sistema.
Quello che ha detto stavolta Robertson su Haiti, più o meno lo aveva detto
il suo socio Falwell dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001.
Allora,
quel crimine terrorista, così come oggi questa catastrofe naturale, fu
motivo per proclamare che erano i peccati della nazione, e l’azione di
organizzazioni in difesa dei diritti civili, come l’ACLU, i difensori
dell’aborto, le femministe ed i gay ad aver provocato il castigo divino. Fu
Robertson, qualche anno fa, ad emettere nel suo programma “700 Club”, una di
quelle dichiarazioni che ci fanno restare senza parole. Fu lui a dire,
riferendosi al
presidente Chávez che…”se lui crede che vogliamo ammazzarlo
dobbiamo andare avanti e farlo. Questo sarebbe molto più economico che
cominciare una guerra”.
È coerente con la sua visione del modo
quasi-fascista quello che Robertson ha dichiarato rispetto ad Haiti.
Nel
1992, parlando di fronte al Congresso del partito Repubblicano, definì il
comunismo come una delle sue bestie preferite, come la “piaga che 75 anni fa
discese come una nuvola nera sul mondo e coprì l’Europa dell’est”, ed il
partito Democratico “come una piaga più benigna, ma non meno insidiosa, che
ha infettato le famiglie statunitensi”.
Negli ultimi tempi e prima di
scagliarsi contro la Rivoluzione haitiana, gli epiteti più biechi e le sue
peggiori maledizioni erano dirette quasi esclusivamente all’islamismo,
religione che chiama anche “setta satanica”.
In un discorso per appoggiare
la “guerra contro il terrorismo” di Bush, e prima dell’invasione in Irak,
definì il conflitto come “una lotta religiosa, uno scontro di culture, di
punti di vista e di ideologie”.
Nella sua lista dei desideri, incluse
l’opinione che bisognasse assassinare Saddam Hussein prima di realizzare una
costosa invasione in Iraq, reiterando il santo zelo votato al risparmio di
ogni capitalista che calibra un investimento, perché il suo governo era la
fonte del terrorismo “biologico, nucleare e chimico”. Incluse anche che era
urgente la necessità di “espellere dal paese tutti gli immigranti ostili e
di elevare la sicurezza nazionale (e le spese della difesa, che è la solfa
ricorrente di ogni neoconservatore bene) a livello di massima priorità
federale”. E per definire la caratterizzazione del personaggio, niente di
meglio che citare, da quello stesso discorso, l’opinione geopolitica che si
merita la sua nazione: “gli Stati Uniti devono umilmente andare davanti al
Signore, confessare i propri peccati e chiedere il Suo perdono e la Sua
protezione…Lui ci ha protetti dalla guerra del 1812: abbiamo prosperato e
siamo fioriti grazie alla Sua protezione. Questa è una nazione speciale per
Lui, la sua nazione eletta…dobbiamo attaccare da vari fronti e causare
dolore, ma non soccomberemo al terrore”.
Le parole più recenti di Pat Robertson
hanno provocato, come c’era da aspettarsi, turbamento ed indignazione.
Forse, come un buon impresario, quello che stava cercando era propaganda
gratuita per la sua stellare mercanzia, che è la sua stessa persona.
“Sono insinuazioni mostruose, neppure Pat
Robertson poteva sfruttare una tragedia di simili dimensioni” ha affermato
Michael Rowe nel suo articolo “The never-ending horror of Pat Robertson”,
pubblicato nel “The Huffington Post”. “Ma magari serve, almeno, per far sì
che il paese riveda la sua multimilionaria industria della religione,
completamente libera da tasse. Se lo facciamo, e analizziamo il ruolo che
giocano tipi come lui nella cultura popolare della nazione, forse alla fine
scopriremo chi ha realmente firmato il patto con il Diavolo”.
E per non rimanere ultimi in questa gara
vendicativa contro le rivoluzioni, la storia ed i popoli che hanno lottato
per la propria libertà ed indipendenza, l’Heritage Foundation
ha emesso,
sulle macerie ancora fumanti di Puerto Principe e le strade gonfie di
cadaveri e grida delle persone rimaste intrappolate sotto le rovine, un
documento che deve passare agli annali dell’infamia e della meschinità
imperialista, assieme alle parole di Pat Robertson. Seguendo questa mania
così neoconservatrice di ordinare i presidenti della nazione, il documento
“Things to Remember While Helping Haiti” dice:
“La risposta del governo degli Stati
Uniti (di fronte alla catastrofe) dovrà essere audace e decisiva. Dovrà
mobilizzare verso Haiti forze civili e militari, con la missione di
realizzare il salvataggio immediato, il recupero e la messa in pratica di
riforme di lungo termine. Assieme all’ex presidente Clinton, inviato
dall’ONU, forse il presidente Obama dovrebbe inviare Bush. Essendo già ad
Haiti, i militari statunitensi saranno in condizioni di interrompere i voli
notturni carichi di cocaina provenienti dal Venezuela con destinazione Haiti
e Repubblica Dominicana, e contrarrestare gli sforzi del presidente Chávez
di destabilizzare entrambi i paesi…Gli Stati Uniti dovranno anche
implementare una vigorosa diplomazia pubblica per bloccare la negativa
propaganda che emana dall’alleanza Castro-Chávez. Tali obiettivi dovranno
dimostrare che gli Stati Uniti continuano ad essere una potenza benefattrice
in America e nel resto del mondo”.
Un pungente comico statunitense, Andy
Borowitz, riferendosi a Pat Robertson ha affermato che Dio ha convocato una
conferenza stampa a New York e dichiarato che il reverendo era “un incubo
per le sue relazioni pubbliche, un enorme motivo di imbarazzo per lui, e che
se ha deciso di rendere pubbliche le sue opinioni al rispetto è solo perché
la condizione di Robertson continua a peggiorare”.
Parole profetiche ed illuminate quelle di
Borowitz: esprimono, esattamente, quello che sentono i popoli del mondo
vedendo lo spettacolo grottesco di un imperio decadente ed in rovine, e la
farsa crudele dei suoi portavoce più ipocriti e scaltri di fronte all’enorme
tragedia umana di Haiti.
terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
I ricchi si
divertono
nella tragedia
21 gennaio 2010 - www.granma.cu
La compagnia di navi da crociera Royal
Caribbean ha deciso di mantenere i suoi viaggi di lusso e di piacere ad
Haiti, nonostante la tragedia che vive il paese, ed assicura che conservare
l’attività ed il lavoro dei suoi dipendenti haitiani è il modo migliore di
collaborare con la tragedia.
Così mentre i morti si calcinano, i ricchi
si abbronzano sotto lo stesso sole, in Haiti. La Royal Caribbean ha un’isola
propria, Labadee, a nord di Haití, a 150 Km dall’epicentro del terremoto a
Port au Prence, e lì giungono le su navi da crociera tre volte la settimana.
“Manteniamo gli itinerari normali, con tre
navi la settimana a Labadee”, ha detto a AFP la direttrice delle
comunicazioni corporative della Royal Caribbean, Lyan Sierra-Caro.
“Lunedì è giunta la Navigator of the Seas,
oggi abbiamo la Liberty of the Seas, e venerdì arriverà la Celebrity
Solstice”, ha detto Sierra-Caro, indicando che l’impresa non ha registrato
cancellazioni dovute alla situazione di Haiti.
L’annuncio della continuità dei viaggi ha
acceso una forte polemica, perchè molti si chiedono se è morale che la
compagnia porti le navi da crociera in un paese dove la comunità
internazionale sta lottando per aiutare i sopravvissuti ad una catastrofe
con migliaia di morti.
“Non so immaginarmi mangiando un hamburger
su una spiaggia di Haiti, sapendo che sono morti a migliaia, che hanno fame
e sete, sono feriti e con poche cure”, ha detto un navigatore nel blog
Cruise Critic, con il nome Bakincakes, che è stato a Labadee poco prima del
terremoto.
Il complesso è solo per turisti, vietato
agli haitiani – meno i lavoratori - circondato da alte mura e con guardie
di sicurezza private.
A pochi chilometri si calcolano già quasi
duecentomila morti e un milione e mezzo di persone senza casa, e si cercano
ancora i corpi sotto le macerie...
Ma al mostro del turismo tutto questo non
interessa molto.
Il quotidiano El Mundo, ha
pubblicato la dichiarazione del vicepresidente della Royal Caribbean, John
Weiss, che ha vantato il suo gesto di beneficenza ed ha assicurato che
“hanno donato sedie e materassi che avanzavano”, all'ospedale improvvisato
che cerca di soccorrere migliaia di rifugiati che sono fuggiti a Cap Haïtien,
una città vicina…
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terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
Haiti va aiutata o annessa? |
20 gennaio 2010 - editoriale
Latinoamerica n 109
www.giannimina-latinoamerica.it
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A meno di 24 ore dalla catastrofe che ha
disintegrato la già poverissima isola caraibica di colonizzazione francese,
i 344
medici e specialisti della salute
cubani che, in 227 dei 337 comuni
del paese aiutano e curano da tempo, quotidianamente, quella martoriata
umanità, erano già intervenuti in più di mille emergenze. Solo tre di loro
erano feriti. Nello stesso frangente stava già arrivando a Port au Prince,
con due ospedali da campo che si sarebbero collocati a fianco degli ospedali
pubblici crollati, un altro gruppo di volontari, che avrebbe portato a circa
mille il numero dei cooperanti cubani del settore della salute.
A questo dato bisogna aggiungere che non
meno di 400 giovani haitiani, negli ultimi anni, si sono formati come medici
a Cuba, specie nella Scuola di Medicina Latinoamericana, nata dieci anni fa
dopo che il terribile uragano Mitch aveva devastato tutte le repubbliche del
Centroamerica [Guatemala, Belize, Nicaragua, Salvador, Honduras, Costarica e
Panama] terre di miseria, dove i dottori ci sono - quando ci sono - nelle
città, ma scarseggiano nelle campagne perché i contadini non hanno niente
per pagarli.
Lo ricordava con orgoglio Fidel Castro sul
Granma, in una delle sue
“Riflessioni”,
che pubblichiamo in questo numero di Latinoamerica.
I dati che abbiamo fornito. e che sono
insmentibili, stridono sorprendentemente, però, con le notizie che si
susseguono mentre scrivo questo articolo e che segnalano come gli Stati
Uniti, nelle stesse ore, stiano invece inviando oltre 10mila marines [più di
quanti abbiano fatto recentemente per l’Afghanistan] un contingente che, a
breve, potrebbe addirittura raddoppiarsi. Perché questa differenza di
approccio?
Speriamo di sbagliarci, ma abbiamo
l’impressione che la difesa del poco che è rimasto in piedi, quasi sempre
nei quartieri dei più abbienti, sia per Washington una priorità, rispetto
alla possibilità di salvare vite umane, feriti e persone che sono rimaste
senza nulla, al massimo con quello che hanno addosso, calcinacci compresi.
Insomma, come successe per New Orleans,
sembra quasi che il crudele destino di Haiti abbia portato con sé, oltre
alla sciagura, anche la non trascurabile possibilità, una volta sgomberate
le macerie, di creare un bel business. Forse ora, nell’era di Obama, si
eviterà di favorire la mitica Halliburton, per la quale si spendeva l’ex
vicepresidente USA Dick Cheney e che attualmente ha, fra i tanti affari,
l’appalto miliardario della fornitura di cibo, vestiario e materiali vari
all’esercito nordamericano in Iraq e in Afghanistan. Ma il progetto è già
all’orizzonte.
Non è un pregiudizio. Basta pensare che il
Fondo Monetario Internazionale, uno degli enti responsabili della miseria
della maggior parte dell’umanità, già giovedì 14, due giorni dopo la
catastrofe, ha trionfalmente annunciato un nuovo prestito di 100 milioni di
dollari per Haiti, che nasconde il solito saccheggio dei paesi poveri e
disperati. Per questo The Nation, la rivista progressista di
geopolitica più prestigiosa d’America, ha raccontato la nuova elargizione
con queste parole: “Da una parte il prestito sarebbe una buona cosa: Haiti è
allo stremo è ha bisogno di una massiccia infusione di denaro. Ma il
prestito è stato concesso solo mediante l’estensione del credito di Haiti,
che già deve al FMI 165 milioni di dollari, e con delle condizioni imposte,
fra cui l’aumento delle tariffe elettriche, il divieto di aumento dei salari
degli impiegati pubblici e l’impegno a tenere bassa l’inflazione”.
In altre parole, proprio alla faccia di
quest’ultima tragedia, il FMI sta di nuovo usando disastri e debiti come
leve per spingere ancora una volta un paese stremato verso le consuete,
crudeli e perdenti riforme neoliberiste.
Ci vuole un stomaco davvero forte per
affrontare tragedie umane con questo cinismo, e ti domandi con quale
sconsideratezza i media del mondo che viviamo, anche quelli si dichiarano
ancora di sinistra, affrontano il problema dei diritti violati dei popoli,
stigmatizzando, proprio in America latina, Cuba o il Venezuela, se poi sono
queste realtà politiche, certo non prive di errori e contraddizioni, ad
affrontare in modo umano e realista i disastri dei pueblos hermanos rimasti
prigionieri delle logiche economiche di quei paesi forti che giurano di
portare nel mondo la democrazia e la libertà e poi sono pronti a sfruttare
senza ritegno qualunque tragedia dei poveri.
Non a caso, sempre The Nation,
spiega: “La vulnerabilità di Haiti ai disastri naturali, la sua carenza
alimentare, la miseria, la deforestazione e la sua mancanza di
infrastrutture non sono accidentali. Dire che Haiti è la nazione più povera
dell’emisfero occidentale è un’imprecisione: Haiti è stata resa la più
povera. Dalla Francia, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, da altre
potenze occidentali e da organismi come il Fondo Monetario e la Banca
Mondiale.”
Se il quadro è questo, con quale coraggio
anche l’America di Obama tiene sotto schiaffo per esempio Cuba, non solo
pronta a “esportare” in tutti i Sud del mondo un’eccellenza sanitaria forte
di 70mila medici, ma capace perfino, in questi giorni amari in cui si temeva
uno tsunami nei Caraibi, di mettere in sicurezza, in un’ora, i 30mila
abitanti della zona di Baracoa, quella di fronte ad Haiti?
Questo modo di agire si chiama rispetto dei
diritti umani delle persone. La nostra informazione, però, non se n’è
accorta, anche se tutte le notizie che ho messo in fila in quest’articolo
sono in Rete. Forse perché qui non erano in campo le aspirazioni e le
esigenze di
Yoani Sánchez,
la bloguera soldatessa della cyberguerra che gli Stati Uniti, dai tempi di
Rumsfeld, continuano a fare a Cuba anche dopo l’elezione del nuovo
Presidente, deludendo tante speranze e contraddicendo tante promesse di
cambio.
Perché, insomma, il mondo che cerca un
futuro dovrebbe sposare il neoliberismo caro alle scelte di tutte le
amministrazioni USA, se poi quando il destino disperde in un attimo un
popolo, come nel caso di Haiti, è Cuba, anomala, diversa, “stato canaglia”
[come l’ha confermata nell’elenco dei cattivi anche Obama], a essere in
grado di portare un aiuto immediato, concreto sul campo e non la Colombia,
il Perù o il Messico, gli stati vassalli, fedeli all’Alca, il trattato di
libero commercio con Washington?
Cuba, per esempio, dopo 50 anni di assedio
ha aperto il suo spazio aereo al transito dei voli umanitari provenienti
dagli Stati Uniti per favorire le operazioni di soccorso. I marines USA,
invece, sono entrati quasi subito in urto con Francia e Brasile, cioè con
Medici senza Frontiere e con il contingente ONU a maggioranza del governo di
Brasilia, per la gestione molto personale che facevano dell’aeroporto di
Port au Prince. Una gestione che ha fatto dirottare l’aereo di MSF con due
ospedali da campo a bordo, all’aeroporto di Santo Domingo perché bisognava
aspettare l’arrivo di Hillary Clinton.
Forse è solo una questione di ruolo, un
grande paese come gli Stati Uniti non può permettersi di intervenire in un
disastro naturale senza pensare agli sviluppi politici, economici e
strategici che quella tragedia porterà. Così, come ha scritto Tommaso Di
Francesco sul manifesto del 17 gennaio, ancor prima del
personale sanitario, per gli USA è conveniente mandare i marines.
Bene o male, in questa America latina da
qualche tempo insofferente e indisciplinata alle vecchie regole dell’Impero,
l’antica Hispaniola sta a metà strada tra Cuba e Venezuela, e farsi sfuggire
l’occasione di allestire magari una base militare in quella terra ora così
bisognosa di tutto, sarebbe, per l’apparato del Pentagono, una distrazione
imperdonabile.
Poi, per la copertina, si convocano due ex
presidenti per la raccolta fondi. Peccato che tanto Clinton quanto Bush jr
non abbiano precedenti positivi sul tema. Il primo, democratico, è stato
protagonista delle sconfitte politiche di Washington nella gestione della
crisi haitiana nel 1994. Il secondo, Bush jr. repubblicano, sotto la cui
presidenza New Orleans fu cancellata dall’uragano Katrina ma più ancora
dalla totale incapacità del suo governo, prima di proteggere la città del
jazz, poi di soccorrerla e infine di farla rinascere.
Ma i media italiani hanno ben altro a cui
pensare: le prossime elezioni regionali, con chi andrà Casini, la
riabilitazione di Craxi, l’inquietante riforma della giustizia, o il
deputato leghista che si scandalizza per alcune pagine del Diario di Anna
Frank. Il pubblico non deve sapere né capire cosa succede nel mondo. I buoni
sono sempre gli stessi, e i cattivi anche, malgrado i fatti smentiscano
questi schemi.
Perché l’etica, la verità dell’informazione
è un’esigenza ormai svalutata. Se non ci credete ancora, leggete quest’altra
storia.
|
terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
QUELLO CHE
NON VI
SENTITE
DIRE SU HAITI
(E CHE INVECE DOVRESTE CONOSCERE)
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16 gennaio 2010 - Carl Lindskoog (commondreams.org)
www.comedonchisciotte.org
|
Nelle
ore seguenti il devastante
terremoto di Haiti
la CNN, il New York Times ed altri media importanti hanno
adottato un'interpretazione comune circa le cause di una distruzione così
grave: il terremoto di magnitudo 7.0 è stato tanto devastante perché ha
colpito una zona urbana estremamente sovrappopolata ed estremamente povera.
Case "costruite una sull'altra", edificate dagli stessi poveri abitanti, ne
hanno fatta una città fragile. Ed i molti anni di sottosviluppo e di
sconvolgimenti politici avrebbero reso il governo haitiano impreparato ad un
tale disastro.
Questo è piuttosto vero. Ma la storia non è tutta qui. Quello che manca è
una spiegazione del perché così tanti haitiani vivono a Port Au Prince e nei
suoi sobborghi e perché tanti di loro sono costretti a sopravvivere con così
poche risorse. Infatti, anche se una qualche spiegazione è stata azzardata,
si tratta spesso di spiegazioni false in maniera vergognosa, come la
testimonianza di un ex diplomatico statunitense alla CNN secondo la quale la
sovrappopolazione di Port Au Prince sarebbe dovuta al fatto che gli
haitiani, come la maggior parte dei popoli del Terzo Mondo, non sanno nulla
di controllo delle nascite.
Gli americani avidi di notizie potrebbero anche spaventarsi apprendendo che
le condizioni cui i media americani attribuiscono l'amplificazione
dell'impatto di questo tremendo disastro sono state in gran parte il
prodotto di politiche americane e di un modello di sviluppo a guida
americana.
Dal 1957 al 1971 gli haitiani hanno vissuto sotto l'ombra oscura di "Papa
Doc" Duvalier, un dittatore brutale che ha goduto del sostegno degli Stati
Uniti, perché è stato considerato dagli americani come un affidabile
anticomunista. Dopo la sua morte il figlio di Duvalier, Jean-Claude
soprannominato "Baby Doc", è diventato presidente a vita all'età di
diciannove anni ed ha regnato su Haiti fino a quando non è stato rovesciato
nel 1986. E' stato nel corso degli anni '70 ed '80 che Baby Doc, il governo
degli Stati Uniti e la comunità degli uomini d'affari hanno lavorato di
concerto per mettere Haiti e la sua capitale sulla buona strada per
diventare quello che erano il 12 gennaio 2010.
Dopo l'incoronazione di Baby Doc, pianificatori americani dentro e fuori il
governo statunitense hanno avviato un loro piano per trasformare Haiti in
una "Taiwan dei Caraibi". Questo piccolo e povero paese situato
convenientemente vicino agli Stati Uniti è stato messo in condizioni di
abbandonare il suo passato agricolo e di sviluppare un robusto settore
manifatturiero esclusivamente orientato all'esportazione. A Duvalier e ai
suoi alleati fu detto che questo era il modo di modernizzare e di sviluppare
economicamente il paese.
Dal punto di vista della Banca mondiale e dell'Agenzia Statunitense per lo
Sviluppo Internazionale (USAID)
Haiti ha rappresentato il candidato ideale per questo lifting neoliberista.
La povertà radicata delle masse haitiane poteva essere utilizzata per
costringerle ad accettare lavori a bassa remunerazione, come il cucire palle
da baseball o l'assemblare altri prodotti di consumo.
USAID però aveva piani precisi anche per l'agricoltura. Non soltanto le
città haitiane dovevano diventare punti di produzione di articoli da
esportare: anche la campagna doveva seguirne le sorti, e l'agricoltura
haitiana fu riorganizzata per servire alla produzione di articoli da
esportare e sulla base di una produzione orientata al mercato estero. Per
raggiungere questo scopo USAID, insieme con gli industriali cittadini e con
i latifondisti, si è data da fare per impiantare industrie di trasformazione
dei prodotti agricoli, al tempo stesso incoraggiando la pratica, già in uso,
di rovesciare molte eccedenze agricole di produzione statunitense sul popolo
haitiano.
Era prevedibile che questi "aiuti" da parte degli americani, innescando
cambiamenti strutturali nell'agricoltura, avrebbero costretto i contadini di
Haiti che non erano più in grado di sopravvivere a migrare verso le città,
soprattutto verso Port Au Prince, dove si pensava si sarebbero concentrate
le maggiori opportunità di occupazione nel nuovo settore manifatturiero.
Tuttavia, quanti arrivarono in città scoprirono che i posti a disposizione
nel settore manifatturiero non erano neppure lontanamente abbastanza. La
città divenne sempre più affollata e si svilupparono grandi insediamenti
fatti di baracche. Per rispondere alle necessità abitative dei contadini
sfollati si mise all'opera un modo di costruire economico e rapido, a volte
edificando le abitazioni letteralmente "l'una sull'altra".
Prima che passasse molto tempo, tuttavia, i pianificatori americani e le
elite haitiane hanno deciso che forse il loro modello di sviluppo non aveva
funzionato così bene ad Haiti, e l'hanno abbandonato. Le conseguenze degli
stravolgimenti introdotti dagli americani, ovviamente, sono rimaste.
Quando il pomeriggio e la sera del 12 gennaio 2010 Haiti ha subito quel
terrificante terremoto, e via via tutte le scosse di assestamento, le
distruzioni sono state, senza dubbio, notevolmente peggiorate dal concreto
sovraffollamento e dalla povertà di Port-au-Prince e delle aree circostanti.
Ma gli americani, pur scioccati, possono fare di più che scuotere la testa
ed elargire qualche caritatevole donazione. Essi possono mettersi davanti
alle responsabilità che il loro paese ha per quelle condizioni che hanno
contribuito ad amplificare l'effetto del terremoto sulla città di Port Au
Prince, e possono prendere cognizione del ruolo che l'America ha avuto
nell'impedire ad Haiti il raggiungimento di un grado di sviluppo
significativo.
Accettare la storia monca di Haiti offerta dalla CNN e dal
New York Times significa addossare agli haitiani la colpa di
essere stati le vittime di una situazione che non era frutto del loro
operato. Come scrisse John Milton, "coloro che accusano gli altri di essere
ciechi, sono gli stessi che hanno cavato loro gli occhi."
Versione originale:
Carl Lindskoog
Fonte: www.commondreams.org
Link: http://www.commondreams.org/view/2010/01/14-2
14.01.2010
Versione italiana:
Fonte: http://iononstoconoriana.blogspot.com/
Link: http://iononstoconoriana.blogspot.com/2010/01/la-marmaglia-occidentalista-ed-il.html
16.01.2010
terremoto ad Haiti - la solidarietà di Cuba
- l'invasione USA?
L’
INFERNO DI DISNEY
AD HAITI
Haiti Progres, "This Week in Haiti," Vol.
13, no. 41, 3-9 gennaio 1996
Può anche darsi che gli occhioni languidi
ed il seducente sorriso di Pocahontas, la più recente star a cartone animato
della Walt Disney, questo Natale abbiano affascinato i bambini di tutto il
mondo. Ma ad Haiti Pocahontas rappresenta l'inferno sulla terra per molte
delle giovani donne che lavorano nelle zone manifatturiere del paese,
secondo un recente rapporto pubblicato il mese scorso.
I lavoratori che cuciono i capi d'abbigliamento firmati dai rassicuranti
personaggi di Disney non guadagnano neppure abbastanza per sfamarsi, per non
parlare delle loro famiglie. Questo è quanto afferma il National Labor
Committee Education Fund in Support of Worker and Human Rights in Central
America
(NLC), un'organizzazione newyorkese. "Gli appaltatori haitiani che
producono pigiami di Topolino e di Pocahontas per le ditte statunitensi che
lavorano su licenza della Walt Disney Corporation in qualche caso pagano i
lavoratori anche meno di quindici gourdes (un dollaro USA) per una giornata
di lavoro. Dodici centesimi all'ora, in chiara violazione anche della legge
locale", scrive il NLC. Oltre che con i salari da fame, le lavoratrici
haitiane che producono abiti per i giganti della grande distribuzione
statunitense devono vedersela con le molestie sessuali e con orari di lavoro
estenuanti. "Haiti ha bisogno di svilupparsi economicamente e le lavoratrici
haitiane hanno bisogno di lavorare, ma non al prezzo di violare i diritti
fondamentali dei lavoratori. Pagare undici centesimi l'ora chi cuce vestiti
per Kmart non è sviluppo, è delinquenza", rincara la dose il NLC.
Negli ultimi due decenni, funzionari del Dipartimento di Stato degli Stati
Uniti hanno sempre indicato nello sviluppo del settore della
"trasformazione" l'antidoto alla povertà di Haiti. Nei primi anni '80, circa
250 fabbriche occupavano oltre 60.000 lavoratori haitiani a Port Au Prince.
Il salario minimo era di 2,64 dollari al giorno. Ma molte di queste caienne
hanno abbandonato Haiti dopo la caduta del dittatore Jean-Claude Duvalier
nel 1986. Altre se ne sono andate poco dopo l'elezione di Jean-Bertrand
Aristide nel 1990, che basò la sua campagna elettorale sulla retorica
nazionalista, e ancora di più hanno lasciato il paese dopo il colpo di stato
del 1991.
Le miserabili condizioni della Haiti di oggi la rendono un concorrente
ideale nel mercato del lavoro mondiale, dicono i funzionari del Dipartimento
di Stato degli Stati Uniti, e le zone industriali manifatturiere sono di
nuovo al centro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) per Haiti
perseguito adesso dall'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo
Internazionale (USAID), dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario
internazionale (FMI).
Nonostante questo il recupero delle zone industriali manifatturiere rimane
debole.
Solo 72 manifatture con circa 13.000 persone erano state ripristinate al
settembre 1995, secondo una agenzia del governo haitiano. Le istituzioni
finanziarie internazionali sostengono che Haiti deve abbassare gli altri
costi legati alla produzione di manufatti, come le spese portuali e
telefoniche ed il costo dell'energia elettrica. Pertanto, la Banca mondiale
sta facendo pressioni affinché siano aziende degli Stati Uniti ad assumere
il controllo di questi settori chiave attraverso la privatizzazione delle
industrie di proprietà pubblica ad Haiti. Intanto, spiegano gli strateghi
del SAP, i salari devono essere conservati bassi e "competitivi".
Ma il National Labor Committee (NLC) ed i lavoratori haitiani sostengono che
le zone manifatturiere ad Haiti, come quelle del resto dei Caraibi e
dell'America centrale, sono in realtà zone in cui la schiavitù è
legalizzata. "Mentre i proprietari delle fabbriche di Haiti e le società
americane stanno approfittando dei salari bassi, i lavoratori haitiani
stanno lottando ogni giorno per sfamare se stessi e le loro famiglie," ha
indicato l'NLC in una relazione intitolata "Come diventare ricchi pagando la
gente undici centesimi l'ora"
In particolare, il rapporto rileva come i proprietari delle fabbriche stiano
cercando di non versare ai lavoratori di Haiti il nuovo salario minimo di 36
gourdes al giorno (due dollari e quaranta centesimi) ed afferma che più
della metà delle 40 aziende che operano nel settore manifatturiero tessile
ad Haiti, al momento della ricerca dell'NLC nell'agosto 1995, stessero
violando la legge sul salario minimo. Il Presidente Aristide ha sollevato il
salario minimo, lo scorso mese di maggio, da 15 a 36 gourdes al giorno.
Anche se è stato il primo aumento dei salari dal 1984, l'NLC deve rilevare
che il nuovo salario minimo "vale meno in termini reali di quanto il vecchio
salario minimo di 15 gourdes valesse nel 1990 ... Dal 1 ottobre 1980, quando
il dittatore Jean-Claude ( "Baby Doc") Duvalier fissò per la prima volta il
salario minimo a 13,20 gourdes, il suo valore reale è diminuito di quasi il
50%".
Nelle dodici pagine del rapporto lo NLC riserva alcune delle sue critiche
più taglienti ai giganti multinazionali statunitensi, come la Sears,
Wal-Mart e Walt Disney Company, che appaltano alle imprese degli Stati Uniti
e di Haiti. In una fabbrica di abbigliamento di qualità in cui si producono
pigiami di Topolino, i dipendenti hanno riferito che l'estate scorsa avevano
lavorato 50 giorni senza pause, fino a 70 ore alla settimana, senza un
giorno di riposo. "Una lavoratrice ha detto al NLC che avrebbe dovuto cucire
204 paia di pigiami di Topolino ogni giorno e che la giornata le sarebbe
stata pagata 40 gourdes (due dollari e sessantasette centesimi). Lei era
stata in grado di farne soltanto 144 paia, per le quali era stata pagata 28
gourdes (un dollaro e ottantasette)", scrive il NLC. Il rapporto osserva che
Michael Eisner, amministratore delegato della Disney, ha guadagnato 203
milioni dollari nel 1993, circa 325000 volte il salario dei lavoratori ad
Haiti. "Se un lavoratore tipico haitiano lavorasse a tempo pieno sei giorni
alla settimana a cucire i vestiti per la Disney, impiegherebbe circa 1040
anni per guadagnare quello che Michael Eisner ha guadagnato in un solo
giorno nel 1993", conclude il rapporto.
Nel complesso, lo NLC si è trovato davanti ad un "modello esemplare di
abusi, tra i quali c'è quello dei salari bassi; così bassi che il
proprietario della fabbrica ha riferito all'NLC che 'i lavoratori non
possono lavorare bene perché non mangiano abbastanza'". Secondo la relazione
una famiglia a Port Au Prince ha bisogno di almeno 363 gourdes ogni
settimana, ventiquattro dollari e venti, per il cibo, il riparo e
l'istruzione. "Ma un percettore di salario minimo, lavorando 8 ore al giorno
6 giorni alla settimana, porta a casa 216 gourdes, ovvero meno del 60% del
fabbisogno di base di una famiglia", dice il rapporto.
Lo NLC addossa gran parte della colpa per il deterioramento delle condizioni
dei lavoratori haitiani all'USAID, che ha impegnato 8 milioni di dollari di
denaro dei contribuenti americani per la promozione degli investimenti
esteri ad Haiti lo scorso anno. "Il governo americano ha mostrato un grande
impegno a sostenere con decisione gli investimenti statunitensi ad Haiti, ma
non ha mostrato alcun paragonabile impegno nei confronti dei lavoratori che
producono per le aziende investitrici", sostiene l'NLC, rilevando che l'USAID
ha reiteratamente esercitato pressioni sul governo di Haiti perché i salari
rimanessero bassi.
L'NLC fa capo ai sindacati tessili degli Stati Uniti, e nota che i salari
bassi ad Haiti saranno utilizzati per cercare di abbassare i salari degli
altri lavoratori nelle Americhe. "I salari haitiani sono estremamente
interessanti e sono più bassi di quelli della Repubblica Dominicana, della
Giamaica, dello Honduras, di El Salvador, del Guatemala e del Nicaragua,
altri paesi fitti di zone industriali manifatturiere. In altre parole, Haiti
contribuisce a definire il tetto dei salari per l'intero emisfero
occidentale", dice il rapporto. Haiti è attualmente sempre in prima fila
nella corsa verso il ribasso.
[Per ulteriori informazioni, o per ordinare
copie della relazione, contattare The National Labor Committee Education
Fund, 15 UnionSquare West, New York, NY 10003-3377 Tel. 212-242-0700]
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Fonte: http://iononstoconoriana.blogspot.com
Link: http://iononstoconoriana.blogspot.com/2010/01/la-marmaglia-occidentalista-ed-il.html
16.01.2010
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